Enea scende insieme alla sibilla Deifobe nei Campi Elisi degli Inferi alla ricerca del defunto padre Anchise. Lì incontra le quattro figure allegoriche “Eternità”, “Gloria”, “Virtù” e “Tempo”, che declamano le lodi di “Elisa”, figura che richiama l’imperatrice austriaca Elisabetta Cristina, a cui il componimento è dedicato.

Dall’incipit del libro:

DEIF.
Férmati, Enea; che tenti? Il nudo acciaro
A qual uso stringesti?
I profondi son questi
Ciechi regni dell’ombre, e non le rive
Del paterno Scamandro; e qui non hai
Achille, Automedonte,
Stenelo, Aiace o Diomede a fronte.
ENEA
Ma i Centauri, le Sfingi,
Le pallide Gorgoni, e tante informi,
Minacciose sembianze,
Deifobe, non miri? Almen difendo…
DEIF.
Vuote forme son quelle, e senza corpo
Lievi immagini e vane. In quest’opaco,
Abitato da’ Sogni olmo frondoso,
Hanno tutte il lor nido
Le fantastiche Idee che de’ mortali
Disturbano i riposi. Al sol nemiche,
Fra’ silenzi notturni
Scorrono il nostro mondo; e fan ritorno
A’ neri alberghi all’apparir del giorno.

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