Grazie ai volontari del Progetto Griffo è online (disponibile per il download gratuito) l’ePub L’avaro di Carlo Goldoni.

L’avaro è una commedia in un solo atto scritta da Carlo Goldoni nel 1756. Si tratta di una rivisitazione dell’omonima commedia di Molière (a sua volta ispirata all’Aulularia di Plauto) realizzata per l’amico Francesco Albergati Capacelli, che era solito recitare con una compagnia di comici dilettanti nella sua villa di Zola Predosa.

La commedia si svolge a Pavia, all’interno della casa di Don Ambrogio. È, questi, un vecchio avaro (così come Carlo Goldoni stesso lo definisce) il cui unico figlio è venuto a mancare da ormai un anno. Presso la sua dimora vive, trattata come una figlia, Donna Eugenia, la nuora. Ad essa Don Ambrogio dice d’esser molto affezionato, ma sebbene costei sia per lui larga fonte di dispendio (lo troviamo, infatti, a principio della commedia, a rimuginar sulle spese della donna) non ha interesse di maritarla per non distaccarsi dalla di lei dote.

Vi sono, però, tre pretendenti che anelano ad un matrimonio con la giovane vedova: in primo luogo il Conte Filiberto dell’Isola ed il Cavalier Costanzo degli Alberi. Costoro hanno già avuto modo di dichiararsi a Donna Eugenia e già godono delle benevolenze di quest’ultima la quale, tuttavia, si riserva di dar loro una risposta, precisando d’essere ancora sotto la potestà del suocero e, di conseguenza, in obbligo di rimettersi soltanto alla sua decisione. Il terzo pretendente è Don Ferdinando, un giovane studente di Mantova, amico del defunto figlio di Don Ambrogio, che per terminar gli studi ha sino ad ora soggiornato presso questa dimora. Don Ferdinando è timido, modesto di carattere e di buona famiglia e, cosa ancor più importante, non è assolutamente interessato alla dote di Donna Eugenia come, invece, pare lo siano il Conte e il Cavaliere. Oltretutto non ha mai avuto il coraggio di dichiarare alla giovane vedova i propri sentimenti.

Quando i tre uomini si recheranno (in separati momenti) a domandare a Don Ambrogio la mano della bella Eugenia, solamente Don Ferdinando riuscirà ad entrare nelle grazie del vecchio avaro, proponendosi immediatamente di prender Donna Eugenia senza dote alcuna. Don Ambrogio, felice di non doversi separare da quel piccolo tesoro, accetta senza alcuna rimostranza il matrimonio tra i due e suggerisce al ragazzo di raggiungere Eugenia e comunicarle la decisione presa. E in fretta, anche, dal momento che proprio quel giorno il giovane è in procinto di tornar a Mantova dalla propria famiglia. È Don Ambrogio, però, a recarsi per primo dalla nuora, annunciandole che giungerà, di lì a poco, colui al quale è stato deciso ch’ella verrà data in seconde nozze.

Tuttavia, quando Don Ferdinando si decide a recarsi presso Eugenia per cercare di comunicarle il fatto, non riesce a dir quasi nulla: il Conte ed il Cavaliere lo hanno preceduto e sono intenti a commentare con asprezza il trattamento loro riservato da Don Ambrogio in seguito alle domande di matrimonio presentategli poc’anzi. Donna Eugenia, scaltra come la maggior parte delle figure femminili goldoniane, riesce ad intendere quanto Ferdinando vorrebbe dirle e, con tatto, riesce a trarlo d’impiccio spiegando agli astanti che il ragazzo è lì soltanto per comunicarle la propria partenza e chiederle consiglio sulla donna di cui s’è innamorato. Rivolgendosi al mantovano, con garbo, gli consiglia di partir a cuor leggero, aggiungendo che colei per cui egli trepida lo stima molto ma non ne è innamorata.

Il guazzabuglio verrà concluso da una trovata del Cavaliere Costanzo degli Alberi che proporrà la più vantaggiosa delle soluzioni: la dote resterà nelle mani di Don Ambrogio fin quando egli avrà vita; alla di lui morte, eleggendo la vedova come sua erede universale, la dote ed i suoi frutti verranno completamente restituiti alla donna. Di questa risoluzione Don Ambrogio è felicissimo, e dacché il Cavaliere si propone quale galantuomo realmente interessato a maritarsi con la bella Eugenia, verrà ben presto stipulato il contratto matrimoniale con buona pace di tutti, men che di uno stizzito Conte Filiberto.

Note tratte da Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/L’avaro_(Goldoni)

Dall’incipit del libro:

L’avaro di Carlo GoldoniUna Commedia di un atto solo sembrerà forse a taluno poca cosa per l’integrità del Tomo e cosa facile per un autore. Io, con buona grazia di chi ciò crede, non accordo nè l’una, nè l’altra delle sue conghietture. Rispetto all’integrità, quando una Commedia d’un atto solo ha tutte le parti che si richiedono in un simile componimento, è tanto Commedia intiera, quanto lo è Calisto e Melibea, che è composta in quindici atti. I Francesi hanno moltissimo in uso le petites pièces, che vuol dire in italiano le picciole Commedie; picciole per la mole, non già per l’argomento, per l’intreccio e lo scioglimento. Sono utili tali Commedie per le conversazioni e per li Teatri, allora quando si rappresentino delle Tragedie, le quali per ordinario sono brevi e melanconiche, e la Commedia di un atto allunga il divertimento, e rallegra il popolo contristato. Questa fu da me scritta per comando di S. E. il Sig. Marchese Francesco Albergati Senator di Bologna, ad uso di Cavalieri e Dame di quella Città, ed ebbe la fortuna di essere recitata perfettamente, e di piacere non dirò per se stessa, ma per il merito degli Attori, e mi lusingo che recitata da bravi Comici, dopo di una Tragedia, non farebbe cattivo effetto in qualunque Teatro; anzi io credo necessarissimo, che al Teatro Italiano non manchi anche questa specie di divertimento, di cui abbonda il Francese, e che possa il pubblico compiacersene, siccome ne abbiamo veduto l’anno scorso in Venezia un favorevole esempio, avendo il dottissimo Conte Gasparo Gozzi tradotta dal Francese, e data al pubblico con fortuna, una simile rappresentazione.

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