Pubblichiamo volentieri una recensione di Angela Longarini all’ultimo romanzo di Paolo Agaraff “Il quinto cilindro”, di cui abbiamo già parlato qui.
Letteralmente, in inglese, Weird significa «bizzarro» e bizzarri, appunto, erano i racconti che popolavano negli anni Quaranta le pagine della rivista “Weird tales”, che raccoglieva opere ai confini della realtà. Storie che si caratterizzavano per la deliberata contaminazione di fantascienza, horror e fantasy. E’ in questa tradizione, che si rifà ad H. P. Lovecraft ed alla letteratura pulp di quegli anni, che possiamo collocare «Il quinto cilindro» di Paolo Agaraff.
Agaraff è un autore multiplo, costituito da tre autori anconetani (Gabriele Falcioni, Roberto Fogliardi e Alessandro Papini) e questo romanzo è l’ultimo in senso temporale di una trilogia che inizia con «I ciccioni esplosivi» (Montag,2009) di Pelagio D’Afro (di cui si è parlato nell’ottobre 2009) e prosegue con «Le rane di Ko Samui» (Pequod, 2003), sempre di Agaraff. I tre romanzi esplorano tutte le accezioni del Weird, dall’horror al thriller surreale alla fantascienza, e questo risulta essere, da questo punto di vista, il più compiuto della trilogia.
Nella storia si intrecciano orrori provenienti da un altro mondo e le vicende dei soliti tre vecchi pensionati di Gomitona (l’Ancona di Agaraff e di Pelagio), in vacanza, questa volta, tra le montagne svizzere, dove finiranno per ritrovarsi in un mondo cristallizzato ai tempi dell’Impero Romano.
Le vicende buffe e surreali possono essere lette con il gusto di una rivisitazione dei classici dell’avventura: vengono in mente titoli come «20000 leghe sotto i mari» e «Il mondo perduto». Tuttavia, il romanzo è anche un’occasione per ragionare su temi «alti», come la difficoltà di mantenere viva la democrazia in una società dominata dalla violenza e dagli interessi personali.
E la frustrazione di un’epoca come la nostra, in cui la possibilità di un «nuovo mondo» sembra allontanarsi sempre più nel tempo, «Il quinto cilindro» sembra al contempo un grido di frustrazione e un’ironica valvola di sfogo. Nella miglior tradizione della narrativa fantastica, quindi, Agaraff riesce nel duplice intento di svagare il lettore e di farlo pensare, sfruttando appieno la lente deformante del Weird.