Il manuale e la fata.
di
Forese
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C’era una volta un manuale povero ma povero, che aveva tre figlioli come le dita.
La notte che gli nacque il maggiore in casa non c’era neppure un po’ d’olio per empire la lucerna e lui stava al buio in cucina a sedere e fantasticava.
— Chissà se quando sarò vecchio questo figliolo che m’è nato mi darà un tozzo di pane?
Eccoti che vede scendere giù dalla cappa del camino un gran chiarore, ma un chiarore che illuminò a giorno tutta quella stamberga nera, e in mezzo a quel chiarore vide una fata bella come un occhio di sole che gli sorrideva.
Era avvolta in una nuvola e sulla testa aveva tre stelle.
Il manuale non aveva mai visto una bellezza simile, rimase abbagliato, e da seduto che era si trovò in ginocchio.
— Alzati — gli comandò con una voce squillante come un campanello — alzati e seguimi: ho bisogno di te.
Il manuale si alzò sbalordito e seguì la fata, la quale entrando nella stanza dove dormivano la moglie e il bambino, si avvicinò a questo e gli aprì l’occhio destro:
— Avrai angustie per conto suo — disse al padre. — Poi gli aprì l’occhio manco.
— Farà correre grave pericolo alla sua sorellina — e sempre circondata di luce e portata dalle nuvole luminose, rientrò nella stamberga e uscì fuori.
Era una notte buia come in gola al lupo, e il manuale prima di passare la soglia di casa si fermò e si voltò addietro. Gli dispiaceva di lasciar sola la moglie e il bambino. La fata indovinò il suo pensiero.
— Non temere, non si disteranno finché tu sarai con me.
Il manuale rinfrancato da quella voce così squillante si avventurò nella buia campagna, dietro alla fata circonfusa di luce.
— Conta bene quanti pioppi passiamo, perché dobbiamo fermarci al tredicesimo.
Il manuale non c’era caso che s’affaticasse a contare: dei pioppi non ce n’era neppur uno. Entrarono in un bosco folto folto dove c’erano gli alberi fitti come se fossero capelli.
Il manuale stava attento e tremava come una foglia che fra tante specie di piante gli sfuggisse un pioppo.
Guardava a destra, guardava a sinistra, e ogni tanto ne contava uno. Quando furono nel più folto del bosco, accennò alla fata un tronco di pioppo scoronato e vuoto come una canna secca.
Era il tredicesimo.
La fata si fermò e gli dette una chiavina d’oro, dicendogli:
— Entra nel tronco di quel pioppo: c’è una scala a chiocciola; scendi finché trovi scalini. Quando sarai in fondo sentirai una porta; cerca il buco della serratura, mettici la chiave, e girala piano piano, perché se svegli il nano, che ora dorme, è finita. Io m’alzerò al disopra del pioppo e cercherò di far penetrare fin giù un raggio della mia luce. Una volta entrato avvicinati al letto dove dorme il nano e rubagli tre cose che tiene sotto il guanciale: il vasetto del balsamo che cura tutte le ferite, l’anello dell’invisibilità e la tromba fatata. Il balsamo e l’anello sono per me; la tromba puoi tenerla e ti gioverà.
Il manuale non fece discorsi e scese nella cavità della terra al chiarore che tramandavano le nuvole lucenti della fata e fece come gli aveva detto. Il nano dormiva saporitamente. Il manuale gli mise una mano sotto il guanciale, acchiappò i tre oggetti e poi risalì su.
La fata lo aspettava ansiosa.
— Senti, conserva questa tromba e nei momenti di grande angoscia soffiaci dentro. Io sono la fata della notte e viaggio per l’emisfero, ma in qualunque punto sia ti sentirò e accorrerò in tuo aiuto. Ma tienla bene nascosta perché se altri che tu ci avvicina le labbra, perde tutto l’effetto. Potrei farti ricco, ma viaggiando vedo che anche i ricchi sono tanto infelici… e la fata della notte si allontanò sollevata dalle nuvole lucenti.
Il manuale rimasto solo nel bosco si pentì di aver lasciato la moglie e il bambino che avevano forse bisogno di lui, per andar dietro a quella fata che per tutta ricompensa gli lasciava una tromba, e stava per buttarla via, quando sentì una vocina che veniva dall’alto dirgli:
— Serbala e riponila, ma riponila bene che nessuno la trovi; quella tromba è preziosa.
Il manuale fece una spallata e se la messe sotto il braccio.
Quando arrivò a casa, la moglie e il bambino dormivano sempre.
Dove doveva riponerla quella tromba, lui che in casa non ci aveva neppure un mobile? Gli venne daccapo voglia di buttarla via, ma anche allora sentì una vocina che gli diceva:
— Serbala! serbala! serbala testardo, disprezzante che non sei altro!
Il manuale era stanco morto, ma sentendosi dire e ripetere che la serbasse, scavò una buca fonda nell’impiantito della cucina, ce la nascose e poi la ricoprì, ma fede nella tromba non ne aveva davvero.
L’anno dopo, nello stesso giorno, al manuale nacque un altro figliolo maschio, e quando fu la sera comparve la stessa fata dalla cappa del camino, guardò e riguardò il neonato e andò via senza aprir bocca.
Il manuale rimase di sasso. Era più povero che mai e aveva sperato nella visita della fata.
Il fuoco era spento, il lume era spento e pane non ce n’era nella madia, ma alla tromba non ci volle ricorrere. Non sperava in nulla altro che nel lavoro delle sue braccia.
L’anno dopo, nello stesso giorno, gli nacque un terzo figliolo, ma quella volta era una femmina e il manuale sgomento vedendosi crescere la famiglia, la chiamò Miseria. Alla tromba non ci pensò neppure, ma si messe in cucina al buio ad aspettare la fata; la fata quella volta non venne.
Il manuale andò in cerca del bosco dove c’erano i tredici pioppi. Il bosco non c’era più. Passò le notti a ciel sereno per vedere se vedeva la fata nei suoi viaggi nel firmamento. La fata non passò mai. Intanto la famiglia si faceva grande e le tribolazioni aumentavano.
La sera della Befana i tre bambini lo avevano pregato e ripregato che desse loro un balocco.
— Tutti i bambini quella sera sono felici e loro nulla.
Al manuale venne in mente la tromba.
— La fata se aveva voglia di aiutarlo non aveva bisogno che la chiamasse. Doveva essere un inganno; era meglio che colla tromba contentasse i bambini.
Difatti li mandò a letto e dopo scavò al posto dove aveva nascosto la tromba e la cavò fuori lucida come uno specchio; la guardò, la rigirò, ebbe per un momento la tentazione di mettersela alla bocca, ma la vinse, e portò la tromba sul letto dei suoi bambini che dormivano.
In quella notte però ebbe un sogno. Vide la fata che lo guardava in atto minaccioso e si allontanava lasciando sulla sua casa una striscia di fuoco.
La mattina dopo dormì a lungo e quando si alzò era pentito, voleva provare la virtù della tromba.
— La fata aveva ragione d’essere in collera; perché l’accusava d’inganno prima di sincerarsi? Andò in quella stamberga che gli serviva di cucina e non trovò altro che i suoi due maschi che piangevano.
— Cos’era stato, che cosa non era stato? Lo voleva saper subito.
— Il maggiore aveva dato nella tromba avvicinandola all’orecchio di Miseria, e subito era comparso un turco, nano, brutto quanto mai e se l’era portata via insieme colla tromba.
Il manuale si messe a piangere, la moglie si messe a piangere, i ragazzi piangevano; Miseria era il cuore di tutti, l’allegria di casa, ma i pianti non servivano a nulla. Il povero padre specialmente faceva pietà. Senza quella creatura non aveva più forza di lavorare, non aveva più energia, nulla.
Si messe in cammino per cercarla e cammina cammina arrivò sulla sponda di un gran fiume, largo stempiato che pareva il mare. Il pover’uomo si lagnava.
— Come avrebbe fatto a passarlo? Non c’era né una barca, né un ponte; nulla.
Quando annottò era sempre lì che gemeva da far pietà ai sassi.
A un tratto vide sorgere dal fondo limpido del fiume un gran chiarore, ma un chiarore così forte che gli permetteva di vedere la ghiaia nel letto del fiume, e i pesci che guizzavano nell’acqua.
Avvolta in quel chiarore c’era la fata non più bella e sorridente come l’aveva veduta le due prime volte, ma collo sguardo severo come eragli comparsa in sogno.
Lentamente s’inalzò sopra le acque.
— Non mi hai creduto — gli disse severamente — e vedi a che cosa ti trovi.
Il pover’uomo si raccomandava.
— Ora le credeva; sarebbe andato chissà dove per riavere la sua Miseria. — La fata vedendolo piangere e supplicare a quel modo si rabbonì.
— Bisognava che penetrasse nella fortezza dove si era barricato il nano dopo che gli aveva rubato il balsamo, l’anello e la tromba; lì dentro c’era la sua Miseria, ma l’unico ingresso a quella fortezza era difeso da una porta tutta di ferro che ci voleva la chiave d’oro per aprirla e la forza di dieci giganti per farla girar sui cardini.
— Se gli dava la chiave d’oro, la forza di dieci giganti l’avrebbe avuta, pur di riportarsi a casa la sua Miseria. — La fata si trasse dalla cintura la chiavina d’oro e ordinò alle nuvole di transitare il manuale dalla parte opposta del fiume.
— Sulla sponda avrebbe trovata una grotta, dentro la grotta c’era un vestiario da turco; doveva indossarlo per non essere riconosciuto dal nano, che vegliava sempre da un finestrino. Per la strada avrebbe incontrato un altro turco: dovevano camminare in compagnia e aspettare che battesse la mezzanotte per girare la chiave. Il manuale ringraziò la fata e fece come gli aveva detto. Sotto la porta della fortezza, si avvicinò insieme col turco. Questi aveva una scimitarra terribile nascosta sotto il mantello. Al colpo della mezzanotte il mercante messe la chiave nella serratura, ma appena andò per girarla cento cani incominciarono ad abbaiare, e gli si scatenarono addosso. Il turco colla scimitarra tagliò la testa a tutti. Erano i cani del nano. Dopo poco il manuale facendo uno sforzo terribile spinse la porta, lasciando il compagno a guardia.
Entrò dentro la fortezza. Camminava a tastoni per le stanze, c’era buio come in gola al lupo e il manuale disperava di trovare la sua Miseria, quando dai larghi finestroni vide entrare un gran chiarore. Traversava sale ricchissime tutte tappezzate di seta.
In mezzo a una di quelle sale c’era un baldacchino d’oro e sotto quel baldacchino un letto. In quel letto dormiva Miseria. Sognava e chiamava la mamma, il babbo e i fratellini.
Il manuale se la prese in collo, l’avvolse nel lungo mantello bianco, e la portò via addormentata e uscì con lei sano e salvo dal palazzo del nano. Il suo compagno era sparito.
Portò la bambina nella grotta dove si era vestito da turco per riprendere i suoi panni e ci trovò la fata, alla quale espresse tutta la sua gratitudine, e restituì la chiave.
La fata fu commossa dall’affetto che aveva quel pover’uomo per la sua bambina.
— Miseria non conoscerà la miseria — disse dandogli la chiave. — Questa ti servirà a aprire una cassetta piena d’oro che troverai sotto il sasso quadrato che è nel tuo giardino ma non te ne valere altro che quando ti manca il lavoro.
La fata sparì dopo aver ordinato alle nuvole di transitarlo al di là del fiume.
Sparì nella luce dell’aurora e il manuale vide il nano, che montato sopra un cavallo, volendolo inseguire, precipitò nell’acqua.
Tornò a casa contento come una pasqua con Miseria che si svegliò nel suo letto e credé d’aver sognato.
Fecero un gran festino
Goderon proprio tutti;
Io sol nel cantuccino
Restai a denti asciutti.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Il manuale e la fata
AUTORE: Forese
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Giornale per i bambini / diretto da Ferdinando Martini ; [poi] da C. Collodi. – Roma : [Tipografia del Senato], 1881-1883.
SOGGETTO: JUV038000 FICTION PER RAGAZZI / Brevi Racconti