Il soldato rosso

di
Giuseppe Lipparini

tempo di lettura: 8 minuti


Terminata l’istruzione delle reclute, Casimiro Garavini fu mandato con altri trecento compagni a Derna, per dare il cambio ai congedati di una classe che ritornava.

Casimiro odiava la guerra. La sua scarsa cultura si era tutta formata sui giornaletti e sulle concioni dei politicanti socialisti; così che egli aveva da loro succhiato come un secondo latte antimilitarista e antiborghese. Ma non era un vigliacco; l’anno prima, minacciando l’epidemia, egli si era offerto spontaneamente per curare nel lazzaretto i colerosi; e se a Sant’Agostino nessuno si era ammalato, la colpa non era del biondo, alto, un po’ pingue Casimiro, emerito venditore di pane e di paste ai compagni iscritti alla Lega dei contadini.

Per questa sua qualità di panettiere, Casimiro fu aggregato alla sussistenza e destinato con altri ai forni da campo. La qual cosa lo consolò, perchè chi fabbrica il pane e cuoce le paste non ha l’obbligo di uccidere il prossimo senza una ragione. Passò così un mese, durante il quale egli non sentì altro che il rombo di qualche cannonata lontana; e poichè i soldati erano in gran parte occupati a tracciare e costrurre strade, egli cominciò a pensare che forse la guerra non era quella truce e orribile cosa di cui gli avevano parlato le pagine di un opuscolo pieno di carname e di sangue. Poi la sua compagnia lasciò la piccola città graziosa fra i giardini e il mare, e fu mandato agli avamposti in una ridotta ben munita ma anche bene esposta alle insidie. Ma Casimiro attendeva al forno e pensava che anche colà egli non sarebbe venuto meno al solenne giuramento di non uccidere, che la sera della partenza gli era stato imposto dai compagni della Lega. Anche l’odio contro il regime gli era stato imposto; ma per quanto egli facesse violenza al suo cuore, l’odio restava in lui come una pianticella tisica che non vuol fiorire. Solo vedendo gli ufficiali egli provava un leggero rancore; ma il suo buon senso gli suggeriva che anch’essi erano comandati e che, se mai, una palla turca ci poteva essere anche per loro.

Il tramonto era tranquillo e sereno sopra i valloni scoscesi, che a Casimiro ricordavano i calanchi emiliani alle porte di Bologna. Di là dalle murge sassose a cui il sole appena calato aveva dato un tinta violacea meravigliosa, egli intravvedeva le tende nemiche da cui si levavano colonne di fumo azzurro e si perdevano nel deserto. I soldati tacevano, perchè quella era l’ora triste dei ricordi, e anche quelli che amavano la patria e la guerra sospiravano il focolare lontano e pensavano alla madre e alla mensa. Casimiro era solo, seduto sul parapetto della ridotta, dietro un sacco di sabbia, e sentiva il desiderio del pianto.

— Sei appena arrivato – disse vicino a lui improvvisamente una voce; – ma non ti rammaricare. Questa notte stessa ti divertirai, se gli informatori non dicono il falso.

Casimiro ebbe un fremito; ma poichè il capitano non lo vedeva, non si mosse. L’altro interlocutore gli volgeva le spalle: doveva essere un sottotenente arrivato di fresco.

— Ti lascio, – continuò il capitano; – debbo prendere gli ordini dal maggiore. Tu puoi restar ad ammirare il tramonto.

Rise, e discese. Il tenente rimase un momento immobile a guardare la luce violetta che rapidamente scompariva; poi si voltò, e in due passi fu davanti a Casimiro.

— Luciano!

— Casimiro!

I due nomi risuonarono insieme nella quiete quasi notturna; poi i due uomini si baciarono e si abbracciarono, mentre un caporale che era salito in quel momento se ne tornava subito facendo gesti di stupore.

— Come sei qui? – domandò Casimiro all’amico quasi non credendo ai suoi occhi.

— E tu, come ci sei? – sorrise il tenente. – Guarda – continuò – sei giorni fa io ero a Sant’Agostino a salutare i miei; ora sono qui.

— Eri laggiù? E l’hai veduta?

— Chi? Rosetta? È sempre lei?

— Sì, lei; e appena torno, la sposo. Hai veduto anche i miei?

— È naturale. Tuo padre lavorava con le opere nella risaia; i tuoi fratelli….

E il dialogo dei due amici continuò così, semplicemente, sotto le stelle africane, perchè la guerra è una divina eguagliatrice e davanti alla morte l’ufficiale non è un comandante ma un fratello a cui è grato ubbidire.

— Non ci vedevamo da due anni – osservò l’ufficiale, che era un poco maggiore d’età, – E le tue idee sono sempre le stesse?

— Anzi – rispose francamente Casimiro – ne sono convinto più che mai.

— Ti ricordi le nostre dispute, quando io tornavo in vacanza? Eppure siamo sempre rimasti buoni amici ed io ti volevo bene lo stesso, perchè ti vedevo in buona fede. Ma ora qui, alla guerra, come farai? Mio caro: o mangiare o essere mangiato; come farai?

— Io sto al forno – commentò l’altro semplicemente.

— Ah! non devi dire così – esclamò Luciano con un tremito nella voce. – Io so benissimo che non sei un vigliacco: ti ricordi di quando salvasti mio fratello che era per annegare? Rispetto le tue idee; ti concedo che la guerra è un orribile male; ma qui, davanti al nemico, fra i tuoi compagni che si preparano a morire, sotto la bandiera d’Italia – la senti? – che ci sventola sopra…. Oh, Casimiro, non pensi che prima che socialista tu devi essere italiano!

Casimiro tacque. L’altro continuò:

— Senti. Qui, di Sant’Agostino, ci siamo noi due soli. Perdio, le nostre donne non debbono arrossire di noi. Siamo cresciuti insieme e ci siamo voluti bene. Io sono ricco, ma, tu lo sai, sposerò un’operaia. Le nostre fidanzate lavorano nella stessa casa. Tu sai che ai miei contadini io ho sempre dato quello che chiedevano, a costo di leticar col tutore. Potrei essere dei vostri, se non fosse di mezzo l’Italia. Hai capito? L’Italia. Tieni a mente questa grande parola; è un talismano. E finchè l’Italia non sarà più grande, le vostre idee non saranno altro che generose utopie. E per far più grande l’Italia non c’è altro mezzo che la guerra. E la guerra è santa e necessaria. E tu combatterai, con me, accanto a me. Sei della mia compagnia; non mi scappi.

— Accanto a te, va bene – mormorò il soldato. – Non potrei lasciare solo un compaesano; ma per tutto il resto….

— Per l’Italia! – gridò a gran voce il tenente. – Domattina vedrai gli arabi da vicino. Ci divertiremo.

E sparì giù per la scaletta, seguito da Casimiro, che si avviò verso la tenda. Alcuni soldati dormivano già; altri cantarellavano una di quelle canzoni napoletane in cui la passione e la nostalgia trovano accenti melodiosi e sommessi. Casimiro pensò gli stornelli della bassa e i canti delle risaiuole procaci negli specchi d’acqua infiniti. La notte africana era tiepida; il cielo era così azzurro, che le stelle parevano quasi staccate e pendule. Egli si vide fanciullo accanto a Luciano, al suo tenente d’oggi, che era giovane e ricco, che poteva vivere tranquillamente al paese, facendo il signore, godendosi il vino e l’amore, e che invece aveva studiato tanti anni per divenire ufficiale e, appena promosso, aveva chiesto di venire in Libia per combattere e, forse, per morire….

— Che bella idea! – esclamò ironicamente fra sè. Ma l’ironia fu subito interrotta da un pensiero più grave. Davvero, questa Italia doveva essere qualche cosa di bello e di grande se Luciano ammetteva per lei santa e necessaria la guerra e se per lei lasciava le ricchezze e sfidava la morte. Quest’ultimo argomento era decisivo per la sua mente quasi incolta. «Io, che ho ben poco da perdere – pensava egli – sarei rimasto a casa volontieri; e lui che ha tanto da perdere e che sarebbe potuto rimanere, è voluto partire. Ci deve essere una ragione, visto che Luciano non è nè matto nè imbecille…». E allora gli vennero in mente i clamori d’entusiasmo della folla che li aveva accompagnati alla stazione, gli uomini che applaudivano, le signore che piangevano e che gettavano fiori. Rivide i muratori, quelli della più fiera e più audace delle Leghe, che si affacciavano dai ponti delle case in costruzione a gridare evviva e a sventolar bandierine tricolori. Sentì all’orecchio l’inno di Mameli, intuonato da ventimila persone, e le parole che parlavano dell’Italia ridesta…. L’Italia! L’Italia! Ah, perchè dunque ora piangeva pensando a quella sera, egli che allora era passato quasi sdegnoso fra gli inni e le grida? Quale nuovo senso gli saliva dal profondo del cuore, se ora, contro la sua volontà vacillante, egli lacrimava e si sentiva tutto fremere e vibrare, e si pentiva di non aver cantato e gridato anche lui? Oh, Italia, Italia!

E il pensiero del pericolo vicino, del combattimento prossimo, della morte probabile, anzichè spaventarlo lo esaltò. Allora egli provò a pensare alla cara lontana, al suo bene più prezioso e desiderato, perchè essa almeno gli donasse la forza per non esser vile. Ma non valse. Rosetta sorrideva, ed era vestita di bianco, col garofano rosso nei capelli e un mazzo verde di cedrina fra le braccia. E gli pareva che essa e le compagne della Lega andassero sullo stradone cantando non già gli inni sovversivi ma l’inno magico della rinascita e della vittoria. Italia! Italia!

Così l’alba lo trovò accanto a Luciano, fuori della ridotta, al riparo di un mucchio di sassi. Qualche palla cominciò a sibilare, senza colpire nessuno. Allora i soldati risero e scherzarono. Poi la fucileria divenne più fitta, e un soldato dell’ultima fila gettò un grido e si rotolò nella sabbia. Casimiro ebbe un brivido, che il tenente avvertì:

— Non aver paura del sangue: è rosso; il tuo colore!

Ma non aveva ancora terminato di parlare che una palla nemica strisciò fra i sassi e, quasi morta, gli scalfì la fronte. Il sangue zampillò dalla piccola ferita, e Casimiro si alzò in piedi chiamando soccorso.

— Zitto, animale! Non è nulla – gridò il ferito; e quando lo vide in piedi, gridò anche più forte: – Giù, perdio! Sei scoperto, non vedi?

In quel momento un colpo scoppiò a cinquanta metri, di dietro un monticello insidioso. Casimiro sentì come una mazzata al capo, girò su se stesso due volte, poi cadde a braccia aperte, fulminato.

Fine.


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Il soldato rosso
AUTORE: Giuseppe Lipparini

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: La visita pastorale ed altre novelle / Giuseppe Lipparini. - Bologna : N. Zanichelli, stampa 1914. - 122 p. ; 17 cm.

SOGGETTO: FIC029000 FICTION / Brevi Racconti (autori singoli)