L’onda globale di protesta della Gen Z e la Flotilla svelano il salto mortale tra l’agire e l’urlare. I governanti sono scossi, ma il danno arrecato al “negotium” quotidiano solleva il dubbio tragico: la voce ha vinto sull’azione, ma a quale prezzo per la collettività?
Lo Zeitgeist scuote i palazzi, ma non li abbatte
Giorgia Meloni attacca la piazza e la Flotilla, ma il suo tentativo di relegare la protesta al rango di “violenza organizzata” o “strumentalità” suona stanco. Il fatto è che un’ondata non solo italiana, ma planetaria di rabbia sta scuotendo lo Zeitgeist, lo spirito del tempo. Non sono solo i cortei contro il genocidio, ma la rivolta globale della Gen Z – da Marrakesh a Kathmandu – contro “l’invecchiamento dei leader, la corruzione, la disoccupazione, le disparità di reddito.”
I governanti, dall’Italia al Marocco, sono scossi. Sono costretti a confrontarsi con una generazione che usa TikTok e Discord come luoghi di incontro e che rivendica “lavoro, diritti, dignità” con una rabbia armata di smartphone. Meloni è costretta a dire di avere “grande rispetto per le persone scese in piazza,” nonostante gli idranti di Bologna tentino di disperdere il disagio. Questo rispetto di facciata è il tributo che il potere paga alla risonanza della protesta; un segnale che lo spirito del tempo è cambiato, anche se il potere non è ancora caduto.
Il tracollo di Otium e Negotium
L’essenza più drammatica di questa ondata di mobilitazione risiede nell’annullamento della distinzione tra otium (il tempo libero, lo studio, la contemplazione) e negotium (il lavoro, l’azione politica vera, il commercio).
La protesta è diventata un’attività a sé stante, una sorta di professione, il “senso del purchessia” che unisce cause diversissime. Per la Gen Z, che lotta contro “salari bassi e inflazione crescente,” e per i manifestanti della Flotilla, il cui obiettivo primario era la “rottura del blocco navale israeliano,” la contestazione è il metodo e l’azione politica è l’atto di urlare.
Si fa meno fatica ad urlare o a zappare? Il quesito è crudele. La protesta sui social, la marcia chilometrica che blocca il traffico (come in Serbia o in Italia), è un atto di potere della voce che è immediato e visibile, ma la cui azione è ininfluente sui meccanismi di potere e sull’economia reale. L’urlo è il succedaneo della zappa – il duro lavoro di costruire alternative politiche, di negoziare, di riformare le istituzioni.
La Nuova Nobiltà delle Piazze: onore e danno
Emergono così due categorie antitetiche: la “nuova nobiltà delle piazze” e la collettività che lavora.
La nuova nobiltà è composta da coloro che, per la nobiltà di una causa (lotta al genocidio, giustizia sociale, lotta alla corruzione), si sentono moralmente autorizzati a bloccare le arterie del Paese. L’assalto emotivo della piazza offre un senso di appartenenza e di azione immediato, un potere della voce amplificato dai social media.
Ma a quale prezzo?
“Per la nobiltà di una causa, arrecare danno alla collettività che lavora per mantenere anche chi invade la piazza?”
La Meloni, pur strumentalmente, solleva un punto tragico: il blocco dei servizi (scioperi), il blocco delle strade (manifestazioni), il rischio di dare un “alibi” agli avversari politici. L’attivista della Flotilla, rifiutando le 2300 tonnellate di aiuti ufficiali per perseguire la “rottura del blocco,” ha anteposto il simbolo (la voce) al risultato materiale (l’aiuto).
Guardando ai risultati di analoghi fenomeni del passato (come le Primavere Arabe, nate sui social e degenerate), il rischio è che il senso nel presente – l’esplosione emotiva, l’urlo liberatorio – si traduca nell’inutilità nel futuro. L’onda “rischia di trasformare il divario generazionale in divario politico, travolgendo modelli e sistemi sociali” ma senza offrire un’alternativa concreta. L’azione si esaurisce nell’evento; il danno arrecato alla collettività che “zappa” (lavora) non è funzionale alla costruzione di una classe dirigente alternativa, ma alimenta solo la rabbia e il cinismo.
La piazza è la tragedia contemporanea dell’azione mancata: l’urlo è potente, la mobilitazione permanente (presidi contro l’abbordaggio), ma l’effetto è un’interferenza emotiva che fa tremare le élite senza rovesciarle, lasciando solo un sedimento di stanchezza in chi, domani mattina, dovrà comunque “zappare” per far ripartire la macchina.