Nella complessa e controversa cronologia dei romanzi salgariani del ciclo dei pirati del Borneo e della Giungla indiana, questo romanzo dovrebbe collocarsi subito dopo l’altro apocrifo (autore Luigi Motta) Addio Mompracem! nel quale Sandokan sembra sia morto e James Brooke sia del tutto convinto di questo e certo di aver eliminato per sempre il pericolo (per l’Inghilterra) della temibile Tigre della Malesia.

Sandokan e Yanez appaiono in questo romanzo, almeno inizialmente, anziani e appartati ormai dalla loro vita di avventure. Ma già dal secondo capitolo la loro sete di avventure viene appagata da uno stormo di anatre, una delle quali porta con sé un misterioso messaggio. Più che sufficiente perché i due dirigano prontamente la loro imbarcazione verso nuove e pericolose peripezie incentrate questa volta a riportare sul trono di Gondwana la principessa Ellora, sostituita alla nascita con un neonato appartenente alla sètta dei Kapalika od «Uomini dal cranio», ben più temibile di ogni altra sètta già precedentemente conosciuta da Sandokan.

La sostituzione era stata operata dalla regina e sacerdotessa della sètta, la perfida Dhola. Fortunatamente l’anziano consigliere del principe era riuscito a salvare la piccola e l’aveva cresciuta in una irraggiungibile isola deserta. Da qui era partito il messaggio di soccorso intercettato da Yanez e Sandokan i quali, con la consueta audacia e nonostante l’età non più verdissima, avrebbero posto rimedio all’antica ingiustizia.

Probabilmente il più “salgariano” degli apocrifi realizzati su trame lasciate da Salgari stesso, sia come dialoghi, sia come avventurosa atmosfera e caratterizzazione del personaggi. Abilissimo fra l’altro, l’autore, come ha dimostrato anche con Il vulcano di Sandokan, a ricucire cronologicamente trame che sembrerebbero apparire slegate e incongruenti.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

Sul mare calmissimo e deserto il Soarez si cullava dolcemente e procedeva con una lentezza strana che contrastava colla snella forma del legno, costruito per filare con rapidità.
Era infatti un praho, basso di scafo, leggerissimo, con vele di forme allungate, sostenute da alberi triangolari, dagli immensi pennoni.
Questo legno che fila con sorprendente rapidità e che, grazie al bilanciere che ha sottovento ed al largo sostegno che porta sopravento, sfida i più terribili uragani, sembrava compiere in quel momento una funzione ben diversa da quella a cui era destinato.
I prahos sono infatti i legni che vengono preferiti dai pirati malesi per assalire con essi i più grossi vascelli che s’avventurano nei pericolosi mari della Malesia.
Il Soarez invece, quasi immobile nella sconfinata solitudine dell’Oceano, pareva un naviglio abbandonato al piacere dei venti e senza nocchiero che ne guidasse la rotta.
Il Soarez sembrava annoiarsi in quella immensa calma di mare e di cielo, entrambi di un plumbeo azzurro che nulla turbava: nè un cirro, nè un’onda.

Scarica gratis: Il fantasma di Sandokan di Giovanni Bertinetti.