Dall’incipit della tesi:

Noi crediamo che i managers e i professori delle business schools debbano ritornare a più fondamentali questioni sulla natura dell’essere umano e delle comunità che siamo in grado di creare.
(R. Edward Freeman, Jeanne Liedtka)

Relativismo e separazione sfere
«Noi oggi parliamo di crisi di valori, ma pensare il bene [la morale] in termini di valori è già di per sé motivo di crisi» [Natoli 96: 143].Equivale a pensare che il soggetto si sceglie il proprio bene, non ne esiste una concezione condivisa ma coesistono modelli diversi di giudizio e criteri d’azione.Questo relativismo dei valori è un prodotto della modernità.Per gli antichi (Aristotele, i medioevali) il bene coincide con l’essere: ens et bonum convertuntur, e va esercitato piuttosto che discusso.
L’etica moderna rinuncia al bene comune a favore della pace.Cerca infatti di elaborare delle regole che assicurino la coesistenza pacifica dei diversi valori laddove questi valori possano confliggere.Queste regole, per essere accettate da tutti, devono essere universali, e hanno trovato la più chiara manifestazione nei diritti.Per questa via l’agire umano è suddiviso in sfere distinte, ciascuna regolata da criteri etici speciali.
Una di queste sfere è la sfera degli affari, dell’attività lavorativa e professionale.Una volta riscattata dal pregiudizio che la consacrava all’amoralità («un libro di etica degli affari dev’essere un libro ben breve»), ha goduto di una florida disciplina etica.
Etica degli affari dominante: separazione + relativismo
L’etica degli affari, nella tradizione che si è consolidata predominante, aderisce alle logiche della modernità, nella separazione delle sfere che essa stessa incarna (l’etica degli affari è un’etica speciale, distinta dall’etica comune: il metro di bontà applicato in famiglia è diverso da quello in vigore nella vita pubblica o in ufficio), nel relativismo etico (consta di diverse scuole di pensiero tra le quali l’operatore deve arbitrariamente o ideologicamente scegliere, e così tra i casi e i criteri difronte al dilemma concreto che deve affrontare).
Addirittura tradisce la conservazione implicita di quel pregiudizio di amoralità cui avrebbe dovuto contrapporsi.Il mondo degli affari è governato da proprie logiche —così presuppone— illuminate innanzitutto dai criteri del profitto e dell’efficienza eletti a vero e proprio criterio morale (e rappresentati dalla figura del manager weberiano, cui si attribuisce la competenza di promuovere l’efficienza a prescindere dai fini che deve servire), che vanno contemperate con i bisogni dei soggetti coinvolti.L’etica degli affari cerca cioè di elaborare un quadro normativo (più o meno formale) di diritti e responsabilità che imbriglino queste logiche «naturali» in modo da tutelare gli altri soggetti.

Relatore Prof. Danilo Bano, anno accademico 1995/96, Università Ca’ Foscari di Venezia, Facoltà di Economia, corso di laurea in economia Aziendale.

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