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(voce di SopraPensiero)Rudyard Kipling, La guerra nelle montagne (Impressioni dal fronte italiano), a cura di Massimo Zamorani, collana «Testimonianze fra cronaca e storia», Mursia, Milano 2011, pp. 124, € 12,00
Ottobre 2000. La regina Elisabetta d’Inghilterra è in visita a Roma. Passando, a Villa Borghese, sotto il monumento all’artigliere alpino, raffigurato con il suo mulo, la regina fa mostra di sapere bene chi sono gli alpini; e cita un libro ben poco conosciuto da noi, ma diffuso in Gran Bretagna, perché opera del popolarissimo Rudyard Kipling: La guerra nelle montagne.
Il grande narratore, giornalista, viaggiatore aveva già toccato l’apice della sua popolarità: nel 1907, giovanissimo (aveva solo 41 anni), aveva ottenuto il Nobel per la letteratura, soprattutto per Il libro della giungla (1894). Nel frattempo aveva pubblicato opere diventate presto dei classici: Capitani coraggiosi (1897) e Kim (1901), per citare qualche titolo. Popolarità anche dovuta all’essere diventato la «voce dell’imperialismo britannico». Ma proprio questa caratteristica non gli tornò favorevole con l’avvento della grande guerra.
Per tutto il conflitto Kipling svolse comunque il ruolo di corrispondente di guerra, sul fronte occidentale prima (dove, nell’autunno del 1915 aveva perso il maggiore dei suoi figli, John, caduto nella grande battaglia di Loos) e su quello italiano poi. Nella primavera del 1917 Kipling è sul fronte orientale italiano e qui ha l’occasione di vedere da vicino le nostre truppe da montagna.
Il breve reportage segue il percorso delle sue peregrinazioni, dall’Isonzo e dal Pogdora a Cortina d’Ampezzo, fino agli altopiani trentini. Abbastanza scoperto l’intento propagandistico verso un alleato (strumentalmente) importante: le lodi al Re, al generale Cadorna e alla perfetta organizzazione de «la più antica e la più giovane delle nazioni» (p. 56) destano qualche perplessità. Però gli incontri con i singoli uomini e i reparti sono autentici e colmi di simpatia (un po’ preconcetta, invece, l’antipatia per gli imperiali). Tanto più che, ascoltando le risposte alle sue domande, Kipling annota: «Non c’è sfoggio, né ostentazione, né enfasi retorica, e neppure, per quel che è dato di vedere, la volontà di mettere in luce soltanto il lato migliore della situazione» (p. 54).
Senza dubbio il narratore-avventuriero era rimasto sbalordito di fronte alle difficoltà della guerra in alta quota: «Le postazioni montane ricevono truppe e approvvigionamenti da località lontane centinaia di chilometri, attraverso le nuove strade che si diramano dalle principali arterie di comunicazione e si suddividono in sentieri e mulattiere che terminano sulla nuda roccia; esse appaiono tanto sottili e filiformi quanto le radici raffigurate in uno schema botanico sull’adesione capillare. Un’impresa più eccezionale della conquista e del controllo di questo specifico territorio, in termini di progettazione, preparazione e resistenza ad atrocità inimmaginabili, non si era mai vista prima di allora, e tuttavia essa è passata quasi inosservata agli occhi delle altre nazioni, ciascuna sprofondata nel proprio inferno personale» (p. 34).
È naturale, allora, l’interesse per questi uomini: «Gli Alpini hanno un cappello decorato con una penna d’aquila (in certi casi talmente consumata da essere poco più che un valoroso moncherino); ramponi dalle punte letali come le zanne di un lupo, che tengono altrettanto affilate; occhi in cui brilla lo sguardo dei nostri aviatori; e un modo di camminare sui terreni a loro familiari che ricorda il moto delle onde. Mai prima d’allora avevo avuto l’onore di conoscere un corpo più allegro di giovani scapestrati, con il carattere tosto, l’aspetto curato e lo sguardo inflessibile» (pp. 41-42).
Il libro, nel complesso, mantiene un po’ meno di quanto promette. Ma, proprio in considerazione del suo autore, resta una testimonianza importante. E fino ad oggi quasi sconosciuta in Italia (la prima edizione apparve nello stesso 1917, grazie alla milanese casa editrice «Risorgimento»; la seconda tra le pagine della «Rivista Militare» nel 1988). Merito, dunque, alla Casa editrice Mursia, da sempre attenta alla nostra storia.