Due amici, Marietto e Arturo, si ritrovano per caso dopo molto tempo e si intrattengono ricordando gli anni trascorsi in seminario, ignari che questo incontro sarà l’inizio di una radicale svolta nelle loro esistenze, stravolgimento annunciato da una lussureggiante Alfa Romeo Giulia stile retrò. Inizia così l’ultima fatica di Martino De Vita, «Giulia la rossa» (Tra le righe libri, 2017), un romanzo interessante non solo per la trama particolarmente elaborata, costituita dall’intreccio di alcune storie che proseguono parallele per risolversi nella parte finale, ma soprattutto per i temi socio-culturali che lo scrittore affronta. Problematiche di grande attualità che fanno parte delle sfide che la civiltà occidentale è costantemente chiamata ad affrontare e per questo sollecitano perplessità. De Vita cerca di dare una risposta spingendo il lettore a riflettere sul valore dell’unione come potere di un popolo multietnico, che può esistere solo nella concordia, attraverso una storia fatta da amori non sempre corrisposti, che rivela la varietà della psiche umana.
Inizialmente Marietto e Arturo sono ambedue innamorati di Elisa, una commessa dalla forme particolarmente abbondanti che lavora in una libreria. I due amici non sanno di essere interessati alla stessa persona e quando se ne rendono conto non hanno il tempo di gareggiare in amore, perché nel momento in cui è Arturo ad avere la meglio sulla fanciulla, Marietto si imbatte in una nuova conoscenza. Mentre aspetta il compagno di notte in una piazza, la sua attenzione viene richiamata dallo zingaro Zàdr che girovaga per la città con la sua bella Giulia di color rosso fiammante. Il rom non vede in Marietto alcun pericolo, lo chiamerà in un secondo momento il cagge buono usando l’epiteto che il suo popolo riserva con significato dispregiativo agli autoctoni, e lo invita al campo nomadi dopo avergli raccontato la sua triste storia. Durante una danza di benvenuto delle romnì (le ragazze della comunità rom) l’ospite si innamora di Irshà, che ribattezza ispirato dalla sua passione amorosa «Occhi di Giada», dimenticandosi completamente di Arturo e di Elisa.
Questi ultimi nei giorni che seguono hanno la possibilità diapprofondire la loro conoscenza e lui si dimostra estremamentecomprensivo quando lei subisce una terribile violenza sessuale da parte del suo ex ragazzo, Ercole, un metronotte talmente attaccato al suo lavoro da apparire irreprensibile, ma ossessionato da perverse fantasie sessuali e dal bisogno di affermare continuamente la sua virilità. Il losco figuro fa una visita inaspettata di sera a Elisa, che rifiutandosi di andare a cena con lui provoca la sua ira. De Vita descrive in modo particolareggiato la scena, che è sicuramente uno dei momenti più significativi dell’opera. Ercole perde completamente il controllo nel momento in cui la sua ex gli fa capire che non farà sesso con lui, un rifiuto inaccettabile non solo per orgoglio personale, ma soprattutto perché gli impedirà di avere un’ennesima prova della sua capacità di realizzare prestazioni sessuali estremamente appaganti, una dimostrazione di cui la sua psiche debole e alterata prova costantemente un bisogno spasmodico.
Quando Arturo ed Elisa raccontano a Marietto il terribile accaduto lui, impegnato a fare in modo che la comunità rom accetti il suo amore impossibile per Irshà, decide di chiedere aiuto proprio agli zingari per punire la condotta inaccettabile di Ercole. Iniziano una serie di vicende parallele che creano l’intreccio narrativo, amori e difficoltà si susseguono in una piccola comunità multietnica composta da rom e italiani che, superando le diversità, si incontrano e imparano a stimarsi per i contributi culturali che possono trasmettersi. Alla mentalità di Ercole, chiusa in una realtà individuale isolata da ogni contatto esterno e caratterizzata dall’insicurezza e dalla sottomissione ai fantasmi della psiche che oltre a renderlo asociale, lo hanno avvicinato alla pura bestialità, si contrappone il felice connubio culturale degli altri personaggi. Gli autoctoni cercano di comprendere gli aspetti del folklore rom nei loro aspetti più autentici, mentre dal canto loro gli zingari imparano ad apprezzare l’amicizia degli italiani, si rendono conto che non tutti i cagge sono loro avversi.
De Vita fin dall’ingresso in scena di Zàdr si impegna attraverso il dialogo tra lo straniero e Marietto a descrivere un modello di rom completamente opposto all’immaginario comune, dove non è il nomade che ruba, anzi è lui ad essere vittima degli altri, forse di qualche delinquente cagge che gli sottrae la bella macchina sportiva, ritrovata per pura fortuna in un parcheggio. Lo zingaro insiste sul bisogno del suo popolo di difendersi dalla cattiveria degli autoctoni, che perseguitano i rom per i loro caratteri culturali. Il messaggio è chiaro; la storia, anche quella attuale, cambia a seconda del punto di vista del narratore. Anche i nomadi hanno le loro ragioni, il loro comportamento aggressivo è spesso una difesa contro il pregiudizio, ma se trovano un amico lo sanno riconoscere anche se non appartiene al loro gruppo etnico.
L’incontro tra culture diverse nel romanzo avviene con spontaneità, senza che ipersonaggi debbano subire imposizioni. Una lezione di civiltà che l’autore vuole impartire senza pretese di saccenteria, ma limitandosi a descrivere una realtà ideale che per lui, per il suo modo di guardare alla varietà dell’umanità in modo positivo, è tutt’altro che irrealizzabile.