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(voce di SopraPensiero)«Nell’opinione comune, se sei grassa è colpa tua. Un’obesa è semplicemente una che mangia troppo e non si muove a sufficienza per smaltire, e questa è l’unica causa del suo male. Così pensano i più e, come tutti i luoghi comuni, anche questa visione ha un suo fondo di verità. Ma si tratta di una verità incompleta». Nella nostra epoca caratterizzata da una curiosa e preoccupante schizofrenia fra il proliferare di libri e trasmissioni di cucina e l’ossessione per la forma fisica (al punto che ormai è moda tra i pediatri prescrivere diete dimagranti a bambini che avrebbero 3-4 chili in eccesso), l’obeso è un colpevole: potrebbe dimagrire da un momento all’altro, se solo lo volesse, ma preferisce cedere alla tentazione autolesionista del cibo. Be’, che s’ingozzi, e ne paghi le conseguenze. L’obesità potrà anche essere una malattia, ma se lo è suscita le stesse reazioni dell’AIDS: «Ha voluto spassarsela? Ben gli sta». Non si tratta di un crudele moralismo da saletta parrocchiale: l’obesità in generale è considerata così. Quante volte abbiamo sentito dire che chi mangia troppo «dovrebbe avere più rispetto per se stesso»? Se lui è il primo a non rispettarsi, perché dovrebbero farlo gli altri?
Senso di colpa, finzione, solitudine: la vita dell’obeso – a tutte le età, le latitudini, le collocazioni sociali – è connotata da queste cose. Senso di colpa perenne, per ogni cosa fatta (mangiare un biscotto…) o non fatta (andare a correre…); finzione, di star bene, di piacersi, di voler cambiare (chi potrebbe capire il peso di quella difficoltà?); solitudine, unica compagna affidabile, unico sprazzo di sincerità e di riposo. Domitilla Melloni descrive la propria esperienza di obesità e di cura in un racconto che la densità di una biografia, ma che l’autrice riesce a sviluppare e ad offrire con il tono giusto, che rende leggeri anche i contenuti più amari. Con una encomiabile lucidità e fecondità espressiva, che arriva a porre anche al lettore meno avvertito la domanda cruciale: il grasso, il chiattone, l’obeso insomma non è un suicida, né uno stupido che ha bisogno di consigli stereotipati e ritriti. È un uomo – o una donna – ammalato, che soffre ogni minuto della giornata. Te ne eri mai accorto?
D. Melloni, Forte e sottile è il mio canto. Storia di una donna obesa, ed. Giunti, 2014, pp. 208, euro 12.