Georges John Romanes, discepolo di Darwin e autore di studi pionieristici di psicologia comparata, istituì nel 1891 le “Conferenze Romanes” all’Università di Oxford. Fu Romanes stesso a scegliere i primi due conferenzieri che furono Gladstone – che da poco era tornato alla guida del governo – il 24 ottobre 1892 e Thomas Henry Huxley il 18 maggio 1893. È il testo di questa conferenza che presentiamo in questo e-book nella sua prima traduzione italiana del 1894, dopo l’enorme successo editoriale che l’opuscolo di 57 pagine edito da Mcmillan aveva avuto l’anno precedente. Successo meritato perché siamo certamente di fronte a uno dei testi più importanti e brillanti della prosa scientifica del XIX secolo. Morto Darwin da oltre dieci anni, Huxley si trovava ora nella posizione di più influente e prestigioso esponente dell’evoluzionismo, tenendo anche conto che Alfred Russel Wallace – che indipendentemente da Darwin e in pratica contemporaneamente aveva proposto la teoria della selezione naturale – ed Herbert Spencer – uno dei filosofi più influenti del periodo – erano personalità non “accademiche”.

Romanes aveva posto come condizione, per le conferenze legate al suo nome, che si evitassero argomenti politici e religiosi. In realtà Huxley interpreta questa clausola come “non parlare di cristianesimo”. Infatti dedica la parte iniziale della conferenza alle antiche filosofie orientali e greche e non si può certo negare, ad esempio, che bramanesimo e buddismo siano religioni. Passa quindi a parlare del rapporto tra etica e moderna teoria dell’evoluzione saltando del tutto il cristianesimo, come se non fosse mai esistito. Rispetta quindi, in un certo qual modo, la clausola di Romanes, ma in maniera tale da risultare forse ancor più provocatorio. Huxley riesce a sintetizzare in maniera mirabile gli ultimi suoi dieci anni di riflessioni e di analisi; dieci anni che portarono anche per lui una “evoluzione” del suo pensiero. Quello che cerca di fare l’autore in queste pagine è di mostrare come sia potuta avvenire un’evoluzione dell’etica, cioè dei sentimenti morali, partendo da una situazione di “indifferenza morale della natura” e condividendo questa valutazione con le antiche filosofie dell’India e della Grecia; contemporaneamente vuole condurci a comprendere come la scienza, ricercando costantemente la causalità e il determinismo universali (pur sapendo quanto possano essere complessi), contiene un insegnamento morale che si può riassumere nell’umiltà di fronte ai fatti, nel rifiuto di spingere la propria ricerca nell’inconoscibile, il tutto coniugato pazientemente con la ricerca di un “ordine” nella natura. In una sua celeberrima pagina tratta da Science and Morals, del 1886, Huxley scrive, paragonando la scienza a Cenerentola:

«Cenerentola è modesta, consapevole della sua ignoranza in queste cose elevate. Accende il fuoco, spazza e fa da mangiare, e per tutto ringraziamento le dicono che è una persona meschina, tutta presa da preoccupazioni vili e materiali. Ma nel suo solaio ha visioni fiabesche inimmaginabili per le due bisbetiche che litigano da basso. Vede l’ordine che pervade l’apparente disordine del mondo; davanti ai suoi occhi si svolge il grande dramma dell’evoluzione, con tutta la sua parte di miseria e di orrore, ma anche con tanta bontà e bellezza; e nel fondo del cuore apprende la lezione che il fondamento della moralità è farla finita, una volta per tutte, con la menzogna e rinunciare a far finta di credere cose di cui non ci sono prove e a ripetere proposizioni inintellegibili su cose al di là delle possibilità della conoscenza. La scienza sa che la sicurezza della morale non sta nell’adozione di questa o quella speculazione filosofica, di questo o quel credo teologico, ma in una vera e viva credenza in quell’ordine fisso della natura che fa seguire la disgregazione sociale all’immoralità con la stessa certezza con cui si fa seguire la malattia fisica agli eccessi del corpo. E di questa fede salda e viva ha l’alta missione di esser la sacerdotessa.»

Oggi sappiamo che voler fornire le basi empiriche e i principi di qualunque idea di organizzazione sociale da parte della scienza, nonché ritenere che questa possa essere l’unico mezzo razionale per gestire la vita sociale, porta questa a interpretare la propria parte in maniera talmente “religiosa” che lo stesso Huxley probabilmente inorridirebbe. L’abuso del concetto ottocentesco di “evidenza scientifica” farebbe sussultare qualunque epistemologo del XX secolo.

Il suo terrore di conservatore intransigente per le istanze socialiste lo aveva fatto aderire all’idea della durezza immodificabile dei fatti di natura. In questa conferenza, come detto, riassume però le sue riflessioni più recenti con le quali cerca di riportare nei confini dell’evoluzione biologica l’idea che questa “metafora” possa invece estendersi ai fatti sociali. Non a caso la reazione di Spencer non si fece attendere:

«La concezione di Huxley è in pratica una resa della dottrina generale dell’evoluzione per quanto riguarda le sue applicazioni più importanti e si fonda sul ridicolo presupposto che la sua applicazione al mondo organico si limiti alla lotta per l’esistenza fra gli individui nei suoi aspetti più feroci e non abbia nulla da vedere con lo sviluppo dell’organizzazione sociale o con la modificazione della mente umana che ha luogo nel corso di tale organizzazione…».

L’avere comunque modificato la propria posizione in maniera da non fungere da sponda al sorgere del “darwinismo sociale” ispirato dalle idee di Spencer, non mette Huxley al riparo dalla constatazione che già nella sua epoca era possibile, e con rigore scientifico, una posizione che mettesse l’accento oltre che sulla competizione anche sull’altruismo. Lo stesso Darwin, in The Descent of Man, aveva sottolineato come le peculiarità degli atteggiamenti “morali” umani derivino per evoluzione graduale dagli istinti sociali del mondo animale. Queste facoltà si erano sviluppate per lo stesso processo evolutivo che era alla base delle modificazioni delle caratteristiche fisiche. Ma già Kropotkin aveva posto in rilievo (nella sua opera Il mutuo appoggio, presente nella biblioteca Manuzio e oggi enormemente rivalutata dall’ambiente della biologia evoluzionista) l’importanza della cooperazione e dell’altruismo nelle dinamiche evolutive; i biologi scozzesi Patrick Geddes e J. Arthur Thomson nel loro lavoro del 1889, anticipatore di tematiche che diverranno poi diffusissime negli studi del XX secolo, The Evoluti**on of Sex affermano e argomentano come ogni fenomeno legato alla riproduzione, fin dalle forme di vita più semplici ed elementari, sia fondamentalmente un comportamento altruistico e cooperativistico.

L’anno successivo alla pubblicazione di Evolution and Ethics Huxley decise a scrivere alcune pagine di Prolegomena che facessero da introduzione alla ristampa del testo della sua conferenza. In queste pagine, che purtroppo non sono comprese in questa edizione italiana, Huxley ribadisce l’idea del contrasto tra artificiale e naturale:

«perfino nello stesso stato di natura, che cos’è la lotta per l’esistenza se non l’antagonismo che nell’ambito della vita contrappone gli uni agli altri i prodotti del processo cosmico?».

Con queste pagine Huxley consolida la propria immagine di “cane da guardia di Darwin” che ne conservano i posteri: come Darwin, infatti, mise sempre con forza l’accento sul carattere metaforico di “lotta per l’esistenza” Huxley prospetta invece una lotta che lui stesso definisce “gladiatoria”. Nella sua concezione è questo aspetto un po’ truce dell’equilibrio biologico ed ecologico che crea, per contrapposizione, lo spazio per i principi morali come cardini dell’ordine sociale.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del saggio:

C’è una dilettevole storia da bambini, conosciuta col titolo di «Jack ed il gambo di fava», la quale dev’essere familiare ai contemporanei qui presenti.
Però son tanti i nostri gravi e reverendi giovani che furono allevati con nutrimento intellettuale più severo, ed hanno forse conosciuto la terra delle fate solamente sui primi libri della Mitologia comparata, che credo necessario il dare qui un abbozzo della leggenda.
Una pianta di fava cresce e cresce, finchè raggiunge gli alti cieli, e là si allarga in un vasto pergolato di fogliame. Un eroe invogliatosi di tentarne la cima, s’arrampica su per il gambo e scopre che quell’estensione di fogliame sopporta un mondo composto degli stessi elementi di quello sottostante, ma tuttavia stranamente nuovo. E le sue avventure lassù, sulle quali io non posso dilungarmi, debbono aver cambiato completamente le sue cognizioni sulla natura delle cose: quantunque la storia, non essendo stata composta nè da filosofi, nè per filosofi, non dica nulla su tali cognizioni.

Scarica gratis: Evoluzione ed etica di Thomas Henry Huxley.