Nel settembre1845 un gruppo di patrioti occupò Rimini, e pubblicò un “Manifesto di Rimini” che esponeva le loro richieste al pontefice. Il moto venne represso entro pochi giorni, e viene ricordato per due motivi: il manifesto fu redatto da Luigi Carlo Farini, che avrebbe poi avuto un ruolo secondario ma rilevante nel Risorgimento italiano, e soprattutto perchè fu l’occasione che indusse Massimo d’Azeglio a pubblicare le sue riflessioni nel pamphlet Degli ultimi casi di Romagna, pubblicato nel 1846, a Firenze (perchè a Torino non sarebbe stato ben accetto). Ebbe subito un clamoroso successo, con numerose edizioni. Le prime edizioni, a differenza di quella del 1848 che vi presentiamo, contenevano un solo documento: la sentenza di condanna dei congiurati, commentata dall’autore. Gli editori successivi hanno aggiunto una serie di altri scritti, di provenienza e di natura varia.

L’ultimo di questi documenti, anonimo e col titolo Indirizzo al successore di Gregorio XVI scritto per cura di un galantuomo, ma edito inizialmente col titolo completo Appendice al libro d’Azeglio sugli Ultimi avvenimenti di Romagna o Indirizzo al successore di Gregorio XVI scritto per cura di un galantuomo, irritò d’Azeglio, che in una lettera del gennaio ‘47 al “Fanfulla” di Roma scrisse:

«A scritti pubblicati col nome dell’autore si possono far risposte od opporre confutazioni parimenti firmate; e questo è onorevole ed onesto modo di mettere le diverse passioni a contrasto, e farne giudice l’universale: ma nessuno ha diritto d’aggiungere di proprio arbitrio agli scritti altrui appendici o continuazioni che più o meno suppongono accordo o società con l’autore: mentre i vocaboli stessi d’accordo o di società, implicano volontà libera nei contraenti; ed affermare il contrario sarebbe ingiusto ed assurdo.

Tanto meno poi esiste il diritto d’associare il nome altrui ad un atto vile e vergognoso quale è quello d’infamare un privato, per mire evidentemente private nascondendosi dietro l’anonimo.

Dichiaro perciò che ripudio e rinnego ogni società o vincolo qualunque coll’autore dell’Appendice, e rimetto nell’opinione pubblica il giudicare se il mio nome meritasse d’essere scritto sul frontispizio d’un simile libello.»

L’opuscolo di d’Azeglio è uno dei libri simbolo del moderatismo italiano, insieme alle Speranze d’Italia di Cesare Balbo ed a Del primato morale e civile degli italiani di Vincenzo Gioberti.

Nei mesi precedenti al moto, d’Azeglio aveva viaggiato nelle provincie pontificie incontrando diversi patrioti, ed aveva sconsigliato il moto stesso. Dopo il fatto, rimprovera il danno che moti locali come questo portano alla “causa della nazione”. Non nega la necessità di combattere il nefando governo pontificio, inefficiente economicamente, tirannico nell’amministrazione della giustizia, corrotto. Tra gli altri cita l’esempio delle Commissioni straordinarie, tribunali istituiti per reprimere il dissenso politico, ma sostiene che la ribellione armata non sia la via giusta da percorrere. D’Azeglio propone, come alternativa, quello che definisce un “complotto alla luce del sole”: gli italiani dovrebbero unirsi in una protesta pacifica ma determinata contro le ingiustizie, usando la forza del dibattito pubblico e dell’opinione pubblica per fare pressione sui governi affinché attuino riforme.

Sinossi a cura di Claudio Paganelli

Dall’incipit del libro:

Sui moti di Rimini del settembre scorso (1846) pochissimi, e forse que’ soli che si trovarono al fatto, hanno saputa la verità: ed in Italia, ove le corrispondenze particolari non osano, ed i pubblici fogli non vogliono dirla, non può essere altrimenti. Stando alle loro notizie, copiate dai fogli stranieri, e sparse così in tutta Europa, poche centinaia di disperati, guidati da un uomo condannato a dieci anni di galera, hanno turbata la pace pubblica, e rovesciata in Rimini l’autorità pontificia: poscia, spargendosi in piccole bande per l’Apennino, e fuggendo dinanzi alle baionette svizzere, in pochi giorni sono stati del tutto dissipati, e lasciando la città, hanno commesso disordini e ruberie, riportando taccia di perturbatori, ladri e codardi.
Io stimo intempestivo e dannoso il moto di Rimini, come stimerò sempre intempestivi e dannosi siffatti moti parziali, ed aggiungerò a fronte alta, che li stimo perciò biasimevoli, non avendo diritto una ristrettissima minorità di farsi giudice se sia o no opportuno spinger la propria nazione nella gran lotta dell’indipendenza, non avendo diritto di giocar su un tiro di dadi la sostanza, la quiete, la libertà, la vita di un numero incalcolabile de’ suoi concittadini, e, quel che più importa, l’onore e le sorti future della intera nazione. Io disapprovo dunque il moto di Rimini; e questo scritto cadrà probabilmente in mano di molti che di tal disapprovazione potrebbero rendermi larga testimonianza, essendosi per tutta Italia sparsa molti mesi innanzi la voce prepararsi un moto in Romagna, ed avendo io cento volte ripetuto tenerla per cosa inconsiderata e dannosa.

Scarica gratis: Degli ultimi casi di Romagna di Massimo d’Azeglio.