Caterina Trombetti (a cura di), Dal cielo cascò una rosa. Voci poetiche dal carcere, Florence Art Edizioni, Firenze 2010, pp. 72, € 7,00 – ISBN: 978-88-95631-33-2
Violavano le rose l’orizzonte,/ esitanti città stavano in cielo/ aspersi di giardini tormentosi,/ la sua voce nell’aria era una roccia/ deserta ed incolmabile di fiori (Mario Luzi)
La linea indifesa dell’orizzonte raccoglie rose nelle voci deserte di inquiete realtà ma proprio da questo grappolo di fiori che s’intravede tra «le cimase», germina l’esperienza che ci offre Caterina Trombetti, poetessa e amica di Mario Luzi. Dal grande poeta e maestro eredita la passione dell’ascolto e l’accoglienza. La sua vicinanza ai ragazzi del carcere di Sollicciano raccoglie parole di libertà, di rose, di luci, di meditazione per dar voce ad un accorato lenimento del dolore nella poesia. Poesia intesa come esperienza dell’esistenza, come conoscenza del baratro e speranza di resurrezione.
Proprio la reclusione partorisce il suo contrario in uno svolgersi di versi che potrebbero essere letti in una continuità che svelerebbe il recondito desiderio di riappropriarsi del proprio «sé» e penetrare il senso delle cose che esistono dentro e fuori dalle sbarre. Si generano così, proprio in inconsapevoli costruzioni in versi, un avvicinamento all’essenzialità dell’animo e un coagulo d’amore raccolti da Caterina Trombetti con la cura che si deve sempre verso chi cerca di recuperare valori perduti ma non dis-persi.
«Quando all’inizio dell’anno 2007-2008 mi è stato proposto di tenere un corso di poesia al monoennio per Geometri nella sezione di media sorveglianza della casa circondariale di Sollicciano [ […]] il proposito e l’obiettivo furono quelli di sviluppare negli studenti una maggiore consapevolezza di sé [ […]] attraverso questa forma letteraria che riesce a scavare profondamente nell’animo umano [ […]]. È importante evidenziare che nel corso erano tutti alunni stranieri, tranne uno, ed è perciò significativo il fatto che abbiano scritto direttamente in Italiano [ […]]. La forza poetica che scaturisce da queste pagine passa attraverso una scrittura che si forma direttamente in una lingua altra dalla loro. Non ho fatto correzioni, se non qualche errore di grammatica [ […]] rivedendo il tutto mi è sembrato interessante fare una vera pubblicazione [ […]] che potesse far riflettere su un mondo che spesso viene ignorato. In questo libro non si dovrà cercare il valore della poesia in sé, ma il valore che la poesia ha e può offrire in un luogo come il carcere».
Poi la poetessa aggiunge: «La scuola può fare molto per i giovani d’oggi se non si riduce ad un mero luogo d’apprendimento, se è attenta anche ai comportamenti e all’aspetto sociale del rapporto educativo». Vorrei sottolineare come queste ultime parole facciano confluire nel discorso poetico una possibile sutura tra detenzione e presunta libertà, tra chi cammina per strade e non degna di uno sguardo il labirinto carcerario (sto parafrasando i versi di una meravigliosa raccolta di Paolo Ruffilli, Le stanze del cielo) e chi dal chiuso non può uscire. La dignità della persona dal carcere o da una vita i cui legacci comunque imbrigliano e soffocano, necessita di voci che con umiltà e competenza sperimentino strade di confronto e di ricerca.
Certa di quanto Caterina Trombetti abbia saputo portare nell’animo dei suoi ragazzi, la ringrazio e, a caso, incapace di sceglierne per empatia qualcuna in particolare, posto due poesie:
Il sole sale di nuovo/ è una bella giornata/ come tante altre./ La sua luce che batte sui tetti/ illumina la terra,/ e manda via l’incubo della notte./ Eccola , eccola, splendente./Gli animali cominciano a cantare,/ gli uccelli a volare,/ gli uomini a lavorare/ il suo messaggio è forte/ ma/ eccola, eccola che va./ Va di nuovo,/ ci lascia soli, tristi, non possiamo fare altro/ che aspettare il suo ritorno./ Eccola che si nasconde/ dietro le grandi montagne (Jawad).
Libertà persa,/ giorni non vissuti/ un numero cancellato/ dal calendario appeso./ il conteggio è lento/ di una vita limitata (Samir)