Ugo Santamaria
C’era una volta un manuale povero ma povero, che aveva tre figlioli come le dita.
La notte che gli nacque il maggiore in casa non c’era neppure un po’ d’olio per empire la lucerna e lui stava al buio in cucina a sedere e fantasticava.
Terminata l’istruzione delle reclute, Casimiro Garavini fu mandato con altri trecento compagni a Derna, per dare il cambio ai congedati di una classe che ritornava.
Di fuori pioveva, pioveva...
Carmela seduta presso il grosso letto maritale, ad un canto del quale giaceva il bambino ammalato, agucchiava alacremente al fioco chiarore della lucerna di creta posata sul comodino.
Vi era una volta una fanciulla – ohimè quante ve ne furono e quante ve ne sono! – una fanciulla che doveva pacificamente sposare un giovanotto. Costui era un bravo ragazzo, negoziante all’ingrosso di spirito e di zucchero; i suoi buoni amici dicevano che…
Di due amici, Giulio Galardi e Alfonso Varchi, quello che, agiato di casa sua, apparentemente non aveva nulla da fare, viveva scapolo; e l’altro, direttore di una grossa azienda, commerciante, consigliere comunale e membro di commissioni e istituzioni e opere pie, l’altro, il quale aveva tanto da fare, s’ammogliò.
C’era una volta una bambina che si chiamava Annuccia: aveva otto anni, ed era buona, con de’ grandi occhi neri pieni di foco e d’intelligenza.
È così raro trovare una donna geniale, anche – starei per dire specialmente – fra quelle che passano per tali, che quando qualcuna emerge fra le sue simili per originalità di carattere, è come un faro luminoso nelle tenebre.
Io non ho, qui a Napoli, con chi sfogare certe mie piccole pene, che mi pare abbiano tutta la buona intenzione di rimanersene meco alloggiate, in questa cameretta mia solitaria.
Eravamo in due sempre piccoli e bastantemente bruttini. Mio fratello aveva un collo lungo sterminato, coperto di pelle grinzosa e sotto a questa gli si vedevano le vene, i muscoli, gli ossi; aveva un testone tutto spelacchiato…