Questa raccolta, pubblicata nel 1889, è la seconda ed ultima nella storia della produzione narrativa di Enrico Panzacchi, seguente a Racconti incredibili e credibili, del 1885. Peraltro tutte le otto novelle che facevano parte della prima raccolta sono riproposte anche in questa, a volte con titoli diversi, con pochi aggiustamenti e correzioni. Permane anche qui un coerente impianto compositivo tardo-romantico con poche venature veriste. È un “piccolo rigagnolo” che l’autore manda “a perdersi nel grosso fiume della letteratura narrativa contemporanea” e sono “i miei” racconti, scrive, perché:
«mentre alcuni di essi sono delle vere paginette autobiografiche, gli altri, generalmente, furono o pensati o scritti sulle rive amene della Savena, mentre io accoglievo nell’animo le memorie della mia fanciullezza e della mia prima giovinezza, e particolari vivi e fantasmi vaghi di fatti, di persone, di luoghi.»
In effetti, molti dei racconti hanno per sfondo naturale la zona, nei pressi di Bologna, delimitata ad est dal Sàvena, torrente citato anche da Dante nella Commedia, e ad ovest dal Reno. Lungo il Sàvena ancora oggi si possono scoprire luoghi piacevoli e boschi in cui passeggiare e meditare.
A parte le otto novelle di cui abbiamo già scritto nella sinossi di Racconti incredibili e credibili (Primo ricordo, Coi sordini, Dopo dieci anni, In casa dell’amico, Cantores, Occhi accusatori, Filomena, che nella raccolta precedente aveva il titolo Nella “Montagnola”, e infine In Repubblica), le altre qui presenti si fondono con le prime in maniera tanto armoniosa da creare una raccolta decisamente più organica rispetto alla precedente. I toni sono sicuramente più intimi, più sentiti, e, nel complesso, l’opera risulta di più piacevole lettura.
La mia unica traversata è la gradevolissima descrizione della traversata da Livorno ad Alghero, traversata che, nonostante i continui disagi, malesseri e complicazioni, e nonostante lo stesso autore la segni come una triste esperienza, in realtà racconta moltissimo del carattere di Panzacchi, sulla sua capacità di resistenza alle difficoltà, sulla sua umanità e sicuramente sulla sua curiosità per le bellezze dell’isola e per il suo primo incarico di lavoro. Era infatti, scrive, la traversata nel dicembre 1865, che lo portava, giovane laureato, al suo primo incarico da professore, di storia, al Liceo classico di Sassari, intitolato al giurista Domenico Alberto Azuni. Il Liceo, che era passato allo stato italiano nel 1861 ed è ospitato oggi in un edificio di notevole pregio, è ed è stato un istituto scolastico di eccellenza: vi hanno studiato due presidenti (Antonio Segni e Francesco Cossiga), Palmiro Togliatti ed Enrico Berlinguer. Nei nostri anni moltǝ sono le alunne e gli alunni che si diplomano nel Liceo Azuni con il massimo dei voti. Certamente la traversata non fu l’unica, visto che Panzacchi appena due anni dopo venne trasferito ad insegnare nel “continente”.
Troviamo riflessioni personali, almeno le immaginiamo tali, nei racconti Dal taccuino d’un astemio – che dispiacere essere astemi quando il vino solleva l’animo e la vendemmia è un momento di bella convivialità; però il vino può anche, se si eccede, far diventare terribili. In Ombra mestasi narra dell’offerta di acquisto, da parte forse dell’autore, di un pianoforte, un bellissimo Erard a coda, appartenuto a una contessa morta giovane, affetta da forte gelosia; in Ai piedi della santa Panzacchi racconta la storia di un pittore, che egli descrive come amico, incaricato di dipingere all’interno della chiesa di Santa Maria della Vittoria a Roma dove è conservata la statua di Santa Teresa del Bernini; in Fra Ginepro è il racconto quasi magico diunapasseggiata notturna la notte di Natale per raggiungere la famiglia: la paura del luogo oscuro e solitario e dei “fantasimi” è annullata dalla giovialità di Fra Ginepro. Al di là della siepe è un delizioso quadretto sul bel tempo andato e sulle piccole e graziose cappellette che una volta ornavano le ville di campagna. Infine in Primo passo sono note e ricordi personali, tra satira, deferenza verso l’autorità e Unità d’Italia.
Una parte dei racconti è dedicata ai temi dell’amore, della gelosia, dell’innocenza. Ne Al “Lohengrin” è bel quadretto di gelosia teatrale, sullo sfondo della controversia tra wagneriani e non. Tuttavia, da come l’autore descrive l’esecuzione del 1871 del Lohengrin, sembra proprio che tra i presenti ci fosse anche lui, Panzacchi. In Lorenzetta è la forza del primo amore, che, quando non corrisposto, può essere fatale; in Galatea è il ritratto di una bella ragazza romagnola, che, come l’eroina virgiliana, fugge sempre anche dall’amore. La storia tragica del Povero Guermanetto! è la storia di quanti sembrano nati per servire e assuefatti “a vedere un padrone in ognuno”. Lui, il povero ingenuo, è costretto a lavorare per tutti e a temere soprattutto due prepotenti. Siamo tra Romagna e Toscana nel 1849, tra dominio della Chiesa e arrivo degli Austriaci, gli animi sono inquieti. I tempi non saranno favorevoli al pover’uomo. Infedeltà racconta una relazione tra due amanti in cui però lei è sposata, anche se malamente, e lui spera fino all’ultimo di averla comunque tutta per sé e che non si appiani il rapporto con il marito. La statua è una piccola rivisitazione del mito di Pigmalione e Galatea, indubbiamente una relazione d’amore, una volta tanto anche con il punto di vista di lei. Evocazione è una breve avventura di viaggio in treno tra due che hanno avuto una storia, per lui ormai passata, dimenticata, sepolta, per lei quasi ancora una ferita viva e solo due “rosine bianche” restano come testimoni.
Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi
Dall’incipit del libro:
Adesso io voglio risalire con la mente al primo ricordo preciso della mia vita. Più in là, per quanto io guardi, non veggo che ondeggiarmi dinnanzi qualche ombra vaga, perdentesi nei primissimi crepuscoli della mia memoria.
Ecco: io veggo ancora la casetta ove la mia famiglia passava gran parte dell’anno quand’ero bambino; bassa, bianca, con le finestre verdi, non circondata d’alberi, posta fra la strada maestra e il fiume Savena, a cinque chilometri da Bologna.
Doveva da poco essere incominciato il giorno, perchè, guardando dalla finestra, io vedevo il cielo da una parte tutto sparso di nubi rosse; un rosso vivissimo, come non ne ho visto di poi che assai rare volte, in qualche tramonto estivo.
Quantunque fosse così di buon’ora, nella casa era un tramestio insolito. Sentivo aprire e chiudere usci, sentivo passi affrettati e bisbigli.
Certo io non mi vestii e non scesi di letto senza aiuto; ma non mi posso ricordare di chi m’aiutasse. Veggo la fisonomia d’una ragazza di casa, l’Eugenia; ma quella fisonomia si mesce confusamente a quasi tutti i miei ricordi infantili.
Dopo, la mia memoria si perde per un certo tratto. C’è come uno strappo che non riesco a riunire…. Dove e come io abbia passato quella giornata non ricordo; un momento mi veggo in confuso a passeggiare con un grande cane pastore vicino al fiume, che cominciava ad ingrossare per una delle solite piene d’autunno.
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