Grazie ai volontari del Progetto Griffo è online (disponibile per il download gratuito) l’ePub: Storia d’Italia dal 1871 al 1915 di Benedetto Croce.

 

La Storia d’Italia dal 1871 al 1915 di Benedetto Croce è probabilmente uno dei testi più importanti tra quelli che hanno potuto esercitare un’influenza sull’idea e sulla vulgata che gli italiani hanno potuto elaborare sulla propria storia. Rappresenta inoltre uno degli sforzi più compiuti e riusciti prodotti dal filosofo abruzzese per consolidare il proprio sistema filosofico fondato sul momento metodologico della storia. Non solo, ma è in quest’opera che percepiamo meglio l’identità crociana fra poesia e storia, identità sempre percepita ma espressa con mirabile chiarezza da un saggio del poeta Attila Jozsef. Inoltre troviamo in quest’opera l’espressione di un’altra e più sostanziale identità, cioè quella tra storia e filosofia.

Quasi sempre all’estero, ma spesso anche in Italia, l’opera di storiografo di Croce viene sottovalutata e quasi ignorata; quando lo studio di questo aspetto del lavoro di Croce viene affrontato assistiamo a interpretazioni estremamente differenziate. Si passa quindi dall’approccio gramsciano (Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, consultabile in questa stessa biblioteca Manuzio) dove Croce è chiamato in campo come elemento di contrapposizione all’antagonismo di classe e fautore invece di quella collaborazione di classe che dovrebbe funzionare come correttivo o contrappeso alla visione marxista. Va sottolineato tuttavia come in paesi, come in America Latina, dove il movimento operaio spesso si mosse sulla scia del socialismo italiano, Croce viene invece visto come uno dei principali punti di riferimento del movimento socialista. Non vi è dubbio che in alcuni paesi Marx venne conosciuto attraverso Croce e, sulla scia di Croce, attraverso Sorel e Gobetti. Ma il filo conduttore filosofico è quello che l’autore enuncia nell’avvertenza che precede la riedizione, la nona, del 1947 dalla quale è tratto questo e-book (il libro fu pubblicato la prima volta nel 1927):

«Viene essa fuori [questa edizione] quando ormai, da circa quattro anni, l’Italia, crollato il funesto regime che è stato una triste parentesi nella sua storia, respira di nuovo – pure tra le difficoltà del presente e i pericoli – nella libertà, della quale io, scrivendo questo libro nel 1927, procurai da mia parte che non si perdesse il ricordo e il desiderio.»

Confrontando poi questo testo con le Note Autobiografiche del 1934 si comprende che l’analisi dei 45 anni di storia che vanno dal primo decennio successivo all’unità d’Italia fino all’inizio della Prima guerra mondiale (Croce si ferma qui perché proseguire significherebbe invadere il campo del politico, andare oltre alle competenze dello storico) è ispirata da un impegno etico-politico, impegno con il quale si porta in primo piano l’obiettivo di perseguire il chiarimento che

«la storia culturale e morale dell’umanità concretamente si attua nelle azioni politiche intese in tutta la loro estensione e varietà, e viste in questo rapporto e nella considerazione strettamente tecnica di azioni diplomatiche o militari o economiche, e simili.»

L’opera è quindi certamente intrisa di passione etica, intesa a rischiarare la coscienza storica dalla quale avrebbe dovuto nascere la nuova religione della libertà. Si trova conferma anche nell’Epistolario, in particolare dove si riporta l’intervista che nel maggio del 1927 Croce rilasciò alla giornalista Lina Waterfield, nella quale viene sottolineato come l’approfondimento degli studi storici fosse per lui sempre connesso con la filosofia. Dice Croce:

«da alcuni anni in qua io mi occupo soprattutto di storia, giacché il mio pensiero filosofico è nato dagli studi storici, e ad essi ritorna non solo come a fine ultimo, ma anche per alimentarsi nell’esperienza dei fatti e delle passioni umane.»

Vediamo quindi come la storia diventi propedeutica all’azione, e questo svolgendosi dalla filosofia dello spirito diviene trampolino di lancio verso lo storicismo assoluto.

Naturalmente non mancarono espressioni fortemente critiche. Giusto ricordare almeno quelle di G.A. Borgese (sfortunatamente non possiamo ospitare ancora per parecchi anni tra le opere del Borgese stesso il testo Golia. Marcia del fascismo) e, oggi, di Dario Consoli che su Borgese ha condotto uno studio importante. Secondo Borgese il neo-idealismo italiano – sia nella forma conferitagli da Croce che in quella variante di Gentile – non ha alcuna fondamentale obiezione da porre al nazionalismo e al fascismo; al contrario, con le proprie idee di fede nell’istituzione statale e la propria avversione al mazzinianesimo e alla democrazia, in pratica ne fu una stampella. La lettura di la Storia d’Italia dal 1871 al 1915 conferma che per Croce l’idea di “stato come giustizia” si sfuma nell’idea di “stato come forza”. Non si può tuttavia ignorare, e non lo fa neppure Borgese, il ruolo di perno di un certo tipo di resistenza intellettuale antifascista che Croce mantenne soprattutto tramite il Manifesto degli intellettuali antifascisti.

Per tutte queste ragioni il testo che presentiamo riveste un sicuro interesse per chi voglia affrontare il tema di come l’Italia si sia trasformata, e preparata, nei 45 anni presi in esame, al successivo ventennio di oscurantismo e di reazione che ne è seguito. Tutto questo nel quadro programmatico di “liberazione” della storiografia moderna da ogni residuo di materialismo storico che era stato preponderante nei decenni precedenti. Nella ricerca storiografica Croce immerse la sua filosofia, sperimentando una sorta di riordino del suo sistema nell’ambito di uno storicismo assoluto.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

"Storia d'Italia dal 1871 al 1915" di Benedetto CroceNel 1871, fermata la sede del regno in Roma, si ebbe in Italia il sentimento che un intero sistema di fini, a lungo perseguiti, si era a pieno attuato, e che un periodo storico si chiudeva. L’Italia possedeva ormai indipendenza, unità e libertà, cioè le stava dinanzi aperta la via al libero svolgimento cosí dei cittadini come della nazione, delle persone individuali e della persona nazionale; ché tale era stato l’intimo senso del romantico moto delle nazionalità nel secolo decimonono, strettamente congiunto con l’acquisto delle libertà civili e politiche. Non si aveva altro da chiedere per quella parte, almeno per allora; e si poteva tenersi soddisfatti.
Ma ogni chiudersi di periodo storico è la morte di qualche cosa, ancorché cercata e voluta e intrinseca all’opera chiaramente disegnata ed energicamente eseguita; e, come ogni morte, si cinge di rimpianto e di malinconia.

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