La battaglia di Mentana è un poema epico scritto da Victor Hugo nel 1867, a seguito dell’omonima battaglia avvenuta il 3 novembre dello stesso anno. I volontari garibaldini organizzarono una spedizione militare per raggiungere Roma sperando di suscitare l’insurrezione della città contro il regime papalino.

Le cose andarono diversamente: il Re d’Italia, vincolato dalla convenzione del 1864 con la Francia in cui si impegnava a rispettare l’indipendenza dello stato pontificio, sconfessò pubblicamente la spedizione, causando numerose defezioni dall’esercito garibaldino, Napoleone III, informato per tempo dai proclami di Garibaldi, organizzò una spedizione munita di cannoni, che mancavano ai volontari, e dei nuovi fucili chassepots:

«E il novello di guerra ordigno egregio
Che spaccia dodici uomini al minuto.»

e la sperata insurrezione a Roma non si realizzò. La battaglia di Mentana fu l’ultimo atto della “campagna dell’Agro Pontino” e si concluse con la sconfitta di Garibaldi. Dal suo esilio di Guernsey (da qui il sottotitolo “la voce di Guernsey”), Hugo celebra l’eroismo dei volontari morti, invita Garibaldi a raggiungerlo per scambiarsi le memorie degli avvenimenti di Italia e di Francia, e preparare la riscossa, e scaglia anatemi contro tutti quelli che ritiene colpevoli: il papa, Napoleone III e il Re d’Italia (pur senza nominarli espressamente), e il popolo di Roma che non si era mosso.

Sinossi a cura di Claudio Paganelli

Dall’incipit del libro:

Quanti erano quei giovani, quei figli
Di Bruto, di Cammillo e di Trasea?
Quattro mila! E seicento ne son morti!
Contateli. Guardate. Dappertutto
Membra disperse, orribilmente sfatte,
Infrante braccia, vuote occhiaje e nere,
Ventri ove frugan con bramose zanne
I lupi che dagli antri escono urlando,
Carne su pei cespugli sfolgorate;
Ecco ciò che riman, dopo gli orrendi
Tradimenti e gli agguati ed i tranelli,
Di quei cor generosi e di quell’alme!
Lo vedete in un sol colpo di falce
Furon tutti recisi – E il lor delitto?
Volevan Roma e i suoi begli archi augusti.

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