Condivisione e Cultura
Come la tecnologia deforma il concetto di cultura
Condivisione è uno dei tanti vocaboli del dizionario che ha subito pesantemente l’irruzione della tecnologia nella vita quotidiana, perciò quando si parla di condivisione si immagina subito la condivisione di un file, di un qualche tipo di contenuto digitale, di un contatto della nostra rubrica o quant’altro ci portiamo dietro ben protetto nei nostri dispositivi. Ma non è tutto qui.
L’origine della parola è ben più remoto e porta con se significati ben più profondi e importanti per lo sviluppo delle nostre personalità.
C’è stato un tempo, nelle prime fasi di sviluppo di internet, in cui una delle preoccupazioni principali dei primi utenti della rete era la condivisione delle proprie conoscenze con gli altri fruitori di questa meravigliosa tecnologia. La possibilità di condividere dispense ed elaborati era il motivo stesso per cui si lavorò allo sviluppo di questa forma di telecomunicazione e, dopo l’iniziale pubblicazione di milioni di pagine html statiche iniziarono a fiorire discussioni, forum, dibattiti di qualunque natura in cui la fisiologica presenza dei soliti idioti era sotto controllo e gestibile; non senza sforzo e impegno è un dato certo.
Gli utenti aumentavano con curve esponenziali e le vendite di elaboratori, gli investimenti strutturali, l’avvio di formazioni specifiche sembrava destinato a raggiungere ogni angolo del pianeta. Il COVID ci ha dimostrato che le cose non stanno ancora così ma bastava farsi un giro per le zone periferiche e far quattro chiacchere al bar per capire che si trattava del solito circolo di ricconi che giocava con un nuovo giocattolo.
Comunque l’impressione che questa forma di civiltà stia segnando il passo potrebbe essere veritiera; nonostante l’approdo maestoso della pubblica amministrazione in questo porto di pirati qui non si muove più niente che non sia sotto la stretta sorveglianza dei guardiani del sistema e finché si tratta di affari questo è certamente un bene: troppi loschi traffici passano attraverso i cavi della rete, sfruttamento di donne e mercati ancora più turpi restano in parte da smascherare ma, dopo una comparsata di pochi anni in rete tutti i farabutti di strada sembrano essere tornati al loro posto, sulla strada o, meglio, in galera e i pesci grossi comprano e vendono armi, vite umane e pezzi di pianeta alla luce del sole facendosi compilare direttamente dai governi le leggi che gli servono.
Ma la rete non è tornata nelle mani di chi l’ha fatta crescere, volontari desiderosi di condividere cultura, musica, opinioni, esperienze, tecnologia. È rimasta in “proprietà” comune con i commercianti e i bancari, categorie notoriamente affatto interessate a qualunque cosa non metta in corso un bel rivolo di monete sonanti. Una condivisione difficile in cui il più forte dei conviventi ha imposto tecnologie sempre più inutilmente complicate e costose, certo, affidare una transazione economica ai protocolli di trent’anni fa è come lasciare delle banconote appoggiate sulla credenza in cucina, le persone oneste se entrano in casa tua non le toccano ma quante sono le persone oneste su cui contare?
Così, tra questi fatti e la recrudescenza delle leggi sui diritti d’autore ci si trova sempre più in difficoltà nel poter dire ciò che si pensa e nel poter condividere ciò che si ama e ci da soddisfazione e la cultura resta un affare per ricchi. Ma ci sono ancora spazi dove ci si può incontrare e confrontare liberamente e animatamente anche. È quell’area di vecchia tecnologia su cui si appoggia internet che ancora funziona, è il mondo dell’open source, del free software, sono le piazze del paese, i circoli culturali, gli oratori, le biblioteche. Pensate che c’è addirittura un posto dove ti insegnano, in cambio delle tasse che puoi pagare, ti insegnano a costruire tutto questo con la tua partecipazione, è la scuola pubblica, il posto dove lo stato, attraverso degli insegnanti competenti, condivide con tutti il suo patrimonio culturale. È li che abbiamo imparato da piccoli a convivere prima di tutto, a leggere, scrivere, far di conto, magari anche interagire con amici lontani imparando la loro lingua, pregare, rispettare gli altri, costruire fabbricati, inventare macchine nuove, comporre poesie, riportare notizie, esporre idee, far funzionare il sistema.
Gli italiani lo sanno?
Bisognerebbe metterli al corrente, potrebbero buttarla via senza saperlo.