s-tornare in alto/ da un punto ansante di materia inerte (Nina Nasilli)
Sandra Evalgelisti, Diario minimo, collana “Poesia”, Edizioni Del Leone, Spinea (VE) 2011, pp. 128, € 11,40. ISBN: 8873143296
«Il sapore del vento» è l’efficace sinestesia con cui Silvia Evangelisti apre la sua silloge che permea di sé l’intero testo nel quale «la cognizione del dolore» trova una costante fisicità della parola e del canto che l’accompagna s-tornando in alto il pericoloso inabissarsi del verbo poetico. «ed ecco allora/ ogni parola/ è divenuta/ fiore», «ritornerò/ fra le pareti/ del cuore / per sentire/ risuonare/ una voce». Il vento suona, armonizza, ha il gusto dei ricordi, della memoria, riporta «fra le pareti del cuore» occhi amati, luoghi di giovinezza che consolano la solitudine e proprio quando essa dichiara la sua impossibilità di volare, alto e forte si alza il verso dell’autrice «È l’infinita vacuità/ del nulla/ che ti chiedo/ di aiutarmi/ a vivere». Il nulla apre a dilatazioni temporali e spaziali che vanno dal mare al chiuso delle pareti, come se niente e nessun cambiamento possa strappare un sorriso e connotare un dolore costante che si sveglia all’alba «Ciò che fa dire: misericordia-/ allontana/ questo giorno -/ oppure:/ ecco sia fatta/ la Tua volontà/ – non riesco» a cercare briciole che indichino una cornice per l’agito, il suo senso, la bellezza del creato, l’incanto di un abbraccio, forse esistito nella frequentazione dell’assenza.
E l’assenza si misura nella silloge dell’autrice come dicotomia tra il reale e il sognato, nelle parole odorose della voce del vento «non c’è amore che non trascenda il finito». Per le parole bastano gli occhi; ne conseguono nella raccolta un ermetismo e una destrutturazione semantica che annodano dolcezze e rantolii e suggeriscono brandelli di rime, spaesate ed impaurite dall’avverarsi forse di un reale non voluto «Ho sempre perso tutto/ ciò che amavo all’improvviso», «Essere nulla da viva/ ci sono sempre riuscita», ma sperato «La sera coricandomi/ appoggerò,/ e sentirò la mano/ calda/ che accarezza/ e stringe./ Tienimi il viso,/ amore./ Che non muoia». «malata/ del mio stesso male/ non sentivo/ E ora / vivo». È nell’andamento discontinuo dei versi che consiste la pregnanza di questo testo; la poetessa arresta il respiro proprio là dove interrompe il verso, con il corpo coglie la vacuità del nulla in contrapposizione all’intensità del tutto, analizza a pelle nuda turbamento e gioia, immagina fasce di luce «respiro luce intensamente» e «spigoli puntati/ smussati/ dal trascorrere/ dell’ora». Impazzisce l’orologio del tempo e l’autrice gli sovrappone i tempi dell’anima, tempi d’amore che proprio nella negazione del tutto farà respirare l’infinitezza del finito nella lotta quotidiana per dare alla vita la sua interezza nella sostanzialità originaria «Aspetta./ Ancora./ L’infinito bene./ attende». Così la punteggiatura viene ad indicare il respiro corto e «il sapore del vento» e il libro significa un’anima da abbracciare e un corpo a cui pettinare le lunghe trecce.