Grazie ai volontari del Progetto Griffo è online (disponibile per il download gratuito) l’ePub: Il diamante del rajà e altri racconti
di Robert Louis Stevenson.
Tre racconti tratti dai due volumi di “New Arabian nights”, pubblicato nel 1882 dopo che i racconti avevano trovato spazio negli anni precedenti su varie riviste. Il primo volume di questa raccolta comprendeva due “detective story” divenute poi molto famose: Il Club dei suicidi e Il diamante del Raja. Quest’ultimo apre questa traduzione italiana. La struttura narrativa è ad episodi, parzialmente indipendenti tra loro e il “filo rosso” che li collega non sta nei personaggi, ma nell’oggetto del desiderio, un enorme diamante che mette a nudo la bramosia di potere e ricchezza dei personaggi che ne vengono più o meno casualmente in possesso.
Gli altri due racconti che completano questa antologia, tradotta da Carlo Linati, provengono invece dal secondo volume della raccolta e sono The Sire of Malétroit’s Door e A lodging for the night. Nel primo ambientato nel 1429 un giovane cavaliere per evitare una ronda notturna entra in un palazzo tramite una porta che trova stranamente aperta. Cade in una trappola tesa non per lui ma per chi aveva osato corteggiare la figlia del bizzarro padrone di casa, il Sire di Malétroit. Gli è concessa qualche ora per decidere se sposarla o morire.
Nel secondo ambientato nel 1456 un giovane assiste a un omicidio e cerca rifugio per sfuggire a indizi che possano riportare a lui e contemporaneamente per ripararsi dal gelo notturno. Pur essendo una storia tenebrosa o orrida, il piano della sottile ironia contrasta vittoriosamente e prevale nel complesso. Il protagonista è il poeta francese François Villon. Il critico Joseph Eagan afferma che si tratta di una “vivida cronaca dell’inevitabile tragedia di un’anima che, sebbene sia dotata dei più alti poteri della mente e dell’immaginazione, è così gravemente priva di aderenza ai principi della decenza umana che i risultati sono perversi e il loro frutto è l’autolesionismo e l’autodegradazione”.
Il racconto sfida l’aspettativa del lettore in merito a cosa sia realmente una natura artistica. E Stevenson risponde che la concentrazione di un artista sulla sopravvivenza non ha nulla a che fare con la sua arte. Per questa ragione la scelta del protagonista ricade su Villon del quale è nota la vita disordinata e vagabonda.
I critici Lionel Stevenson e Walter Allen individuano, pur con sfumature diverse, questo racconto – pubblicato per la prima volta nel 1878 – come spartiacque per la nascita del racconto moderno.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit del libro:
All’età di sedici anni in una scuola privata, poi in uno di quei grandi istituti pei quali l’Inghilterra va giustamente famosa, Mr. Harry Hartley aveva ricevuto l’educazione d’un gentiluomo. Mostrava, a quel tempo, una notevole avversione allo studio; e, poiché l’unico parente che gli era rimasto era uomo inetto ed ignorante, Harry potè fin d’allora sciupare liberamente il suo tempo in ogni genere di eleganze e di frivole spensieratezze. Due anni più tardi egli era diventato orfano e quasi mendico. Per indole ed educazione Harry era affatto incapace di dedicarsi ad ogni pratica iniziativa. Sapeva solo cantare sentimentali canzonette e accompagnarsele con garbo sul cembalo: essere grazioso, quantunque timido, cavaliere, e aveva una spiccata inclinazione per gli scacchi. Natura, poi, l’aveva dotato del piú grazioso aspetto si potesse immaginare. Biondo, roseo, occhi di colomba e un leggiadro sorriso a fior di labbra, egli possedeva anche un’aria piena di piacevole malinconia e tenerezza e dei modi assai garbati e carezzevoli. Ma, insomma, non era uomo da guidare un’armata o da presiedere un Consiglio di Stato.
Un caso fortunato e qualche raccomandazione gli procurarono un posto di segretario privato presso il Maggior Generale Sir Thomas Vandeleur C. B.
Sir Thomas Vandeleur era uomo sui sessanta, di voce grossa, iracondo e alquanto prepotente. Si diceva che per qualche motivo o in compenso d’un servigio, sulla natura del quale eran corse strane voci che furono poi ripetutamente smentite, il Rajà di Kaskgar aveva donato a questo suo ufficiale il sesto dei piú grossi diamanti del mondo. Dono ch’ebbe la virtú di tramutar di colpo il Generale, da quel poveraccio che era, in un riccone, da oscuro soldato in uno dei piú eleganti viveurs della società londinese. Il possessore del Diamante del Rajà era ben accolto perfino nei circoli piú intimi tanto che, a lungo andare, aveva finito per trovare anche una giovane e bella fanciulla di buona famiglia che, pur di poter chiamar suo il diamante, si rassegnò a sposare Sir Thomas Vandeleur.
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