Pubblicato nell’agile collana “Profili” dell’editore Formiggini, questo breve saggio su Flavio Giuliano rappresenta un assaggio della idea storiografica del Barbagallo applicata alla storia romana. Giuliano rappresentò un momento di ostacolo nell’ambito dell’ormai conclamata vittoria del cristianesimo, e quindi fu sottoposto a una sorta di damnatio memoriæ da parte principalmente dei cosiddetti “Padri della Chiesa” che lo calunniarono in ogni modo. Viene riabilitato comunque già da Voltaire nel suo Dizionario filosofico dove Giuliano viene definito «sobrio, casto, disinteressato, valoroso e clemente, ma non essendo cristiano, fu considerato per secoli un mostro. Aveva tutte le qualità di Traiano, tutte le virtù di Catone e tutte le qualità che ammiriamo in Giulio Cesare, ma senza i suoi vizi; ed ebbe anche la continenza di Scipione. Infine, egli fu in ogni cosa pari a Marco Aurelio, il primo degli uomini». Anche Gibbon non manca di fornire di questo imperatore un’immagine più equa:

«Per il suo intrepido coraggio, per il suo spirito vivace e l’intensa applicazione, avrebbe ottenuto o almeno meritato i più alti onori. Paragonato ad altri imperatori, il suo genio era meno potente e sublime di quello di Cesare, non possedeva la consumata prudenza di Augusto, le virtù di Traiano appaiono più salde e naturali e la filosofia di Marco Aurelio è più semplice e coerente. Tuttavia Giuliano sostenne l’avversità con fermezza e la prosperità con moderazione e si preoccupò costantemente di alleviare le miserie e di innalzare lo spirito dei sudditi. Fu preda dell’influsso del pregiudizio religioso, che ebbe un effetto pernicioso sul governo dell’Impero, ma Giuliano rimaneva un uomo in grado di passare dal sogno della superstizione ad armarsi per la battaglia e poi ancora di ritirarsi tranquillamente nella sua tenda a dettare leggi giuste e salutari o a soddisfare il suo gusto per le eleganti ricerche di letteratura e di filosofia».

In funzione di come Giuliano trascorse la propria fanciullezza, l’esercizio delle pratiche cristiane si sovrapponevano per lui alla memoria del sangue che aveva visto grondare sotto gli occhi indifferenti del cristianissimo principe Costanzo, suo cugino. In realtà all’oppressione religiosa veniva ad aggiungersi l’oppressione fiscale che gravava ugualmente sul mondo pagano e su quello cristiano, acuita dalla corruzione dei funzionari. In Gallia erano state praticate violenze atroci contro pagani e atanasiani e Giuliano soffriva di queste in maniera particolare. I pagani erano soprattutto gli abitatori dei borghi rustici per i quali la richiesta tributaria era ormai pari al quadruplo di quanto potesse essere realmente pagato. L’ostilità si andava manifestando quindi con l’attaccamento ai vecchi culti. È in questo quadro politico sociale che Giuliano viene investito del titolo di Cesare e del governo delle Gallie. Tre anni prima era stato giustiziato in circostanze poco limpide il fratello di Giuliano, Gallo, richiamato da Antiochia in occidente con imputazione di alto tradimento. In Gallia Giuliano ottenne successo militare e, soprattutto, politico.

Messo in fuga l’esercito barbarico e liberate le Gallie, Giuliano mise mano alla restaurazione morale e materiale del paese. Come nell’evento bellico anche qui c’erano da superare le malversazioni dell’apparato amministrativo rovinoso. Portando le pretese del fisco a livelli sopportabili, riuscì sia ad aumentare il gettito fiscale sia, curando direttamente la riscossione, a neutralizzare l’opera vessatoria e corruttrice degli agenti amministrativi. Il risultato eccellente si concretizzò dando origine a un gettito nettamente superiore al precedente. I servizi pubblici vennero tutti riportati a condizione di grande efficienza, compresa la navigazione sul Reno, triplicando il numero dei battelli della flotta. La condizione di vita spartana di Giuliano, che aveva diretto questa trasformazione, non facevano che aumentarne il prestigio.

Barbagallo è capace di condensare in breve spazio le vicende che portarono alla restaurazione del paganesimo, alla campagna d’oriente, fino alla sua morte. Il tentativo di Giuliano appare così non soltanto come una semplice reazione alla politica religiosa dei costantiniani, ma un ritorno ai giorni migliori di Roma, all’impero di Augusto, a quello illuminato di Traiano, un ritorno quindi allo spirito più intimo della romanità, che si era ottenebrato e corrotto negli ultimi centocinquant’anni. Il culto pagano risuscitava come per incanto e i cristiani temettero che la loro causa fosse nuovamente perduta. Giuliano scrive in un’epistola a un amico:

«La causa degli Dei appare luminosa e grande e superiore ad ogni voto, ad ogni speranza […] Nessuno osava per l’innanzi augurarsi tale e tanto rivolgimento in così breve tempo…»

Ma i decenni della monarchia assoluta avevano spezzato e distrutto lo spirito vitale delle classi che fino a due secoli prima avevano fornito gli elementi migliori. Per questo nonostante il grande successo immediato il tentativo di Giuliano era destinato fatalmente a fallire.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del saggio:

Il corso della vita dell’imperatore Giuliano ha la rapidità di una visione fantastica. Ultimo germoglio di un ramo cadetto dalla famiglia imperiale di quei Flavi, donde era uscito Costantino I, egli aveva visto, ancor fanciullo, il padre e i suoi più intimi congiunti, sgozzati per la gelosia ‒ o la complicità necessaria ‒ dei tre figli di Costantino medesimo.
Adolescente, passa i giorni in un esilio forzato, tra i libri, i lunghi, silenziosi dialoghi con Omero, Esiodo, Platone e la rara audizione di qualche grande maestro pagano del tempo; tra il geloso spionaggio dei mille occhi, col quale suo cugino, l’imperatore Costanzo, godeva turbare il malinconico ritiro di lui, la notizia dell’esecuzione del fratel suo, Gallo, e la imposta osservanza di quella religione, ai cui ministri in terra ‒ laici e religiosi ‒ egli doveva l’eccidio della sua famiglia e la propria umiliazione.

Scarica gratis: Giuliano l’apostata di Corrado Barbagallo.