Di Gloria Germani

Raimon Panikkar e i Modi del Pathos. Dialoghi contemporanei. Di Maria Roberta Cappellini
Raimon Panikkar e i Modi del Pathos. Dialoghi contemporanei. Di Maria Roberta Cappellini

Maria Roberta Cappellini è pubblicista, saggista e studiosa di Filosofia Interculturale, co-fondatrice e presidente del Cirpit: Centro internazionale dedicato a Raimon Panikkar (www.raimon-panikkar.it).

L’abbiamo intervistata a proposito del suo ultimo libro “Raimon Panikkar e i modi del Pathos. Dialoghi contemporanei” (Ed. Mimesis 2022).

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Il saggio di M.R.Cappellini è veramente ricco e denso di spunti. Filosofa, allieva diretta di R. Panikkar a cui fu legata da assidua amicizia, ci offre un lettura del nostro tempo capace di collegare i molteplici aspetti dell’odierna frantumazione della conoscenza. Può spiegarci in cosa consiste questa capacità di Panikkar?

Edgar Morin parlò del pensiero di Panikkar in termini di “grande sintesi del novecento”. Va senz’altro aggiunto: “una sintesi aperta”, offerta come visione del nostro tempo. Partendo da una critica serrata al paradigma  filosofico occidentale moderno, con i suoi fantasmi di onnipotenza, l’imperante logo-centrismo dialettico e i super-sistemi di stampo logico-monistico-dualistico, che hanno frantumato la visione dell’essere umano in tante sfere disciplinari specialistiche scollegate tra loro, Panikkar cercò fondamentalmente di ricomporne il logos (conoscenza concettuale dell’ente) coniugandolo al mythos (coscienza intuitiva dell’essere) secondo una com-unione cioè una visione dell’intero, che egli rivisitò in chiave cosmo-te-andrica (cosmo-uomo-Dio). Una metafora corrispondente all’esperienza/intuizione primordiale della coscienza umana: una visione che era presente fin dalle origini dell’antica Philo-sophia greca, quando appunto il pensiero faceva riferimento ad una saggezza frutto del sapere e dell’esperienza della vita e la filosofia costituiva la congiunzione della théoria e della praxis. Philosophia quale amore (philìa) della saggezza (sophìa), in grado di trasformarsi nella saggezza dell’amore. In tal senso in questo libro interpreto la visione cosmoteandrica di Panikkar dal punto di vista filosofico della philìa, cioè di una “patosofia” (dal Nostro declinata nei modi dell’em-patia, della sim-patìa e della com-passione) in cui si dissolvono le scissioni tra ragione e fede, anima e corpo, tempo ed eternità.

Raimon Panikkar
Raimon Panikkar

Raimon Panikkar è giustamente conosciuto come il più alto rappresentante del dialogo interculturale e proprio l’inter-cultura sta al cuore della sua filosofia. Come scrive, oggi abbiamo la necessità di uscire “dal mito fondativo dell’Occidente, il mito monoculturale-monoteistico che ha prodotto i miti del progresso, della storia, della tecnologia, del colonialismo, ossia i miti del cosiddetto “uomo civilizzato”, dedito all’individualismo, al dominio, al potere e pertanto incapace di una coesistenza pacifica”. Ci può parlare di questo aspetto molto importante dell’opera di Panikkar?

Ciò che costituisce il cuore della visione panikkariana è la filosofia del dialogo intra-interculturale che sposa la suddetta visione logo-mitica, per ampliare gli orizzonti oltre i confini territoriali ed etnici, verso le comuni radici spirituali del genere umano, al fine di superare la crisi antropologica del nostro tempo. Panikkar riparte dall’idea basica della realtà come relazione. Tutto è in relazione e questo sposta il centro del soggetto autoaffermativo, che diviene “ec-centrico” (ex-centrum), acquisendo una posizione dinamica e periferica riducendo la sua “pretesa totalitaria”, la sua “ragione armata”. Di conseguenza solo un dialogo aperto, pluralistico di tipo “dia-topico” (tra narrazioni, culture e tradizioni diverse e lontane) può rivelare specularmente i reciproci orizzonti mitici e di conseguenza i limiti entro cui viviamo, per porli in discussione (secondo l’aspetto intra: cioè riflessivo e auto-critico). E ciò che avvìa l’esperienza dialogica non può che essere l’esperienza speculare dell’alterità, la differenza, la diversità culturale. E in questo senso l’esperienza tocca la vera questione pratica della coesistenza umana e sopravvivenza delle nostre società. Il dialogo “cosmoteandrico” comprensivo dei tre stati della realtà e del nostro essere (umano, cosmico, spirituale, ossia storicità, temporalità e spiritualità) in quanto “imparativo”, cioè partecipativo e permanente, è in grado di incidere sulle coscienze aprendole ad un processo di “riumanizzazione”, cioè trasformandole.

Di fronte ai collassi del mondo attuale – collasso climatico, guerre, pandemie, crisi economica ed esistenziale – quali soluzioni e quale  via alternativa potrebbe offrire la filosofia Advaita di Panikkar?

La  filosofia del dialogo d’approccio logo-mitico è a-duale poiché tiene insieme le differenze tra le parti e le opposte visioni, la storia e il mistero, l’immanenza e la trascendenza, il pensabile e l’impensabile, il visibile e l’invisibile. In questo senso possiamo Intravederne il fondamento a-dualistico (né uno né due, in quanto inter-relazionale) che Panikkar mutua dalle filosofie orientali e dalla tradizione cristiana e che nel suo caso specifico è simbolicamente rappresentato dalla visione triadico-cosmoteandrica che ricolloca l’essere umano nel proprio humus corporeo (la madre-Terra), corrispondente al nostro “esserci”, mantenendone al contempo le radici in “cielo”. Materialità e spiritualità (interiorità) sono collegate attraverso i legami dell’antica ”sym-patheia“ greca, specularmente corrispondenti e interrelazionali. Questo prelude alla visione “ecosofica” di Panikkar, dove sophia viene a sostituirela logìa dell’ecologia, in quanto radice profonda di ogni cultura. Ciò significa che la mente naturale scaturendo dalla natura, ne porta già in sé la corrispondenza e quindi la saggezza, in quanto la Terra vi è considerata soggetto vivente e non materia amorfa. Essa quindi è in primis Maestra per l’essere umano, il quale apprende facendone esperienza, come ci ricorda l’antica Sophia omerica: l’arte della navigazione, che gli uomini apprendevano direttamente dal mare, navigando.

Le precedenti considerazioni di Panikkar sono molto potenti anche in rapporto alla pericolosa situazione attuale. Infatti è la ‘sindrome monoculturale colonialista’ occidentale, di una cultura che prevarica sulle altre considerate inferiori o sottosviluppate, che conduce oggi al dominio della tecnocrazia scientifica. Anzi Panikkar affermava: “la scienza moderna è perversa.. e la tecnologia è il Cavallo di Troia per l’occidentalizzazione del mondo” . Queste affermazioni potrebbero avvicinarsi alle scoperte della fisica quantistica e dell’odierne scienze sistemiche? Panikkar le conosceva o sono risultati raggiunti in maniera indipendente?

Panikkar estese la sua critica ai miti moderni dell’Occidente: scienza, evoluzione, progresso, che caratterizzano il dominio dello scientismo e della tecnocrazia moderne, risultato delle grandi utopie  dell’illuminismo, idealismo e marxismo, che hanno oscurato ogni diversità e pluralità. Ma egli conveniva al contempo sull’ineludibilità della scienza come forma di conoscenza, appunto sostenendo la necessità di emanciparsi dal suo mito assoluto e dalla pretesa universalistica, dal suo dominio e potere. Ma lo stesso Panikkar conosceva e riconosceva l’aspetto positivo della scienza contemporanea (Heisenberg, Gödel, Planck , Prigogine, Capra ecc) e della fisica quantistica – nate da una salutare crisi interna della stessa scienza moderna – ed il suo ineludibile contributo, in quanto capace di aprirsi al dialogo costante con altre forme di sapere e di spiritualità,  e dunque superando il cogito filosofico oppositivo dualistico, che ha plasmato per secoli i due versanti della nostra cultura umanistico-filosofica e scientifica d’Occidente. Si tratta pertanto secondo Panikkar di cambiare lo sguardo sul mondo, secondo una rivoluzione interiore.

I diritti umani a partire dal Bill of Rights del 1689 fino alla Carta del 1948, possono essere considerati una emanazione della cultura cristiano-protestante, e in quanto tali sono stati denunciati da Panikkar. Sono basati – come giustamente Lei fa notare – su un individualismo antropocentrico che fa perno sul diritto esclusivo ed autonomo dell’individuo libero e sovrano, rappresentato dall’insieme di esclusivi voleri e interessi, ove la collettività e’ una realtà di second’ordine, come pure la natura o un eventuale Dio. Quale ruolo riveste oggi la profonda ed articolata riflessione di Panikkar sui diritti umani ?

I Diritti Umani costituiscono un’elaborazione complessa avvenuta nel tempo, un processo in progress in tutto il mondo, che se da un lato evidenzia una lenta progressiva presa di coscienza, dall’altra ha prodotto uno sviluppo disatteso che ha messo in luce la difficoltà dell’applicabilità “universale”, ogni qual volta si è agito in senso egemonico e assoluto in nome di un Dio, di un Impero o di una Democrazia. Oggi alla luce del percorso storico, al linguaggio dell’universalità basato sullo ius naturalis, si sta lentamente sostituendo il modello pluralistico interculturale che ha aperto il dibattito alle nuove sfide del terzo millennio. In quest’ottica secondo Panikkar, ogni popolo può e deve partecipare all’elaborazione del Diritto Umano, partendo dai simboli della propria tradizione e secondo l’elaborazione e la formulazione relativa al proprio contesto storico-culturale e spazio-temporale di riferimento. Nessuna cultura può infatti prevalere parlando a nome di tutto il genere umano, in quanto nessuna è sufficiente né autosufficiente in se stessa. Si evidenzia pertanto la necessità del dialogo tra civiltà, secondo “un’etica condivisa”, essendo ”le tre generazioni dei diritti” sociali, economici e culturali inalienabili e la loro difesa il dovere primo, nel fondamentale diritto di ogni minoranza a riconoscervisi e nel dovere di ogni maggioranza a non strumentalizzarli a fini egemonici. In questo senso il dialogo interculturale è ambito a-dualistico di uni-pluriversalità, cioè di relazionalità radicale, di confronto “dia-topico e imparativo” (che apprende dalle diversità) al fine di realizzare pratiche di solidarietà, di convivenza e sopravvivenza.

L’apertura ad altre filosofie spesso precedenti, come quelle hindu, buddista, cinese, giapponese, altrettanto ricche e profonde, ci conducono, come già detto, verso l’’a-dualità” ( in sanscrito advaita) un pensiero basato sulla visione di una “realtà indivisa”. Quale il suo ambito applicativo nel dialogo tra civiltà?

E’ indicativo come Panikkar sottolinei il reciproco necessario apporto delle differenti culture di Oriente ed Occidente, a compensare le rispettive carenze, individuando per gli Occidenti la necessità di “tras-gredire” l’antropocentrismo individualistico, a favore di una visione collettivistica che integri la Natura e la spiritualità, mentre per gli Orienti la necessità di relativizzare “il teo-cosmo-centrismo”, alla riscoperta dell’unicità e del valore della persona e dei suoi diritti umani. L’interfecondazione riguarda l’influsso reciproco, la reinterpretazione delle proprie tradizioni e la trasformazione delle coscienze in grado di cambiare lo sguardo sui rispettivi mondi. La condizione di possibilità è rappresentata dall’”attenzione del cuore”, dalla vis patica, dalla capacità dell’accoglienza incondizionata, dalla condivisione e partecipazione profonda alla vita. Il pathos quale “potenza passiva” è ciò che rende vero il vissuto, essendo l’atto in primis alla base della trasformazione del dialogo in un’ “inter-culturazione”, nel momento in cui lo sguardo abbracci un’altra visione della vita.

Forse stando ai recenti scenari bellici, dovremmo interpretare la visione panikkariana come un’utopia?

Sempre e comunque, l’utopia è necessaria a guarire il dialogo malato tra civiltà, evitando il degenerarne dei conflitti, la speranza, “la possibilità dell’impossibile” non come deriva ideologica, ma come chance, indicazione dell’apertura di un percorso auspicabile e pragmaticamente perseguibile, che richiede come condizione necessaria la fede nell’essere umano e nel suo orizzonte cosmoteandrico.

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