Stiaccia-Noci

di
Ernst Theodor Amadeus Hoffmann

tempo di lettura: 15 minuti

I. I Regali.

Il dì ventiquattro dicembre fu chiuso a chiave il salotto, per impedire l’ingresso ai figliuoli del dottore Stahlbaum. Fritz e Maria stavano a sedere accanto, nell’angolo di una stanza remota.

Cominciava a far buio, e i due ragazzi provavano un certo timore non vedendo portare il lume come tutte le altre sere in quell’ora. Fritz raccontò, parlando sottovoce alla sorellina, che aveva appena sette anni, che egli aveva sentito bussare e un grande andare e venire nella stanza chiusa, e che poco prima un omino con una cassetta sotto il braccio, aveva salito le scale…

— Scommetto, — aggiunse, — che quell’ometto è il compare Drosselmeier.

Allora la Marietta batté le sue manine una contro l’altra, e gridò tutta allegra:

— Ah! chi sa che belle cose ci ha fatto il compare Drosselmeier!

Drosselmeier, consigliere dell’alta corte di giustizia, era tutt’altro che bello. Era piccolo e magro, con un viso tutto grinze; teneva un grand’impiastro nero sull’occhio destro, ed era calvo; il che l’obbligava a portare una bella parrucca bianca, fatta tutta di vetro con un’arte veramente meravigliosa. Inoltre, il compare era un uomo ingegnosissimo che si intendeva assai di meccanica, bravissimo a accomodare e anche a fare degli orologi. E quando uno dei belli orologi a pendolo di casa Stahlbaum era malato e non voleva più cantar l’ore, si chiamava subito il compare Drosselmeier. Egli arrivava, si levava la parrucca di vetro, il suo bel vestito color cece, si metteva un grembiule turchino, e frugava nella macchina dell’orologio con certi strumenti appuntati che facevan male alla Marietta: ma pare che facessero un gran bene all’orologio, perché ricominciava a animarsi, a andare, a battere, a cantare, che era un piacere a sentirlo.

Quando il compare veniva aveva sempre in tasca qualche cosa carina per i ragazzi: ora era un burattino che girava gli occhi e faceva la riverenza, ora una tabacchiera che ad aprirla lasciava scappar fuori un uccellino: ma per Ceppo portava sempre qualche bel lavoro artisticamente eseguito da lui, che gli era costato molta fatica, e che i genitori di Fritz e Maria conservavano religiosamente dentro un armadio.

— Ah!, ne son sicura. Il compare Drosselmeier avrà fatto qualche bella cosa per noi! — ripeté la Marietta.

Ma Fritz soggiunse:

— Sarà una fortezza, scommetto. Una fortezza, dove dei bei soldati marciano in riga, e fanno gli esercizi: e si vedon arrivare degli altri soldati che vogliono entrare per forza, e quelli di dentro tirano delle brave cannonate e…

— No, no, interruppe Maria: il compare Drosselmeier mi ha parlato invece di un gran giardino, dove c’è un gran lago, e nel lago ci nuotano dei magnifici cigni con delle collane d’oro o cantano certe belle canzoni… Allora una bambina vien fuori del giardino, e chiama i cigni e dà loro dei pezzetti di marzapane…

— Ché! — riprese Fritz, — i cigni non mangiano marzapane. Già a me poco importa dei suoi balocchi, tanto appena visti ce li levano subito per riporli. Io preferisco quelli che ci dà il babbo e la mamma; questi almeno ce li lasciano, e se ne fa quel che ci pare.

Poi i ragazzi si domandavano che cosa avrebbero avuto dai genitori quest’anno.

Maria disse:

— La signorina Trüdchen (era il nome della sua bambola) ha fatto un gran cambiamento, non si riconosce più. Casca a ogni momento, o si fa tante macchiacce sul viso, e ha certi vestiti così sudici… Io bado a gridarla ma è tempo perso.

— La mia scuderia, — riprese Fritz, — ha bisogno di un bel cavallo, e i miei eserciti mancano assolutamente di cavalleria… e il babbo lo sa.

Ma adagio adagio, si era fatto proprio buio. Fritz e Maria stretti uno accanto all’altra, non osavano più parlare. A un tratto, si fece udire lo squillo argentino di un campanello: klinn! klinn! e tutti gli usci furono aperti, e venne fuori dal salotto una tal luce che i fanciulli restarono immobili sulla soglia, mandando un grido di ammirazione.

Maria dopo breve pausa esclamò: — Bello! Bello!

Fritz fece quattro capriole.

I ragazzi dovevano essere stati buoni davvero quell’anno, perché i regali non erano stati mai così magnifici come questa volta. Il grand’albero in mezzo alla tavola era carico di frutti d’oro e d’argento; confetti di varie specie e di vari colori ne rappresentavano i fiori, e giocattoli belli e in gran numero eran sospesi a tutti i suoi rami. Un centinaio di lumicini brillavano come stelle fra le sue foglie.

Chi potrebbe descrivere le belle cose che si trovavano su quella tavola?

Maria contemplava le più belle bambole, i piccoli corredi, i piccoli utensili da cucina. Poi fermò gli occhi estatica sopra un vestitino di seta celeste sospeso ad un piccolo piedistallo elegantemente ornato di fiocchi rosei. Essa lo guardava da tutte le parti, gridando ad ogni momento:

— Quant’è carino! quant’è carino! e potrò mettermelo davvero!…

Fritz intanto aveva già fatto tre o quattro volte il giro della tavola al galoppo sopra un gran cavallo di legno, che aveva trovato bell’e sellato.

Mettendo piede a terra, disse:

— È un animale focoso, ma poco importa: lo saprò domare io.

Poi mise in fila i suoi nuovi squadroni di Ussari, magnificamente vestiti di rosso, e coi galloni d’oro. Avevano in mano delle sciabole d’argento, e i loro bei cavalli bianchi parevano anch’essi d’argento.

Ma già i fanciulli, quetati un poco, si eran messi a sfogliare dei bei libri di stampe, che eran lì aperti, e dove eran dipinti uomini e animali e fiori e paesaggi: quando fu suonato il campanello, e comparve il compare Drosselmeier, preceduto da un ragazzo carico di roba, e i regali del compare furono schierati sopra una tavola a parte.

Vi era fra gli altri un castello che si innalzava sopra una prateria smaltata di fiori e che aveva le finestre coi vetri colorati, e delle torri dorate. Si sentiron suonare le campane, le porte e le finestre si aprirono tutto a un tratto, e si videro dei signori piccini piccini passeggiare nelle sale, avendo a braccetto delle piccole signore, cogli abiti a coda, e i cappelli ornati di fiori.

Fritz appoggiato alla tavola, guardava il bel castello e i suoi abitanti, e poi disse:

— Compare Drosselmeier, lasciami entrare nel tuo castello.

Il consigliere dell’alta corte di giustizia rispose che questo era impossibile.

E aveva ragione: come poteva Fritz, pensare a volere entrare dentro un castello che anche colle sue torri più alte non gli arrivava al ginocchio?

Un momento dopo, Fritz pretendeva che i signori e le signore girassero da un’altra parte, che un signore con un vestito color smeraldo si affacciasse alla finestra, e altre simili cose.

— Anche questo è impossibile, rispondeva il compare Drosselmeier. Un lavoro meccanico resta sempre quello che è.

— Ah, è impossibile? — rispose Fritz trascicando le parole — ah, è impossibile? Allora, se tutti questi signori non sanno fare altro che una cosa, o sempre la stessa, non valgono molto, e mi curo poco di loro. Preferisco i miei Ussari che manovrano avanti, addietro, a piacer mio, e non son rinserrati dentro un castello…

E ciò dicendo, se ne andò saltarellando all’altra tavola, e fece trottare gli squadroni sui loro cavalli d’argento, mise in moto i battaglioni di fanteria, e fece fare delle splendide cariche con molte sciabolate e fucilate.

Anche la Marietta si era un poco annoiata del monotono andare e venire delle dame del castello: ma siccome essa era buona e gentile, non se ne fece accorgere e tanto meno lo disse. Ma adagino e senza dir nulla passò all’altra tavola.

(Continua)

II. Disgrazia e protezione.

Tra i balocchi disposti a piè dell’albero di Ceppo, quello che più attirò l’attenzione della Marietta fu una specie di burattino molto curioso. Vi sarebbe stato molto da dire sull’eleganza delle sue forme, perché aveva una gran pancia, le gambe sottili, la testa grossa, e una bocca eccessivamente larga: ma il vestiario stava molto in suo favore, e denotava una persona di gusto.

Aveva una giacchetta da ussaro di un bel colore violetto con tante ghiglie e bottoni bianchi. I suoi occhi verdi, fuor della testa come quelli dei ranocchi, esprimevano la benevolenza e l’amicizia, e la barba ricciuta di lana bianca che gli ornava il mento facea risaltare il dolce sorriso della sua bocca vermiglia.

— Caro pappà, — disse la Marietta, — chi è quell’omino colla barba bianca?

— Quello, — rispose il padre — lavorerà da bravo per voi tutti, cara bambina; stiaccerà per voi il guscio delle noci e delle nocciuole, e sarà tuo ma anche della Luisina e di Fritz.

Cosi dicendo lo prese di sulla tavola, gli aprì l’enorme bocca dov’era una doppia fila di denti bianchi e appuntati. Maria dietro invito del padre vi mise dentro una nocciuola, e crac! quell’ometto la ruppe subito in modo che il guscio fu stritolato, e la dolce mandorla cadde intatta nella manina di Maria.

Essa mandò un grido di gioia, e il babbo allora le disse:

— Giacché l’amico Stiaccia-noci, ti piace tanto, cara piccina, abbine tu cura particolare, a patto però che la Luisina o Fritz potranno servirsene come te.

La Marietta lo prese subito in braccio, e cominciò a fargli stiacciar dell’altre nocciuole: ma sceglieva le più piccine perché il suo ometto non aprisse troppo la bocca e non si facesse male. La Luisina si unì ad essa, e l’amico Stiaccia-noci dovette anche per lei fare lo stesso ufficio, e ci si prestò garbatamente, anzi sorrideva come se ci prendesse gusto. Fritz intanto, stanco delle sue cavalcate e dei suoi esercizi, sentendo stiacciare allegramente delle nocciuole, corse presso le sorelline e si mise subito a sghignazzare di quel buffo burattino: poi volle anche lui mangiare le nocciuole, talché Stiaccia-noci non smetteva più di aprire e chiuder la bocca: e siccome Fritz ci metteva apposta le nocciole più grosse e più dure, cascarono tre denti al povero Stiaccia-noci, e gli cominciò a tentennare il mento.

— Ah, il mio povero Stiaccia-noci!, — gridò la Marietta, e lo strappò dalle mani di Fritz.

— È un animale, — soggiunse questi, — vuol far da stiaccia-noci e ha le mascelle deboli… Dallo a me; io gli farò stiacciar tante noci che gli cascheranno tutti quegli altri denti, e gli si staccherà la bazza…

— No, cattivo, tu non lo avrai. Vedi con che aria pietosa mi guarda, povera creatura! e mi fa vedere le ferite che gli hai fatto in bocca… Già tu non hai cuore… hai perfino fatto fucilare uno dei tuoi soldatini!…

E si mise a piangere dirottamente, e fasciò col suo fazzoletto lo Stiaccia-noci, e se lo mise nella tasca del grembiule.

Allora il babbo entrò di mezzo, e disse severamente:

— Lo Stiaccia-noci è sotto la protezione della Marietta, e siccome veggo che essa gli diventa necessaria, le do pieno potere su lui, senza che nessuno possa trovarci da ridire. Del resto io mi maraviglio molto che Fritz pretenda da un ferito la continuazione del servizio. Dovrebbe sapere, egli che si vanta di essere un buon militare, che i feriti non si rimettono mai in linea di battaglia.

Fritz abbassò la testa confuso, e zitto zitto, senza più occuparsi di noci e di Stiaccia-noci, se ne andò dall’altra parte della tavola dove i suoi Ussari aveano messo il loro bivacco, dopo aver regolarmente poste le sentinelle in vedetta.

La Marietta raccattò i denti rotti di Stiaccia-noci, e gli fasciò il mento malato con un bel nastro bianco. Poi, tenendoselo in collo come un bambino, si rimise a guardare i bei libri di figure avuti in regalo.

Allora il compare Drosselmeier le domandò ridendo:

— Ma perché prendi tanta cura di un essere tanto brutto? E la bimba gli rispose ingenuamente:

— Anzi, è tanto carino! E se tu, compare Drosselmeier, ti ravviassi come il mio Stiaccia-noci, se tu avessi un vestito bellino come il suo, e il suo mantello di seta, e i suoi stivalini lustri, scommetto che saresti carino come lui.

I genitori dettero in uno scoppio di risa, e il consigliere dell’alta corte di giustizia diventò rosso fino agli orecchi…

Venuta l’ora di andare a letto, la Marietta disse alla mamma:

— Cara mamma, lasciami star levata un altro momento. Avrei due cosine da fare, e poi vo subito a letto.

Siccome la Marietta era una bambina molto ragionevole, la madre glielo permise. Spense tutti i lumi, eccetto una lampada sospesa al palco, e disse:

— Sbrigati, cara Maria, altrimenti domani non potrai levarti presto come al solito.

E la madre entrò in camera.

Appena Maria si trovò sola, posò con gran precauzione lo Stiaccia-noci sulla tavola, lo sfasciò e lo guardò.

Stiaccia-noci era pallidissimo; ma le fece un sorriso così malinconico ed affettuoso, che essa ne fu proprio commossa.

— Caro Stiaccia-noci, gli disse poi sottovoce, non te la prendere contro mio fratello, sai? bisogna compatirlo, è diventato brutale a forza di star sempre coi soldati… ma in fondo non è cattivo. Io ti avrò tutte le cure, e il compar Drosselmeier ti rimetterà i denti rotti…

Ma qui tacque, perché appena essa ebbe pronunziato il nome di Drosselmeier, l’amico Stiaccia-noci fece una orribile boccaccia, e gli uscirono delle faville dagli occhi…

Ma fu un lampo: riprese subito la sua cera di buon figliolo, e Maria disse: mi sarà parso, o forse è effetto del lume che sta per spengersi.

Poi aprì l’armadio dei balocchi, obbligò la signorina Clara (la sua nuova bambola) a cedere per quella notte il suo letto soffice a Stiaccia-noci ferito, mise il letto col burattino dentro nello stesso scompartimento dov’erano gli Ussari di Fritz, e richiuse le imposte a cristalli dell’armadio.

Stava per ritirarsi in camera e andare a letto… quando incominciaron davvero i prodigî.

(Continua)

III. I prodigi.

Da principio la Marietta non udì che un mormorio dietro la stufa e dietro l’armadio. Poi l’oriolo a pendolo cominciò a gemere penosamente come se volesse e non potesse suonar l’ore. La Marietta allora alzò gli occhi verso l’orologio, e invece del solito gufo di bronzo dorato colle ali abbassate sul quadrante, vi vide a cavalcioni il compar Drosselmeier e vide pendere dai due lati le falde della sua giubba gialla.

Essa si fece coraggio e disse con voce quasi piangente:

— Compare Drosselmeier, che cosa ci fai lassù? Scendi e non mi far più paura!

Allora da tutte le parti della stanza si udirono risa sommesse e dei fischi; e trottare e correre dietro le pareti come delle migliaia di piedini, e si videro brillare attraverso il pavimento dei lumicini fosforici. La Marietta si accorse che erano degli occhiolini scintillanti, e vide apparire un esercito di topini da tutte le parti; i quali da prima corsero al trotto e al galoppo per tutta la stanza, poi si collocarono in fila divisi in compagnie, come i soldati di Fritz quando gli ordinava in battaglia. Poi apparve un topo più grande degli altri, con una bella corona di rubini in testa. L’esercito dei topi lo salutò con violente acclamazioni, e si mise subito in movimento verso l’armadio dov’era lo Stiaccia-noci e tutti gli altri balocchi.

Tutto a un tratto, l’armadio fu internamente illuminato. Stiaccia-noci gettò via le coperte, saltò sul letto a piè pari e gridò con voce squillante:

— Knak! knak! cric! crac! arme in pugno e avanti! — Poi sfoderò la sua sciabola, l’agitò in aria tre volte, e soggiunse:

— Cari vassalli, fratelli ed amici, mi verrete in aiuto e mi sarete tutti fedeli nella battaglia accanita?

Fu un grido generale di assenso in tutto l’armadio. Le bambole sole scappavano di qua e di là, a braccia aperte, raccomandandosi disperate. Tre Brighella, due Pantaloni, quattro Spazzacammini, due Sonatori di chitarra, un Arlecchino e un Tamburino circondarono Stiaccia-noci, dichiarandosi pronti a vincere o morire per lui. Poi si precipitarono, Stiaccia-noci per primo, con un eroico salto sul pavimento. Il Tamburino batté la generale. Allora tutti i coperchi delle scatole dov’erano chiusi i soldati di Fritz saltarono in aria, e i soldati si schierarono in bianchi battaglioni. Si sentiva nell’armadio il calpestio ed i nitriti della cavalleria. Corazzieri, dragoni ed ussari si preparavano alla pugna. I treni dell’artiglieria facevano un orribile fracasso…

Tutti si precipitarono dall’armadio sul pavimento e si affollarono attorno a Stiaccia-noci. Questi rivoltosi a Pantalone gli disse:

— Generale, io conosco la vostra esperienza e il vostro coraggio. Qui ci vuole accortezza, per saper profittare del movimento. Io vi affido il comando di tutta la cavalleria e di tutta l’artiglieria. Non avete bisogno di cavallo: colle vostre gambe lunghe, voi galoppate perfettamente. Fate il vostro dovere!

Tutti i reggimenti sfilarono, a bandiere spiegate, davanti a Stiaccia-noci e cominciò la battaglia. La Marietta, più sorpresa che spaventata, montò sopra una sedia presso al muro e stette a vedere. I cannoni cominciarono a tirare una formidabile pioggia di confetti fra le file serrate dei topi che divennero tutti bianchi. Una batteria soprattutto, collocata abilmente sul panchettino della mamma di Marietta, faceva loro un danno immenso. La mitraglia d’anacini che essa lanciava sui topi, faceva nelle loro file una spaventevole strage. Ma i topi dal canto loro lanciavano certe palline d’argento che non fallivan mai il colpo.

Il rumore assordiva… Bum! bum! pif! paf! burum-bum! bum!…

L’esercito di Stiaccia-noci faceva prodigi. Ma i topi ricorsero a un terribile stratagemma. Cominciarono a mordere alle gambe i loro nemici, che non reggendo al dolore, cadevano, e si sparse il terror panico nell’esercito. Crebbe allora il coraggio nei topi, e la paura nei loro nemici che finirono per darsi alla fuga. Lo stesso Stiaccia-noci fu preso dal terrore, e gridò disperato:

— Un cavallo! un cavallo! il mio regno per un cavallo!

Allora due topi bersaglieri lo afferrarono per il mantello, e il re dei topi si slanciò trionfante su lui, mandando un fischio di gioia.

— Ah! il mio povero Stiaccia-noci! gridò la Marietta. E tirò una delle sue pantofole addosso al re dei topi, e saltò giù dalla sedia per accorrere in aiuto del suo protetto. Ma batté col gomito nell’armadio, e il cristallo andò in pezzi. Provò un dolore acuto al braccio sinistro, e poi non sentì e non vide più nulla.

Quando la Marietta si destò la mattina dopo, era nel suo lettino, e accanto a lei sedeva un signore che essa riconobbe subito per il chirurgo Wanderstein.

Questi disse a bassa voce:

– Ecco, essa si sveglia! – Allora la mamma si fece innanzi, e la guardò teneramente.

— Ah, cara mamma, mormorò la Marietta, tutti quei brutti topi se ne sono andati? il mio caro Stiaccia-noci è in salvo!

— Non dire sciocchezze, bambina mia, rispose la mamma. Che cosa ci entrano i topi con Stiaccia-noci? Ci hai tenuti in gran pena: ecco che cosa accade quando le bambine vogliono fare a modo loro. Iersera ti sei trattenuta troppo coi tuoi balocchi, e ti ha presa il sonno: forse hai avuto paura di qualche topo, benché qui se ne veggan di rado, e hai inciampato, e hai rotto col gomito un cristallo dell’armadio e ti sei talmente tagliata che il chirurgo ha dovuto estrarti dal braccino due pezzetti di vetro. Grazie a Dio, io mi svegliai, e non vedendoti nel tuo lettino, accorsi in salotto, e ti trovai distesa per terra, circondata dai soldatini di piombo e da tutti i balocchi cascati dall’armadio. Lo Stiaccia-noci pareva che riposasse sul tuo braccino insanguinato. Una tua pantofolina era lì sul pavimento. Ora calmati, e procura di star buona. Il compare Drosselmeier ti ha mandato a regalare quest’uccellino che è tanto agevole e che ti farà compagnia. Non vi sono più topi: tutti i balocchi sono stati rimessi al posto, e il tuo Stiaccianoci è stato richiuso, sano e salvo, dentro l’armadio.

Che la Marietta avesse dunque proprio sognato? Credo di sì.

Fine.


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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Stiaccia-Noci
AUTORE: Ernst Theodor Amadeus Hoffmann
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

TRATTO DA: Giornale per i bambini / diretto da Ferdinando Martini ; [poi] da C. Collodi. – Roma : [Tipografia del Senato], 1881-1883.
SOGGETTO: JUV038000 FICTION PER RAGAZZI / Brevi Racconti