Curiosità e paura

di
Neera

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Possono queste due sensazioni andare d’accordo o non si escluderanno a vicenda, come da mezz’ora andava dimostrando il dottor Brocca appoggiandosi alla autorità di scrittori reputatissimi?

In conclusione egli diceva, che il menomo pericolo ci toglie la curiosità perchè noi allora non ci occupiamo che di noi stessi. L’istinto della conservazione è primordiale e congenito a qualsiasi essere creato, mentre la curiosità non si sviluppa che in seguito all’accrescimento dell’intelligenza. Guardate le bestie; esse non sono curiose. Potete fare quello che volete dinanzi a un cane, a un cavallo, a una pecora, se non li stuzzicate direttamente non riuscirete a interessarli. È facile spaventare un animale, è impossibile renderlo curioso. La curiosità è propria dell’uomo e più ancora dell’uomo intelligente.

— Ecco un bell’elogio per le donne, – interruppe Ciro Garzes.

Le poche signore presenti alla conversazione sorrisero di giusta compiacenza. Difatti non si rimprovera sempre loro di essere curiose come se la curiosità fosse una deficenza dell’intelletto? Qualcuno soggiunse (forse un antifeminista): Anche i bambini sono curiosi!

— Appunto, – ribattè vivacemente una signora, – ma più i bambini sono curiosi quanto più sono intelligenti.

— Ammettiamone l’intelligenza, ma si tratta di una intelligenza in formazione, quindi una intelligenza per molti lati manchevole. L’uomo adulto, l’uomo che sa, non è più curioso.

— Non è più curioso? Ma se Newton era così curioso da cercare il movimento della luna e della marea? e Galileo da voler sapere perchè una lampada appesa ad una catena dondola? E Dante non appagato ancora del nostro mondo volle conoscere l’inferno, il purgatorio e il paradiso? Che cos’è tutta la scienza se non una ardente, inestinguibile curiosità?

Una breve pausa della signora offerse al dottor Brocca l’occasione opportuna di riprendere l’interrotta divagazione.

— La curiosità dunque è propria dell’uomo, ma il pericolo la attutisce. Osservate che in teatro la principale preoccupazione è quella di assicurare un buon posto agli spettatori, comodo, fuori delle correnti d’aria e con una porta di sicurezza accanto in caso di incendio. Quando lo spettatore si trova a suo agio può assistere a qualunque rischio sulla scena; anzi più egli è sicuro e più si interessa alle peripezie, ai rischi ed ai pericoli degli altri. Questo è un grande segreto dell’arte drammatica: presentare delle persone nelle situazioni le più imbarazzanti ad altre persone che non lo sono affatto. Solo che piovesse nei palchi il teatro sarebbe vuotato. Ed anche rapporto alla curiosità dei bambini credete che non si duplicherebbe se invece dello spavento delle nostre scuole illogiche si potesse avere una scuola razionale che mettesse il fanciullo nella migliore e più comoda situazione per imparare?

Un vecchietto in un canto tentennava il capo. Ciro Garzes gli domandò quale fosse la sua opinione in proposito.

— Ecco, – rispose. – vi è certamente la curiosità dello sfaccendato che cerca a teatro la sedia imbottita e il palco dove non piova; io però mi ricordo di essere andato per tre sere consecutive a sentire la Malibran sdraiato sotto le panche del loggione. Dico sdraiato sotto le panche per il semplice motivo che stando in negozio fino alle sette (facevo allora l’apprendista) non mi potevo recare a far porta per procurarmi il posto ed ero così stanco che mi era impossibile stare in piedi. Annovero tuttavia quelle tre sere fra le più belle della mia vita.

— Chi non sa, – disse il dottor Brocca, – che l’entusiasmo crea miracoli? Queste sono eccezioni. Tu sei sempre stato appassionato per la musica e le passioni escono dal campo della curiosità semplice. Anche Romeo arrischiava di rompersi l’osso del collo su per quella scala di corda che metteva capo a Giulietta; non vi si sarebbe forse avventurato per vedere un cinematografo.

Ciro Garzes si chinò verso il vecchietto mormorandogli qualche cosa all’orecchio. Il vecchietto rise e poichè si cominciava ad essere stanchi della discussione tutti vollero sapere che cosa aveva detto di ameno Ciro Garzes.

— Oh! nulla, – protestò costui, – rammentavo una antica storia nella quale io non feci precisamente la figura di Romeo e che potrebbe dar ragione alla teoria del dottore circa il potere repressivo che esercita la paura sulla curiosità.

Ciro Garzes era da noi soprannominato il re di Navarra per l’inesauribile fondo di storielle e di aneddoti che conservava nella memoria. Abituati a saccheggiarlo non gli si volle far grazia naturalmente e benchè si mostrasse a tutta prima ricalcitrante annuì alla fine con quella schietta bonomia che gli conquista da oltre settant’anni tutti i cuori.

— Premetto che ero allora molto giovane.

— E bel giovane! – interruppe il vecchietto.

— Lo sappiamo, lo sappiamo, – disse il dottore, – posso anche aggiungere che lo vediamo. Forse che nell’albero fronzuto e nodoso non si può indovinare l’eleganza passata dell’arboscello?

Il complimento parve turbare la modestia di Ciro Garzes. Egli ripetè con tono dimesso:

— Ero giovane, timido, inesperto; cresciuto prima in una vecchia casa di campagna, poi in un vecchio collegio sorgente anche quello nel mezzo del prati, in una solitudine perfetta e serena. Mia madre era una santa, mio zio canonico un santo, i miei maestri tutti sacerdoti dalla vita esemplare, dai costumi illibati. Per un po’ di tempo ebbi anch’io l’intenzione di farmi prete, ma poi l’entusiasmo che c’era nell’aria per tutto ciò che sapeva di militare mi indusse a barattare il collarino colle spalline. Divenni soldato. Allora soldato era sinonimo di amico, di liberatore, di eroe; gli uomini ci invidiavano; le donne…. Basta! Fui dei primi ad occupare la Sicilia; quando entrai in Palermo credetti davvero di aver toccato il cielo. Tutto mi arrideva, l’età, il luogo, il tempo; il profumo delle zàgare mi inebbriava, gli occhi neri delle siciliane mi tenevano in uno stato continuo di dolce eccitazione….

Come la voce di Ciro Garzes tremava un po’ il suo compagno di giovinezza lo volle redarguire:

— Andiamo, albero fronzuto e nodoso, non ti commuovere troppo, altrimenti perderai il filo.

— È pur necessario descrivere i due successivi stati d’animo fra i quali fui sballottato, – affermò Ciro Garzes, – il primo di purezza quasi claustrale, il secondo di estasi febbrile e di tentazione permanente. Non so se qualcuno di voi si è trovato a vent’anni lungo la più bella marina del mondo, trascinando una sciabola nuova fra siepi di fiori e gruppi di donne dal pallore d’ambra….

Il dottor Brocca volle dire la sua:

— La sola cosa importante in tutto ciò sono i vent’anni che tutti abbiamo avuto e che le signore qui presenti hanno ancora. Del resto, che si tratti della riva del mare o della sponda di un ruscello, di siepi di zàgare o di sambuco, hum! non credo che la differenza possa essere molta.

— No, no. Chi non ha visto le notti di Palermo, lungo la marina, al chiaro di luna, non può farsene una idea. In quella cornice di sogno gli equipaggi delle signore passavano eterei come una visione celeste e le belle creature che vi stavano abbandonate apparivano quali esseri soprannaturali. In tali contingenze vi assicuro che un giovinotto di sana costituzione e dotato di un briciolo di poesia non può fare a meno di innamorarsi pazzamente.

— Alla buon’ora! – esclamarono le signore, che da un pezzo aspettavano la parola magica.

— Devo certo attribuire – continuò con modestia Ciro Garzes – il merito della conquista all’uniforme la quale, come vi ho già detto, attirava simpaticamente gli sguardi. Forse ebbi altri complici, non so, ma il fatto è che dardeggiando di sguardi ardenti la signora prescelta nutrii tosto la sicurezza che il mio amore veniva ricambiato. Pare che laggiù, di fronte all’Africa infuocata, l’idillio maturi rapidamente in passione, perchè dopo alcune settimane di una corte assidua e rispettosa fui incoraggiato ad avvicinarmi alla mia bella. Ella ordinava alla carrozza di fermarsi un po’ lontano dalla folla e dagli altri equipaggi; io mi facevo allo sportello, le davo la buona sera, le offrivo dei fiori…. non mi ricordo se ebbi il coraggio di palesarle il mio amore, ma ella con un accento che mi scatenò in petto tutte le fiamme dell’Etna mi disse una sera: «Domani sono sola. Vuol venire a trovarmi a palazzo?»

— Lesta la Dulcinea!

— È il clima.

— Il mare.

— Le zàgare.

— Il chiaro di luna.

Ciro Garzes lasciò che gli amici si sbizzarrissero in celie e poi riprese a narrare:

— Era la prima volta che mi capitava un’avventura simile e dovete sapere che conoscevo a mala pena il nome della signora. Solamente il giorno stesso del convegno qualcuno mi disse che ella aveva un marito gelosissimo, feroce. La credevo vedova e non posso dire che la rivelazione improvvisa di questo marito da melodramma mi rallegrasse molto. Ma pazienza, quando il vino è sturato bisogna bere. Abitava un immenso palazzo a picco sul mare, distante dalla città almeno un chilometro, cinto da una solitudine perfetta. Vi giunsi a cavallo, una sera che non c’era luna….

— Non abusare della nostra sensibilità, – esclamò il dottore.

— Le mie parole non aggiungono nulla, ve lo giuro, al romanticismo di quella cavalcata notturna verso un palazzo ignoto dove mi aspettava una donna incantevole ma ignota essa pure. Tutte le precauzioni erano state prese per conservare alla mia visita il suo carattere clandestino. Silenzio e oscurità dovunque, nessun domestico importuno; neppure un cane di guardia. Al mio giungere la porta, che era chiusa, girò tacitamente sui cardini e una giovane cameriera della quale non vidi al piccolo lume della lucerna che aveva in mano se non il biancheggiare del grembiule, mi ricevette con un dito sulle labbra. Conformandomi alla consegna la seguii senza far motto per una lunga fila di sale la cui vastità e l’arredamento mi sfuggivano, obbligato come ero a tenermi sul sottile filo di luce che la mia guida tracciava dinanzi a me. E vi assicuro che mi battè il cuore quando sollevando l’arazzo di una pesante portiera fui introdotto in un salottino circolare tutto pieno di rose e tutto color di rosa, rosea anche la lampada che sospesa in alto vi diffondeva una chiarità di aurora boreale. Là mi attendeva la signora e là scomparve l’ancella.

Un profondo sospiro diede la misura dei rimpianti di Ciro Garzes, ed è tanta la forza della sincerità che nessuno in quel momento ebbe voglia di scherzarci sopra. Egli continuò:

— Vi sono nella vita dei bei momenti, non c’è che dire. Seduto vicino a quella avvenente creatura, in mezzo ai profumi congiunti delle rose che erano nel salottino e delle zàgare che entravano dal parco abbarbicate alle finestre, potevo credermi un Sultano d’Oriente in avventura amorosa con una fantastica principessa. Ella mi narrava appunto la sua vita infelice legata a un marito barbaro del quale subiva le più inaudite tirannie e mi confessava arrossendo di avere indovinato in me fin dal primo sguardo un cuore leale e sensitivo capace di intenderla. Io non so che cosa avrei risposto a queste dolci confidenze; so che non ebbi tempo di rispondere perchè la portiera sollevata precipitosamente aperse il varco alla cameriera la quale entrò colle mani nei capelli gridando: «Il signor barone! Il signor barone!» Non ho mai compreso come in quell’istante la fugacità delle vicende umane. Precipitando dal cielo negli abissi e niente pratico di tale manovra non devo sicuramente aver fatto una bella figura; ma probabilmente nè la padrona nè l’ancella si occuparono del mio sembiante. «Fugga! Fugga!» disse la signora e furono le ultime parole che intesi dalla sua voce armoniosa. La cameriera prendendomi per una mano mi trascinò da una porticina contraria a quella dove eravamo entrati in un labirinto di camere, di corridoi, di scalette dove, essendo perfettamente al buio, per quanto la mia guida non avesse abbandonata la mia mano urtai in parecchi mobili invisibili e contro a pareti che mi sembravano più dure del naturale. «Non abbia paura, – mormorò la provvidenziale Arianna, – il signor barone non penserà certo a inseguirla fin qui». Ma quale parola ella aveva pronunciato: paura!!… Signore e signori, è inutile che mi facciate gli occhiacci. Da cinque minuti io avevo proprio paura; la briccona doveva averlo sentito nel palmo della mia mano.

— Paura! – esclamò il dottore, – un soldato! Tu!

— Intendiamoci. Non credo di essere pusillanime; ne ho dato prove di poi, lo sapete tutti. Ma in quella circostanza così nuova, così inaspettata…. e non per un probabile colpo di stocco o di rivoltella ai quali non pensai nemmeno, no! Se ebbi paura, e l’ebbi, ve l’ho già detto, fu una paura fanciullesca per comprendere la quale è necessario ricordarsi tutta quanta la mia vita precedente. Capite? Io ebbi paura dello scandalo. Il reggimento, il colonnello, mia madre, mio zio canonico…. ah! mio zio canonico sopra tutti! Mi sarei sprofondato sotto terra anzichè comparirgli mai più davanti.

— E infine? – chiese una delle signore che aveva ascoltato con interesse il racconto di Ciro Garzes.

— La fine, – riprese il narratore coll’attitudine rassegnata di un cane che riconduce la coda fra le gambe, – fu che giunti a un certo punto la cameriera lasciò la mia mano e brancicando da persona pratica del luogo accese prestamente un lume. «Questa è la mia camera», disse poi con un amabile sorriso; e ristette appoggiando le spalle allo stipite dell’uscio. Aspettava evidentemente un complimento da parte mia. La guardai, era belloccia, lei, non la camera; ma il complimento non venne. «Il signor barone – disse ancora continuando a sorridere – qui non mette mai piede. Se crede di fermarsi è al sicuro».

— Aaah!

— Già. Poche parole ma eloquenti. Solo che, come disse benissimo il mio amico Brocca, la paura paralizza la curiosità ed io…. non fui curioso.

Fine.


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Curiosità e paura
AUTORE: Neera

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: La sottana del diavolo/ di Neera – Milano : Fratelli Treves, 1912

SOGGETTO: FIC004000 FICTION / Classici