Il pazzo.

di
Egisto Roggero

tempo di lettura: 9 minuti


Il dottore mi aveva detto:

— Vi sono dei momenti ne’ quali anch’io sono preso dal dubbio mostruoso che quanto egli racconti sia vero. Capite?… E in quei momenti mi domando se anch’io, per caso, non fossi per venire avvolto nella istessa sua pazzia. Sì, vi ripeto, io mi sono già più volte dimandato: E se fosse vero?… Ma come provarlo? Ho tentato, non sono riuscito. Ah! se una sola delle prove fosse riuscita!… Ecco perchè quel disgraziato, che voi vedrete fra poco, continua a rimaner chiuso lì, fra i pazzi ragionevoli, presi dalla idea fissa, calmi, tranquilli, ma che, all’improvviso – lo sentirete – possono esser cagione di disturbi e pericoli….

Ed ora davanti alla cella egli mi disse ancora:

— Potete pure trattenervi con lui con tutta tranquillità: in ogni caso presso la porta troverete il bottone del campanello elettrico. Sentirete, penserete…, e poi mi direte se ho ragione o no.

— Mi dimenticava – disse ancora il dottore – il mio soggetto si esprime in francese (ed è italiano!) e sa a perfezione l’inglese….

Entrammo nella cella.

Un giovane basso, tarchiato, dall’aspetto di operaio, si alzò (stava seduto davanti ad un piccolo tavolo sul quale era aperto un libro) e salutò il dottore.

Questi mi presentò brevemente e poi uscì.

Io rimasi solo con il pazzo.

Costui mi porse lo sgabello sul quale prima sedeva, mi fe’ cenno di accomodarmi, mi chiese (in francese) il permesso di sedersi sul letto (non vi era altra seggiola o sgabello nella cella oltre quella che mi aveva offerto); il tutto gentilmente, sebbene egli pronunciasse un poco a fatica le parole, a cagione della balbuzie.

Quando io fui seduto ed egli si fu accomodato sulla sponda del letto, mi disse sorridendo ma con aria triste:

— Il dottore vi ha parlato di me, è vero? Vi ha detto che strano soggetto sono io per lui, certamente.

Io taceva imbarazzato, giacchè veramente non mi aspettava quel preambolo.

— E siete venuto perchè vi racconti la maravigliosa mia storia, è vero?

E calcò stranamente su quell’aggettivo.

Parlava con tutta calma, con piena coscienza di quel che diceva.

Io risposi allora:

— Sì, veramente, sono venuto per sapere se quanto mi ha detto il dottore…. è vero.

— Oh, il dottore! – mormorò stranamente il pazzo. – Oh, il dottore, forse temo più di me che quanto io per la millesima volta gli ho raccontato sia vero, ma….

E s’interruppe.

Poi, tranquillo e calmo, cominciò a narrare:

— Voi vedete in me, fusi in un solo, due esseri diversi….

Un lampo dei miei occhi forse gli rivelò l’intimo mio pensiero a quelle parole, poichè egli esclamò vivacemente:

— Solita storia per tanti pazzi, non è vero?… Ebbene, v’ingannate. Il caso mio è differente, molto differente. Il caso mio è questo: il corpo che vedete ora, davanti a voi, è d’un certo uomo, mentre il cervello è d’un altro…. Insomma io vi parlo con la bocca di un tale uomo, ma le idee che voi sentite provengono dal cervello, dalla mente di un altro uomo, che mai ha avuto pel passato nulla di comune con il primo. Anzi che mai lo conobbe, che mai lo vide neppure….

Si fermò un momento por vedere l’effetto delle sue parole sopra di me.

Io restai impassibile.

Egli riprese a parlare:

— Dovete sapere che io – io che vi ragiono in questo momento – ero un giovane americano, nato in Y…. presso Nuova York. Ed ora ho circa ventidue anni…. Cioè, il mio cervello ne ha ventidue mentre il corpo…. non so quanti anni possa esso avere, certo è più vecchio….

(Difatti l’uomo che avevo dinanzi a me dimostrava non meno di trent’anni).

— A Nuova York io mi trovavo in cerca di un impiego perchè dopo la morte di mio padre non potevo più vivere a Y…. dove avevo la famiglia poverissima. Una sera, adunque, in una taverna inglese, ove mi recavo per vedervi un sensale d’impieghi, venni in discorso con un signore alto, pallido e magro il quale, saputa la mia condizione, mi disse; – Domani venite al mio studio (e mi indicò la via e il numero) forse troverò io da occuparvi. «Fui puntuale al convegno, bussai alla porta indicatami: il signore del giorno innanzi mi aperse in persona e m’introdusse. Compresi subito che egli era un medico.

«Mi disse il suo nome: dottor Evans Rybinsk, e aggiunse che mi prendeva al suo servizio.

«Ci mettemmo facilmente d’accordo, ed io cominciai subito il mio lavoro. Si trattava di tenere in ordine il suo gabinetto: una stanzuccia zeppa di libri, di scansie a vetri piene di crani e di cervelli conservati nello spirito e pietrificati. Doveva esser questa la specialità del dottore mio padrone.

«Egli non faceva che studiare per ore intere sopra quei crani e quei cervelli. Non si occupava di altro. Aveva degli scartafacci immensi pieni di appunti. Aveva poi delle piccole fiale di un liquido giallo che rimarginava sull’istante qualunque ferita.

«Una volta che mi ferii ad un dito con una scheggia di vetro, egli mi unse con quel suo strano liquido e la ferita scomparve sull’attimo, senza lasciar traccia veruna.

«Ero da otto giorni al suo servizio quando….

Il pazzo si fermò un istante come per riprender fiato poi mormorò:

— Quando una sera ritornando a casa da una commissione fatta pel mio padrone, trovai disteso per terra, proprio davanti all’uscio della nostra casa, un uomo. Pareva morto…. Lo toccai, lo scossi…. non si muoveva. Mi accorsi che aveva una terribile ferita alla testa, da cui perdeva il sangue. Sembrava un operaio: forse ubbriaco era caduto e si era ferito in tal guisa.

«La via era deserta (non vi ho detto che esso era in uno de’ quartieri più eccentrici della città) non passava nessuno: che fare? Ebbi un’idea. Mi caricai sulle spalle il corpo del disgraziato e su, per le scale…. lo portai in casa del mio padrone, egli era medico…. dove avrei potuto condurre il ferito meglio di così?… Il mio padrone ch’era nel gabinetto osservò l’individuo che pareva morto, e per la prima volta dacchè ero con lui lo vidi sorridere.

— Bene, bene, molto bene davvero! – andava esclamando.

«E si fregava le mani: saltellava, pareva preso da una gioia sfrenata.

«Che voleva mai dunque dire tutto ciò?

«Lo capii subito.

«Il disgraziato ferito aveva quasi tutto il cervello allo scoperto. Il dottore – pensai – era quindi nel suo elemento; un bel cervello fresco e ancora pulsante da studiare e chissà ? manipolare a suo piacere.

«Ad un tratto cominciò a guardarmi e ad urlare: – Bene, giovanotto, bene davvero! Questa volta mi hai fornito il mezzo che da tanto tempo io cercavo! Questa volta la mia grande scoperta potrà essere dunque applicata: essa sarà un fatto compiuto!… Tu, giovanotto, sei quello che m’ha dato questo mezzo, che credevo impossibile potere mai ritrovare!…» E mi saltellava attorno, diabolicamente giulivo.

Il pazzo si fermò un momento dal parlare, mi guardò e poi disse:

— Non avete ancora dunque compreso?

— No mormorai.

— Ebbene – gridò egli con vivacità – quel ferito, quel povero operaio, quell’ubbriaco caduto per la via, eccolo qua, davanti a voi, vivo, vivo, e che vi parla….

Non potei a meno di fremere lievemente a quelle parole.

— Continuate la storia – mormorai.

— Il dottore mio padrone lavò la testa al ferito, poi con un suo coltello affilatissimo tagliò torno torno la pelle, quindi la scatola del cranio e mise a nudo il cervello. Poi fece aspirare al disgraziato dei sali, si chinò su di lui e, ad un tratto, gridò: – Vive! – Quindi mi guardò e mi disse: – Va proprio bene! – E seguitava a guardarmi stranamente. I suoi occhi lampeggiavano. Sentii come un misterioso turbamento quando mi accorsi che egli mi osservava la testa, e precisamente il cranio.

«Poi mi disse:

— Ora avvicinati. E ascolta bene quel che ti dico. Tu sei stato dalla sorte destinato ad un gran fatto, il più grande fatto che la Scienza moderna potesse sognare. Tu rappresenterai – per tutti gli anni che ancora vivrai – la riuscita vivente della più grande scoperta del secolo nostro. Ricordati bene di ciò che ti dico. D’ora innanzi tu, col tuo cervello, vivrai e penserai nel corpo di quest’uomo che tu vedi qui, che sembra morto ma che è vivo. Ascoltami bene. Ti chiameranno pazzo, ti chiuderanno in un manicomio. Non importa: tu racconta la tua storia. La scienza la raccoglierà: e la luce un giorno risplenderà.

«E prima che io potessi articolar parola egli tese verso di me le sue mani: e a quell’atto un profondo torpore discese sopra di me e come un sonno irresistibile mi colse tutto. E perdetti ogni sentimento.

Egli tacque un momento, poi riprese:

— Che cosa avvenne? Non lo so. Quando rinsensai mi trovai sopra un bastimento italiano diretto in Italia. Domandai spiegazione, schiarimenti ai miei compagni – ch’erano poveri contadini immigranti – che mi guardarono stupiti e non mi compresero tanto più che io non sapevo parlare la loro lingua. Fui condotto dal capitano che cercò il mio nome sul registro – Giovanni Paolozzi – Il nome che ancor oggi è attaccato a questo corpo che non è il mio. Nella stanza del capitano era uno specchio: mi guardai. Svenni. Avevo compreso tutto.

Il pazzo taceva; rabbrividiva tutto, ancora, come in quel momento – come egli raccontava – quando aveva fatta la fantastica scoperta.

— Il dottore mio padrone aveva rubato dal mio corpo il mio cervello e l’avea posto nel cranio di quel ferito…. Il trasporto del cervello, capite? Era questa dunque la sua scoperta, la famosa sua scoperta di cui io doveva essere la prova vivente, come egli aveva detto!…

«Quando rinvenni dallo svenimento che mi aveva colto cercai di far comprendere al capitano, al dottore di bordo la mia storia. Mi dichiararono pazzo e mi tennero in osservazione.

«Giunto in Italia, solo, senza conoscenze, senza recapiti – non so una parola d’italiano – fui mandato da una vecchia donna che mi dissero essere mia zia…. e che io vedevo per la prima volta!

«Essa mi riconobbe, ma non comprendeva le mie parole….

«Allora parlai, cercai di spiegare il mio caso miserando…. Fui chiuso qua, in questo manicomio, come pazzo. Quanto mi aveva detto il dottor Rybinsk si era avverato in tutta la più terribile integrità.

«Ho dato, mesi fa, al dottore qui che voi conoscete, l’indirizzo della mia vera famiglia a Y…. là ho la madre e due sorelle. E il dottore ha loro scritto, non solo, ma ha loro mandato la mia fotografia….

«Ebbene, sapete che cosa hanno risposto? Che non conoscevano la fotografia….

— Era naturale.

— Ma v’è di più: che il loro parente era morto da poco a Nuova-York – badate bene – in un ospedale ove era stato portato moribondo, di notte, trovato ferito in una via fuori mano dei sobborghi. Voi comprendete?

— Temo di sì.

— Ed eccovi tutta la mia storia, o signore….

— Ma ditemi – feci io, ancora – e del dottore americano già vostro padrone?…

— Ah, sì! ho pregato di fare ricerca del dottore Rybinsk. Il dottore di qui ha cercato nelle guide, ha scritto a Nuova-York….

— Ebbene?

— Gli fu risposto che nessuno conosce in quella città nè altrove un dottore di quel nome. Ed ho finito, signore…. ora che voi conoscete la mia storia aiutatemi; parlatene, scrivetene…. chissà?… chissà?

Quando fui solo nuovamente col dottore io ero molto pallido.

La stessa angosciosa domanda del dottore era sulle mie labbra:

— E se fosse vero?

Fine.


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TITOLO: Il pazzo
AUTORE: Egisto Roggero

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA:I racconti meravigliosi / Egisto Roggero. - Milano : La poligrafica, 1901. - 257 p. ; 20 cm.

SOGGETTO: FIC000000 FICTION / Generale