La spiaggia dei cani romanticiTroverete in altre precedenti mie letture i dati che riguardano l’autore, il quale vive in Olanda ormai da molti anni e però non manca di far visita alla sua Liguria, che ama, e di cui coltiva e tramanda con la sua scrittura le nobili tradizioni dell’arte.

Credo che questo libro rappresenti, però, una svolta stilistica dell’autore. Vi si affronta una scrittura più complessa, mobile, che si articola a seconda dei luoghi e degli ambienti. La novità, la si percepisce sin dall’avvio. Si comincia con una scrittura all’americana, degli Hemingway, degli Steinbeck, dei Dos Passos: «Quando i chicos piola vanno in pizzeria o nei bar, paga sempre la gorda Raja, una bestiona di Lincoln che gira con loro, studentessa in farmacia, i genitori grandi proprietari terrieri, forse ancora più dei miei. La gorda la impalma un piola, il Gatto Luque, tipo alto e secco che in Europa gira voce svuoti i portafogli delle donne.» Del resto si parte da un cittadina americana, del Sud America, Lincoln, immersa nella pampa argentina.

Magliani dà per scontato che tu conosca abitudini e ambienti in cui la storia, o meglio le storie, si svolgono, e quindi le pagine scorrono con la naturalezza di un parlare che, per una sorta di miracolo, non ti è oscuro, anzi ti diventa amico e consueto.

Il protagonista si chiama Luis Enrique Francesco Dronero (che conosceremo meglio con il soprannome di Almeja). È un reduce della guerra delle Maldive, il quale, come fanno ogni anno i chicos piola, una banda di giovinastri in cerca di avventura, vuole attraversare l’oceano («la pozzanghera») per andare in Europa, e precisamente in Italia, dove in Liguria è nato suo nonno. Lui ci va «perché i militari si sono rubati la patria». Siamo negli anni ’80.

Uno schizzo di vita argentina, con nello sfondo la pampa, e la mollezza di un vivere senza scopo, ci preparano a capire le inquietudini del giovane Dronero. La famiglia è ricca, non gli manca il denaro, la sua è una vita sregolata, ma, in sostanza, senza pena. Ha una donna, la «negra», Zulma, che di «cognome fa Zerizuela», e con lei e con gli amici, tra cui un italiano, un «tano», Gregorio Sanderi, trascina i giorni.

Ha deciso di andare a conoscere la Liguria. Suo nonno è nato lì vicino, a Costa d’Oneglia, da dove partì nel 1928, a 30 anni. Vuole fare il calciatore, visto che in Italia il mestiere è ben pagato.

Appena si stabilisce a Oneglia, però, spunta la nostalgia per Lincoln.
Non si può mai odiare la terra in cui si è nati. Essa con la terra degli avi forma un intreccio indissolubile, e di colpo le nostre patrie diventano due.

La Liguria lo delude. Gli sembra sporca, trascurata, invasa dai rovi.
Per giocare in una squadra di calcio ha bisogno del passaporto italiano, che ha richiesto, ma la pratica va alle lunghe. La solita lenta burocrazia italiana.

Uscito il protagonista dall’Argentina e sbarcato in Italia, ecco che si avverte un mutamento della scrittura. Una specie di sfondo diverso, in sintonia con il cambiamento ambientale. Vi si nota una dolcezza appena accennata, una coloritura che viene dal mare, una distensione generata da un amore. Magliani ora parla della sua terra, quella dove è nato, e in cui, pur vivendo altrove, ogni volta che vi torna, si ritrova.

Quando scrive: «Sarà che comincio a odiarla questa Italia ligure», non è vero. È lo sfogo di un amante che vorrebbe la sua amata sempre più bella, senza i segni degli anni che passano: «Qui i problemi li creano, anziché risolverli.» Almeja si riferisce alle peripezie che gli capitano per avere il passaporto.

Da questo momento appare più saldo il collegamento con gli altri romanzi. Stesso humus che risorge e fiorisce: «Il paesone di Bastieto sembra aver preso una storta e si raddrizza strada facendo, inclinato su un pendio.» È il paese in cui è nato Gregorio, l’amico partito per la Spagna con gli altri chicos piola.

Il protagonista si barcamena per tirare a campare in attesa del passaporto. Ha con sé la sua donna, Zulma. Un lontano cugino, Ferruccio Dronero, gli offre di andare ad abitare con Zulma da lui, in un paesino chiamato Sorba: «una frana di tetti e portici del Cinquecento, orti pieni di lamiere». La casa è grande e Almeja potrà occupare il piano terra, senza pagare l’affitto.

La nostalgia è forte, corrode: «Mi consuma una nostalgia, il ricordo del benessere che ho lasciato a Lincoln, mi rovina tanto che la sera mi viene voglia di fare una telefonata a casa e farmi mandare i soldi per il biglietto di ritorno.»

Zulma è riuscita invece ad ambientarsi. Lei non tornerebbe mai più a Lincoln. Zulma sembra intendersela con l’ambiente, soprattutto con gli uomini che la corteggiano, Ferruccio in modo speciale, che la chiama Sulma. Almeja è un po’ geloso, guarda, ma lascia correre. Ogni volta che ha pena pensa all’Argentina, a Lincoln, ai suoi compagni.

Non ha più voglia di attendere il passaporto. Così si trasferisce in Spagna, a Lloret de Mar, dove ritrova i suoi chicos piola.

Sono diventati tre, dunque, i luoghi della storia: Lincoln, Oneglia, Lloret de mar: Argentina, Italia e Spagna. Il protagonista acquista così l’abito di cittadino del mondo, che è il tentativo di sradicarsi, di trasformarsi nell’interprete di un respiro più ampio, cosmico. Con lui non c’è più la «negra» Sulma, che lo ha lasciato per il cugino, il Ferruccione.

Argentina e Spagna tendono a somigliarsi. Gli ambienti paiono gli stessi: discoteche, gioventù disinibita, droga, intrallazzi e sotterfugi per tirare a campare. Con più colore e più densità in Spagna. A Oneglia tutto questo mancava, la cittadina è rimasta ferma in un’immagine di immobilità, colta in una indifferenza inappagante, da fuggire.

Eppure è la terra dove i Dronero sono nati e da cui è partito il nonno. Dunque, è più la partenza (ossia il movimento) che la nascita (la stanzialità) l’humus che spinge il cittadino del mondo a distaccarsi, per quanto possibile, dalla sua terra, come fece il nonno.

Incontriamo anche un gruppo di argentini, partiti dal suo paese, per venire sulla Costa Brava ad uccidere i soldati inglesi che combatterono la guerra delle Maldive. Ogni tanto si sente dire che ne è stato trovato uno morto, in circostanze misteriose.
Li guida Raùl Larrañaga, che Almeja conosce molto bene.
Lo svelerà all’Interpool il giorno che sarà arrestato.

Almeja dunque una spia. Ha questa macchia. Magliani sa come trattare il lettore, una tecnica già usata negli altri romanzi. Si interrompe la narrazione e si fa scorrere velocemente il tempo. Per arrivare a trent’anni dopo. Siamo in Olanda. Come avrete capito il percorso di Almeja è lo stesso dell’autore, anche se gli episodi della sua vita non sono gli stessi che ci racconta. Un percorso tra storia e fantasia, ma sicuramente un percorso dell’anima.

Succede che un «gran numero di donne cercava tracce di amori perduti il secolo scorso nella città di Lloret de Mar», la località in cui ha trascorso un po’ del suo tempo Almeja.
Numerose lettere femminili giungono ad una televisione olandese che decide così di allestire un programma dedicato all’amore.
Gli organizzatori del programma si mettono a cercare i ragazzi di allora, quelli che sono risultati i più amati. Ne rintracciano alcuni, tra cui il tano Gregorio.

Che cosa si propone l’autore? Rinverdire un passato che non può tornare? Dare fisicità all’immaginazione? Rendere possibile ciò che non lo fu in quel tempo. Colmare spazi rimasti vuoti? Sentimenti che non ebbero il tempo di maturare?

La scrittura ha un’altra scossa.
Stiamo toccando l’Olanda, la terra in cui l’autore vive, il quarto luogo della storia di Dronero, una specie di crocevia di un percorso che, ormai non vi è più alcun dubbio, vede come protagonista un uomo la cui ambizione è quella di diventare e sentirsi particella del mondo.

È la novità rispetto alle opere precedenti di Magliani, il quale si rivela integralmente forse per la prima volta. Il suo è un nomadismo dell’anima, soprattutto. Anche se nella sua vita non è mancata la continua migrazione. Ma questa volta è palese una vocazione ad abbracciare l’intero mondo; un tentativo di riuscire in un’operazione impossibile e, proprio per questa umana impossibilità, di tentare di riuscire attraverso la creazione letteraria.

Gli episodi che accadono nel romanzo, le vicissitudini in cui Almeja è coinvolto sono soltanto accorgimenti narrativi per esprimere un valore assai più ampio e profondo: staccarsi da una contingente umanità per sentirsi particella dell’universo.

La curatrice del servizio, Renata Van Duin parte da Amsterdam e vola fino a Lloret de Mar, in cerca del passato. Con lei il cameraman Roland Visser.
Sono trascorsi trent’anni, ma a Lloret de Mar la vita non è cambiata. Giovani da tutta Europa continuano a ritrovarsi lì, in questa piccola cittadina balneare sulla Costa Brava.

È una scrittura di memoria quella che ci accompagna in questo ritorno in Spagna, più lenta, più riflessiva, con una sua melodia che mancava la prima volta: «Fino a poco fa era stato sulla spiaggia, aveva tenuto in mano quella strana sabbia dai granelli grossi e rossi che quand’eri bagnato non ti restava attaccata, e aveva camminato, affondandoci i piedi. Poi s’era tolto le scarpe e le calze, proseguendo fino a sentire l’umidità granulosa della risacca.»

Così ci accorgiamo che tutta la storia corre sopra un pentagramma le cui note sgorgano direttamente dai luoghi attraversati. Un accompagnamento musicale in più movimenti in cui si sta trasformando la scrittura.
A Lloret de Mar, di Almeja non si sa più nulla. Lo si crede morto suicida, annegato in mare.
Altri protagonisti sono morti, dopo aver patito un declino squallido. E allora? Perché quel viaggio? Perché la vita ci nasconde sempre il dolore, ma esso esiste per tutti, anche quando, nel pieno della gioventù, lo si crede lontano da noi.

È a Bastieto, in Liguria, che la storia ritorna. Lì vive il tano Gregorio, emblema di questo tormento. Quando la scrittura scende in profondità, come le terrazze liguri scendono verso il mare, è nella sua terra che l’autore va ad annidarsi: «Dietro i crinali il confine con la Francia: Il posto più lontano dove un uomo poteva nascondersi era il ridosso di un confine, aveva imparato. Lui c’era nato. Se l’avessi capito non saresti mai andato via […]»

Quando siamo passati da Oneglia con Dronero, era un transito, non una meta. La meta arriva ora: «Forse bisognava restare qui, non partire mai».
Gregorio sa che Almeja è morto. Fa di tutto per non parlarne. Sappiamo che ne è rimasto segnato, ma alla giornalista olandese Renata Van Duin non può nascondere nulla. I chicos piola erano perros románticos, ossia cani romantici. Gregorio risucchia dal passato i ricordi e questi vengono a concentrarsi qui, dove la sua vita ha deciso di interrogarsi e di acquietarsi. La Liguria e l’Olanda diventano i luoghi dell’anima. Il primo ancora intriso di humus, di succhi vitali, sebbene in disfacimento; il secondo come tracciato di un nuovo cammino in cui non si è più se stessi, ma si è intrapreso un percorso di annullamento e di trasformazione. Gregorio e Almeja vengono così ad esprimere lo stesso personaggio nei suoi due momenti più importanti: l’abbandono del vecchio abito e la costruzione di uno nuovo.

Quando il filmato andrà in onda, in Olanda, un personaggio lo sta guardando. Sulla frequenza di quel canale ci è capitato per caso, ma poi ha visto qualcosa che lo ha stupito. Quest’uomo sta guardando la tv da un paese in riva al mare, Ijmuiden.
Chi conosce Magliani sa bene che quello è il paese in cui vive.
È dunque sua quell’aspirazione d’infinito?
Ecco come un romanzo, e meglio ancora una scrittura pluridimensionale, riescono a compiere il miracolo di una morte e di una nascita che diventano espressione di eternità.