Di sera, un geranio
di
Luigi Pirandello
tempo di lettura: 4 minuti
S’è liberato nel sonno, non sa come; forse come quando s’affonda nell’acqua, che si ha la sensazione che poi il corpo riverrà sú da sé, e sú invece riviene solamente la sensazione, ombra galleggiante del corpo rimasto giú.
Dormiva, e non è piú nel suo corpo; non può dire che si sia svegliato; e in che cosa ora sia veramente, non sa; è come sospeso a galla nell’aria della sua camera chiusa.
Alienato dai sensi, ne serba piú che gli avvertimenti il ricordo, com’erano; non ancora lontani ma già staccati: là l’udito, dov’è un rumore anche minimo nella notte; qua la vista, dov’è appena un barlume; e le pareti, il soffitto (come di qua pare polveroso) e giú il pavimento col tappeto, e quell’uscio, e lo smemorato spavento di quel letto col piumino verde e le coperte giallognole, sotto le quali s’indovina un corpo che giace inerte; la testa calva, affondata sui guanciali scomposti; gli occhi chiusi e la bocca aperta tra i peli rossicci dei baffi e della barba, grossi peli, quasi metallici; un foro secco, nero; e un pelo delle sopracciglia cosí lungo, che se non lo tiene a posto, gli scende sull’occhio.
Lui, quello! Uno che non è piú. Uno a cui quel corpo pesava già tanto. E che fatica anche il respiro! Tutta la vita, ristretta in questa camera; e sentirsi a mano a mano mancar tutto, e tenersi in vita fissando un oggetto, questo o quello, con la paura d’addormentarsi. Difatti poi, nel sonno…
Come gli suonano strane, in quella camera, le ultime parole della vita:
— Ma lei è di parere che, nello stato in cui sono ridotto, sia da tentare un’operazione cosí rischiosa?
— Al punto in cui siamo, il rischio veramente…
— Non è il rischio. Dico se c’è qualche speranza.
— Ah, poca.
— E allora…
La lampada rosea, sospesa in mezzo alla camera, è rimasta accesa invano.
Ma dopo tutto, ora s’è liberato, e prova per quel suo corpo là, piú che antipatia, rancore.
Veramente non vide mai la ragione che gli altri dovessero riconoscere quell’immagine come la cosa piú sua.
Non era vero. Non è vero.
Lui non era quel suo corpo; c’era anzi cosí poco; era nella vita lui, nelle cose che pensava, che gli s’agitavano dentro, in tutto ciò che vedeva fuori senza piú vedere se stesso. Case strade cielo. Tutto il mondo.
Già, ma ora, senza piú il corpo, è questa pena ora, è questo sgomento del suo disgregarsi e diffondersi in ogni cosa, a cui, per tenersi, torna a aderire ma, aderendovi, la paura di nuovo, non d’addormentarsi, ma del suo svanire nella cosa che resta là per sé, senza piú lui: oggetto: orologio sul comodino, quadretto alla parete, lampada rosea sospesa in mezzo alla camera.
Lui è ora quelle cose; non piú com’erano, quando avevano ancora un senso per lui; quelle cose che per se stesse non hanno alcun senso e che ora dunque non sono piú niente per lui.
E questo è morire.
Il muro della villa. Ma come, n’è già fuori? La luna vi batte sopra; e giú è il giardino.
La vasca, grezza, è attaccata al muro di cinta. Il muro è tutto vestito di verde dalle roselline rampicanti.
L’acqua, nella vasca, piomba a stille. Ora è uno sbruffo di bolle. Ora è un filo di vetro, limpido, esile, immobile.
Come chiara quest’acqua nel cadere! Nella vasca diventa subito verde, appena caduta. E cosí esile il filo, cosí rade a volte le stille che a guardar nella vasca il denso volume d’acqua già caduta è come un’eternità di oceano.
A galla, tante foglioline bianche e verdi, appena ingiallite. E a fior d’acqua, la bocca del tubo di ferro dello scarico, che si berrebbe in silenzio il soverchio dell’acqua, se non fosse per queste foglioline che, attratte, vi fan ressa attorno. Il risucchio della bocca che s’ingorga è come un rimbrotto rauco a queste sciocche frettolose frettolose a cui par che tardi di sparire ingojate, come se non fosse bello nuotar lievi e cosí bianche sul cupo verde vitreo dell’acqua. Ma se sono cadute! se sono cosí lievi! E se ci sei tu, bocca di morte, che fai la misura!
Sparire.
Sorpresa che si fa di mano in mano piú grande, infinita: l’illusione dei sensi, già sparsi, che a poco a poco si svuota di cose che pareva ci fossero e che invece non c’erano; suoni, colori, non c’erano; tutto freddo, tutto muto; era niente; e la morte, questo niente della vita com’era. Quel verde… Ah come, all’alba, lungo una proda, volle esser erba lui, una volta, guardando i cespugli e respirando la fragranza di tutto quel verde cosí fresco e nuovo! Groviglio di bianche radici vive abbarbicate a succhiar l’umore della terra nera. Ah come la vita è di terra, e non vuol cielo, se non per dare respiro alla terra! Ma ora lui è come la fragranza di un’erba che si va sciogliendo in questo respiro, vapore ancora sensibile che si dirada e vanisce, ma senza finire, senz’aver piú nulla vicino; sí, forse un dolore; ma se può far tanto ancora di pensarlo, è già lontano, senza piú tempo, nella tristezza infinita d’una cosí vana eternità.
Una cosa, consistere ancora in una cosa, che sia pur quasi niente, una pietra. O anche un fiore che duri poco: ecco, questo geranio…
— Oh guarda giú, nel giardino, quel geranio rosso. Come s’accende! Perché?
Di sera, qualche volta, nei giardini s’accende cosí, improvvisamente, qualche fiore; e nessuno sa spiegarsene la ragione.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Di sera, un geranio
AUTORE: Pirandello, Luigi
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Novelle per un anno / Luigi Pirandello ; prefazione di Corrado Alvaro. - Milano : Club degli editori, stampa 1987. - 2 v. (1383, 1251 p.) ; 23 cm.
SOGGETTO: FIC000000 FICTION / Generale