Il poeta (1883-1916) de La signorina Felicita ovvero la Felicità fu anche un ottimo e delicato narratore. Lo vedremo in questa piccola raccolta di fiabe e novelline.
Si comincia con I tre talismani, i quali sono una borsa, una tovaglia e un mantello magici. Li lascia un vecchio padre ai tre figli: Cassandrino, poeta, Sansonetto, contadino e Oddo, mercante. Il protagonista è Cassandrino, che viene derubato da una principessa del suo talismano e poi di quelli dei due fratelli. Riesce a recuperarli grazie alla sua astuzia, e ricaverà dall’avventura la lezione che è meglio vivere una vita semplice.
Siamo in pieno nella fiaba tradizionale; la struttura è semplicissima, e i colpi di scena si susseguono secondo le regole consuete. C’è l’oggetto magico, lo si esibisce, si è ingannati, lo si recupera traendone una morale.
Già da questa fiaba ci avvediamo che Gozzano si inserisce egregiamente nella tradizione europea, che ha nei fratelli Grimm e in Andersen i maggiori rappresentanti. Ciò per la leggerezza e l’incanto che permeano la sua scrittura.
Non vi è dubbio che Gozzano aveva ben presente questa tradizione nonché le opere dei tre grandi favolisti, e le sue composizioni ne assimilano lo spirito fantastico e stupefacente. Anche se va ricordato che l’Europa deve molto alla fiaba e alla novella italiane a partire dal Basile e dallo Straparola.
La danza degli gnomi, Nevina e Fiordaprile (l’amore impossibile di un principe per la principessa della neve), La fiaccola dei desideri (uno storpio, Fortunato, deve conquistare un cero magico che gli cambierà la vita), che sono le fiabe che seguono, rappresentano il mondo dei sogni e dei desideri. I brutti diventano belli, i cattivi sono sconfitti, i castelli sono tutti meravigliosi, così i boschi e le montagne, i giardini e i prati hanno l’aureola del portentoso.
Saranno così anche le favole successive. Gozzano ci fa passare da uno stupore all’altro con il garbo di un raccontatore quasi fanciullo, che si rallegra di ciò che la sua immaginazione crea. Figurarsi che troviamo anche «una lepre d’argento che brucava l’erba» (in «La lepre d’argento»). Gozzano racconta agli altri ma racconta anche a se stesso.
Una caratteristica di queste favole è che nel bel mezzo di molte di esse ritroviamo situazioni, scene, che abbiamo noi stessi sognato qualche volta. Così che non è azzardato suggerire che la favolistica di Gozzano, oltre che al mondo della fantasia, appartiene anche al mondo dei sogni, ossia a quel luogo intimo e segreto che sta dentro di noi e che si muove autonomamente lungo l’arco della nostra esistenza e ci segna ogni volta per sempre.
Qualche particolarità, la troviamo nei nomi di alcuni personaggi complementari. In «Piumadoro e Piombofino» una farfalla si chiama Pieride del Biancospino, un soffione si chiama Achenio del Cardo, uno scarabeo: Cetonia Dorata, e sono praticamente nome scientifici degli stessi. Piumadoro è una giovane carbonaia talmente leggera che il nonno deve tenerla legata al pavimento affinché il vento non se la porti via. Ma un giorno questo succede, e nel volo che fa si trova accanto i tre: il soffione, la farfalla e lo scarabeo, anch’essi trasportati dal vento. Aiuteranno Piumadoro, poiché furono salvati dalla bambina, a raggiungere il promesso sposo, grazie alla intercessione delle fate, il quale promesso sposo soffre di una malìa inversa: diventa sempre più pesante. Il suo nome è Piombofino, re delle Isole Fortunate e quando si muove per il suo regno è trasportato su di un carro trainato da «cinquecento coppie di buoi».
Come nella tradizione favolistica, anche in Gozzano le situazioni si presentano asciutte, senza indugiare mai sullo svolgimento che porta da una situazione all’altra. Tutto il meraviglioso che vi è sottinteso è dato per normale e ovvio. E il lettore accetta, entrato anche lui nel meccanismo fatato.
Nella fiaba Il re Porcaro Gozzano s’inventa perfino un’acqua «che balla, che suona, che canta». Quest’acqua servirà per togliere la fattura al Re, padre di tre splendide principesse, trasformate ai suoi occhi stregati in tre porci.
Sarà il porcaro a trovare l’acqua, grazie all’aiuto di una lucertola. Portata davanti al Re, l’acqua fatata «fece un inchino e cominciò a salire i gradini del trono danzando e cantando al suono di una musica lontana.» Chi osa toccarla, si trasforma in una statua di marmo.
Ma delle curiosità simili ne troviamo sparse qua e là, arricchite da una inventiva feconda e divertita. Il giovane Candido, nella favola La cavallina del negromante, allorché decide di girare il mondo «Si vestì d’un abito nero da un lato, bianco dall’altro e si mise in cammino.» Tra il mago cattivo e Candido inizia una caccia che vede molte trasformazioni, e perfino il giovane si muta in airone e il negromante in sparviero. Infine in un anello d’oro infilato al dito della principessa. Una fiaba dove il movimento è il fattore preponderante.
Un Reuccio dispettoso, di nome Sansonetto, per un sortilegio della Fata Nasuta, «sente il tempo che va indietro». E non riesce più ad andare avanti, ma solo all’indietro, come i gamberi. Talché verrà soprannominato Il Reuccio Gamberino. Invece di invecchiare ringiovanisce, e così compie gli anni all’indietro. Viene annullato il suo matrimonio con la principessa Biancabella, poiché sta diventando un bambino. Quando cavalca anche il cavallo va all’indietro.
Beh, Gozzano riesce davvero a stupirci con le sue invenzioni. Vi è un qualche legame tra il Gozzano scrittore e il Gozzano poeta, e sta proprio nel fatto che, se la poesia mostra il lato malinconico dell’artista, le favole ne palesano quello piacevolmente allegro, disteso e anche bizzarro.
Spesso sono piante o insetti, farfalle, uccelli, pesci e animali in genere a sciogliere gli enigmi. Quando, cioè, l’uomo cade in balia del sortilegio, ossia dello smarrimento, è alla natura che deve affidarsi.
Così sarà anche per Candido, e un fenicottero gli rivelerà che per vincere il sortilegio dovrà strappare ad un gigante cattivo «un capello verde tra i folti capelli rossi.»
Anche il gigante mostruoso è un portento della fantasia dell’autore. Il Reuccio lo affronta con la spada in pugno, ma il gigante si fa beffe di lui. Ogni volta che Sansonetto gli taglia una mano o il naso, o il braccio o il mento, e perfino la testa, il mostro si china a raccoglierli e se li rimette a posto.
Un uomo, di nome Primosempre, ha una macina infilata ad ogni piede perché corre troppo veloce, ma anche con quelle sopravanza la lepre che vuol cacciare, che sempre gli sfugge: «avanzo sempre di qualche miglio la lepre da prendere.» Ma non è il solo personaggio curioso che troveremo nella fiaba «La leggenda dei sei compagni».
Quando si arriva alla terza parte, spariscono maghi e fate, e i portenti sono affidati all’astuzia umana. Ci avviciniamo così alla tradizione più prettamente italiana che ha avuto nel Boccaccio uno dei suoi migliori interpreti. Ovviamente, non vi è niente di men che innocente nelle storie di Gozzano, ma il ruolo che vi svolge l’astuzia dell’uomo è notevole. L’inganno è qui una regola di vita, e a farne le spese sono i creduloni, gli avari e gli avidi. Un contenuto, dunque, più spiccatamente moraleggiante. Anche in questa parte, tuttavia, la fantasia dell’autore è irrefrenabile. Nella novellina intitolata Lo spaccalegna e l’Uragano il protagonista Fortunio, per riuscire ad avere le prove dei continui inganni della moglie Gaia, una vera e propria fannullona, si reca addirittura «nella Casa dei Venti». La madre dei venti è «una vecchia gigantesca. I suoi capelli bianchi s’agitavano al vento ed un solo dente giallo ed adunco oscillava nella bocca nera ed immensa.»
Materassi fatti con sacchi di patate li troviamo ne «Il nastro dell’impazienza» e per punizione a chi non riesce a sopportare tutto viene tolta «una striscia di pelle dalla nuca al tallone.»
Naturalmente, Gozzano ci presenta anche alcune tenerissime novelle, grazie alle quali egli ci insegna che il bene prevale sempre sul male. Il Natale, come vuole la tradizione, è il giorno in cui la bontà può risolvere al meglio qualsiasi sventura e far tornare fratelli gli uomini.
Anche ad esso, Gozzano pagherà volentieri il suo tributo.