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(voce di SopraPensiero)Quando Kim PyÅngsu scopre di avere l’Alzheimer teme di perdere la memoria del suo passato di serial killer; come ogni malato che subisce la degenerazione della mente nell’area dell’ippocampo, vuole salvare i ricordi legati ai momenti più significativi della vita. Da ventiquattro a quarantacinque anni il protagonista di «Memorie di un assassino» (Metropoli d’Asia, 2015), dello scrittore coreano Kim Young-ha, ha ucciso un numero imprecisato di persone, iniziando dal padre, con il quale lascia intendere di non aver avuto un rapporto felice, e proseguendo con l’ex moglie, soppressa insieme al suo amante, e con la madre di Unhui. La vittima prima di essere uccisa lo aveva supplicato di risparmiare la sua bambina, che lui ha poi deciso di adottare.In questo lungo periodo PyÅngsu ha vissuto l’omicidio come un’attività estremamente gratificante, nel togliere la vita il serial killer ha raggiunto la massima espressione delle sue capacità fisiche e mentali.
Poi a quarantacinque anni in seguito a un incidente stradale ha subito un’operazione all’encefalo, che ha cambiato radicalmente la sua personalità. PyÅngsu smette di uccidere le persone e di seppellirle nel suo ampio giardino, inizia a vivere in modo comune e si dedicata alla figlia adottiva, che apprende solo a ventisei anni di non vivere con il suo vero padre, quando quest’ultimo si ammala di Alzheimer. Da allora inizia per i due un lungo tracollo fisico e psicologico, segnato dai vari progressi della malattia.
Kim Young-ha si cimenta nel descrivere la psiche di un personaggio estremamente complesso, un assassino che apparentemente ha perso il suo istinto a uccidere e lotta con la perdita graduale non solo della memoria, ma anche della figlia che è ormai stanca di accudirlo. La scrittura è nella forma della pagina di diario, una raccolta di annotazioni fatta da un anziano per non dimenticare i momenti importanti della sua giornata. È lo stesso Kim PyÅngsu ad ammettere nelle prime pagine di essere un aspirante scrittore in grado però di scrivere solo nello stile degli appunti, limite che lo spinge a dedicarsi alla poesia nonostante la prosa sia a suo avviso più conforme all’omicidio.
Nel romanzo si susseguono i ricordi e le riflessioni del protagonista, insieme a vicende spesso poco rilevanti che gli accadono nel periodo del primo stadio della malattia. La tragedia che vive qualsiasi malato di Alzheimer, si contrappone alla consapevolezza di PyÅngsu di preservare ancora parte dell’aggressività e dello spirito disumano dimostrati in passato come serial killer.
Quando si rende conto che Unhui non sopporta più di vivere sotto lo stesso tetto con lui, angustiata dalla sua perdita della memoria, per il protagonista sopraggiunge un primo momento di disperazione. È una condizione che non riesce ad accettare, fonte di un tale stress da cercare una notte di strangolare la ragazza nel sonno e poi affermare la mattina seguente di non ricordare assolutamente il tentato omicidio. Lei, impaurita e disorientata, riesce a convincerlo a visitare un istituto per malati gravi, che dovrebbe diventare la sua ultima destinazione, ma PyÅngsu torna a perdere il lume della ragione quando viene a sapere che la figlia si è invaghita di Pak Chut’ae, che ai suoi occhi si era già comportato in modo sospettoso aggirandosi con insistenza presso il laboratorio dove lavora Unhui.
Il protagonista è certo che sia il responsabile di alcuni delitti avvenuti negli ultimi tempi e nella sua mente si insinua la paura che voglia uccidere anche la figlia, di conseguenza da buon padre adottivo, per rispettare la promessa pronunciata alla madre della ragazza prima di ucciderla, deve evitare che le sia fatto del male. L’unica soluzione è eliminare il presunto assassino, poiché la polizia non prende assolutamente in considerazione le supposizioni di PyÅngsu, malgrado lui sia convinto di quanto afferma.
Mentre il vecchio serial killer attende il momento migliore per assassinare Pak, vive una serie di situazione e fa varie riflessioni che l’autore ci invita a interpretare in chiave metaforica, ed è sicuramente questo l’aspetto più interessante del romanzo. Il suo cercare in ogni modo di trattenere i ricordi, fissando per scritto o tramite un registratore quello che fa e dice, rappresenta il bisogno di preservare la propria identità. Bruciare le copie che ha pagato della rivista su cui sono pubblicate le sue poesie, rivela la natura strettamente intima della sua arte, come un flusso di coscienza per fare ordine nei suoi pensieri. Giocare con l’ispettore An, che lo viene a trovare nella sua casa di montagna e gli confida di lavorare da anni alla soluzione dei casi relativi ai suoi vecchi omicidi, dimostra la sicurezza nell’ineccepibile opera compiuta come omicida.
Kim Young-ha ci conduce in un viaggio affascinante nella mente del suo personaggio, descrivendo con efficacia le reazioni psicologiche che lo spingono a credere di possedere un particolare potere. Secondo PyÅngsu l’omicidio seriale è l’espressione di una forza nascosta nell’animo in grado di elevare l’uomo rispetto ai suoi simili, che hanno bisogno di bere e di fumare per sentirsi vivi, ma lui dichiara più volte di non aver mai avuto interesse a vizi del genere. «Memorie di un assassino» non è solo una bella storia narrata in modo, almeno per la letteratura occidentale, assai originale, ma anche un piccolo saggio sui comportamenti e i pensieri di un serial killer. Pagina dopo pagina le anomalie del protagonista sollecitano quesiti, che un finale ben elaborato riesce a risolvere.