(voce di SopraPensiero)

«Il convento sull’isola» (Bur, Milano, 2015) di Marco Polillo è un romanzo lineare, dove si evitano voli pindarici nello svolgimento narrativo, tradizionale ma anche divertente, in particolare per la simpatia che suscitano i personaggi fin dalle prime pagine. Il vicecommissario Enea Zottìa (protagonista dell’universo noir dei libri di Polillo) si trova a indagare per la seconda volta sulle vicende che stravolgono la vita della popolazione del paese di San Giulio sul lago d’Orta. Tra omicidi e interrogatori il poliziotto, dopo aver ritrovato le vecchie amicizie a cui è ormai affezionato, spinto dalle necessità della sua ricerca cerca di conoscere in modo più approfondito i timori e i sotterfugi degli abitanti dell’isola, che appare come una sorta di paradiso lontano dal ritmo caotico della città. Finirà per mischiare la sua professionalità ai sentimenti verso le persone che gli sono legate.

Personaggio inconsueto non solo a livello caratteriale, ma anche fisico, Zottìa esula dall’immagine del classico investigatore. Lungi dal presentare particolari doti atletiche (se si pensa a Sherlock Holmes, tanto per fare un esempio, era un ottimo boxer), non è nemmeno bravo a rivolgere a suo favore le proprie mancanze, come di frequente è in grado di fare il più noto Montalbano. Enea è un vicecommissario pacato nell’aspetto come nel comportamento e la sua personalità emerge durante lo svolgimento delle indagini. Un tutore della legge dal cuore tenero, a cui è facile affezionarsi, ma non sempre appassionante, specialmente nelle parti della storia dove alla ricerca del colpevole si sostituiscono le sue confuse vicende amorose, che in più di un’occasione risultano un eccesso narrativo.

Eppure, al di là della sua immagine, Zottìa riesce a risolvere un caso con due omicidi nel breve tempo di un fine settimana. Morti che si susseguono, suggerendo fin dalla prima parte dell’opera un legame tra i due atroci misfatti. Prima il signor Ciani, tuttofare dell’isola che collabora con il giardiniere del convento, viene trovato senza vita in un parco, poi il ragionier Stefanini, uomo rispettato e amato da tutta la popolazione di San Giulio, muore sulla riva del lago in una notte di tempesta. I sospetti ricadono sulle persone che possono nutrire rancori verso le vittime, tra cui il bel Lioffredi, che si è trasferito a Milano ma in precedenza svolgeva il lavoro di Ciani sull’isola, e la ex moglie di Stefanini, che da tempo ha abbandonato il marito. È questa la pista su cui si concentra anche il protagonista, che inizialmente viene chiamato da Suor Venanzia per risolvere un semplice caso di furto nel convento, ma con la comparsa dei due cadaveri si cimenta in una serie di interrogatori durante cui cerca di scavare nell’animo dei personaggi, scoprendo i loro risentimenti e le loro paure.

Contemporaneamente procede la sua vita amorosa. Già legato a Serena, una bella e raffinata donna di città, con cui però coltiva un rapporto ostacolato dalle indecisioni e da frequenti incomprensioni, Zottìa si innamora della misteriosa Giulia Castelli, che possiede una delle ville di San Giulio (abitate dai proprietari solo per pochi mesi l’anno) dove si è esiliata a causa di una crisi dovuta a una delusione d’amore. Enea, che spudoratamente non disdegna di portare avanti ambedue le relazioni (a dispetto del suo aspetto da uomo tenero e sentimentale) dovrà sopportare l’intrusione di Guidalberto Porrone, ricco amico di Giulia palesemente innamorato di lei. Il personaggio è decritto come una sorta di dandy dei giorni nostri, legato in modo assai ambiguo al mondo dell’arte e, in particolare, del traffico dei quadri. Il romanzo inizia proprio con il mistero di una tela di valore che inspiegabilmente cambia spesso la posizione, vicenda che in modo inevitabile andrà a legarsi ai due omicidi. In varie occasioni Porrone cerca di trascinare Giulia dalla sua parte, suscitando la gelosia di Enea.

Gli altri personaggi ruotano intorno ai lavori di manutenzione delle ville, necessari per lo più nei mesi invernali quando gli edifici restano chiusi. A iniziare dalla famiglia del giardiniere, il signor Zilloni, composta dalla moglie e dal figlio, quest’ultimo un adolescente che stranamente dispone sempre di molto denaro, per arrivare a Chicca, la figlia del locandiere segretamente attratta da Zottìa (almeno da quanto si intuisce) e alla ex moglie di Stefanini che giunge a dargli l’ultimo saluto al funerale.

Un susseguirsi di situazioni che si intrecciano tra amore e indagini, dove trova spazio anche la disavventura del gatto di Enea, che soffre di solitudine e sperimenta le conseguenze dell’allontanamento del padrone. Una breve storia che procede per una parte del romanzo parallelamente alle vicende fondamentali, assolutamente priva di un legame con queste ultime e quindi eccessiva, poiché suggerisce l’intenzione di andare inutilmente a gonfiare la narrazione con un personaggio originale, ma non necessario. Ed è forse il bisogno di originalità a determinare questa aggiunta in un romanzo che resta un noir assolutamente tradizionale.

Traendo le debite conclusioni, delle circa trecento pagine de «Il convento sull’isola» una buona parte appare talmente superflua, da poter essere depennata, anche se non disturba la linearità della trama. Malgrado Polillo interrompa la storia principale più volte per spiegare le indecisioni amorose del protagonista o per raccontare le sventure del suo gatto, riesce a inserire gli intermezzi senza infastidire il lettore. Nei suoi aspetti noir, che sono quelli che veramente possono richiamare l’attenzione, l’opera appare equilibrata, grazie anche a uno svolgimento narrativo consueto. Zottìa torna a San Giulio solo a causa di semplici furti, si trova a prolungare la sua permanenza per due omicidi e infine puntualmente chiarisce il mistero, una conclusione alla Hercule Poirot. Il lettore astuto se vuole riesce a capire l’identità dell’assassino prima della tirata finale del vicecommissario. Doverosamente tra le varie interviste l’autore ogni tanto inserisce alcune utili informazioni per la soluzione del caso.

Un romanzo tradizionale, ma in grado di divertire, che si legge con piacere perché davvero ben scritto e con una serie di personaggi a cui è facile affezionarsi. Da lì la buona idea di Polillo di fare una serie delle sue storie noir. In sottofondo emergono le vite di persone non proprio comuni, né per il tenore di vita, né per le scelte che fanno, ma facili da comprendere a livello psicologico. Come del resto lo stesso Zottìa presenta indecisioni che potrebbe condividere con qualsiasi divorziato, che a un’età non proprio giovanissima rimette in gioco i suoi sentimenti. Ed è proprio questa sua capacità di stare tra le persone e di condividere con loro le difficoltà ad avvantaggiarlo nella soluzione del caso.