Dall’incipit della tesi:

Come ha scritto Pier Vincenzo Mengaldo, «sulla poesia italiana contemporanea» – ma, io credo, su ogni movimento e su ogni stagione letteraria – «s’impara, assai più che da tanti ambiziosi panorami globali, da ricerche apparentemente decentrate che percorrono per esempi e campioni l’intero territorio a partire da ipotesi di lavoro circoscritte ma precise, e in base a queste fanno emergere e contrastare episodi, personalità, testi». Credo che questa formulazione possa offrire una prima giustificazione metodologica per l’operazione, certo ambiziosa ed assai ardua, che ora mi accingo, non senza esitazioni ed ansie, a compiere.
Certo l’accostamento e la giustapposizione di figure diverse rischiano di configurare una sorta di «panorama» dallo sfondo nebuloso e vago, o magari un incoerente e sfilacciato «elenco di dispersi» in cui, volendo, si avrebbe gioco facile a ravvisare omissioni e lacune imperdonabili. Questo rischio è ancor più consistente quando, come nel mio caso, la trattazione tocchi alcune figure che rientrano a buon diritto nel novero degli autori centrali della modernità letteraria europea, e che anzi contribuirono, come si vedrà, se non proprio a segnarne l’inizio, quantomeno a «sistematizzarla» e a dotarla di lucida autocoscienza e nitida concettualizzazione. Si rischia, in altre parole – come del resto accadde anche ad un poeta-critico dal valore e dall’acume infinitamente superiori ai miei -, che la «très grande generalité» che è presupposto indispensabile di simili trattazioni sfoci «in una sorta di generalizzazione che sfuma e scolora», attenuando i contrasti, dissolvendo i contorni, sfarinando masse e superfici.
Nel mio caso, comunque, fermo restando che «percorrere l’intero territorio» sarebbe opera di una vita, un’»ipotesi di lavoro circoscritta ma precisa» c’è: la «critique amusante et poétique», il «poetical criticism» o se proprio si vuole, secondo la spregiativa ed inadeguata definizione crociana, la «critica estetizzante», ben lungi dal poter essere ridotte a forme di elusiva e dilettantesca evasione, o magari ad una sorta di «materiale di scarto» dell’officina poetica, sono parte integrante ed essenziale del contesto culturale in cui la modernità letteraria, «istituita dall’atto duplice e unitario che scandisce la critica e la poesia, si fa sistema»; tali forme di critica sono speculari a forme di «poesia della poesia», di poesia per cui quella che sarà la derobertisiana «collaborazione» della critica, già compiutamente prefigurata in queste esperienze, diviene un elemento consustanziale, vitale, irrinunciabile, quasi un’algebrica «condizione di esistenza». Siamo di fronte ad un portato, ad una conseguenza diretta e, nel contempo, ad un segnale e ad un sintomo di quella quasi patologica e nevrotica «coazione alla teoria» o, per usare una felice terminologia adorniana, «necessitazione all’estetica», che caratterizza la modernità letteraria.

Relatore: Curi, Fausto; anno accademico: 1997-1998; Università di Bologna; Facoltà di lettere e filosofia; tesi di laurea: Letteratura italiana moderna e contemporanea.

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