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(voce di SopraPensiero)Uno dei più grandi e persistenti leit-motiv del cristianesimo, dall’origine ai giorni nostri (ma soprattutto nel Basso Medioevo), è quello della «visione di Dio»: vedere Dio faccia a faccia è considerato, per il cristiano, la più grande delle beatitudini. Da qui, un po’ per umiltà (è a Dio che spetta l’iniziativa di un simile incontro), un po’ per l’intrinseca difficoltà, si è sempre pensato che la visio beatifica spettasse a pochi eletti, colti da «illuminazione mistica». Ignazio di Loyola, fondatore dell’ordine dei gesuiti, è di diverso parere; e senza paura di affermare la propria posizione tanto controcorrente, sostiene che a Dio può arrivare chiunque. Non (solo) con l’umiltà: ma con l’applicazione disciplinata e ben indirizzata della propria volontà. Trionfo della volontà nietzschiana ante litteram in chiave religiosa? Può darsi, ma ancor prima qualcosa di molto più importante: fiducia in ciò che l’uomo è e può conquistarsi, certo con l’aiuto di Dio, ma anche con l’uso delle proprie forze e, in particolare, del proprio sapere…
Nella storia del cristianesimo non è nuova la critica a un modo di intendere la religione che lascia scontenti tanto i religiosi abituati a disincarnare la propria fede (cioè la stragrande maggioranza dei cristiani), tanto i laici impegnati nel concreto (ai quali la fede sembra una giustapposizione superflua e imbarazzante). I gesuiti, probabilmente (non che sia questo il luogo per un processo a un movimento storico di tanti secoli, tanto meno per delle esecuzioni sommarie), ci hanno messo del loro, contribuendo – con una eccessiva disonvoltura nel maneggiare «le cose del mondo», dalla politica al denaro – a dare di sé un’immagine poco devota. Non per questo si può disconoscerne i meriti, come quelli di un modo di intendere la missione che porta oggi ai benvenuti frutti dell’inculturazione; ovvero, la riaffermazione del sacrosanto principio per il quale «tutto è rapporto di forze»: preghiera e azione materiale possono e devono operare insieme. René Fülöp-Miller affronta un esame a trecentosessanta gradi dell’azione gesuitica nelle varie epoche, anche troppo circostanziato (sarebbe bastata forse la metà delle 500 pagine scritte) se l’obiettivo è tutto sommato quello di concludere che, nonostante le buone intenzioni e i buoni risultati, ebbene, anche loro hanno commesso degli sbagli; che ha il pregio di non tralasciare né il dato più scientifico né il pettegolezzo di corridoio, restituendo così un’immagine piuttosto completa di questo importante movimento che – piaccia o non piaccia – ha nutrito la cultura dell’umanità, non solo occidentale. Uno studio classico che risente un po’ dell’età (l’originale è del 1947) e che sarebbe stato meglio pubblicare con una seppur piccola nota introduttiva da parte del curatore.
René Fülöp-Miller, Segreto e potenza dei gesuiti, ed. Odoya, 2015.