Un viaggio al paese di Bengodi
di
Lo zio di Giorgia
tempo di lettura: 8 minuti
I
Io sono stufo di lavorare — disse Topolino sbadigliando e sdraiandosi a piè d’un albero, una bella mattina dell’autunno scorso.
— E ancor io! — aggiunse la Nina, che si mise a sedere con un musino lungo lungo accanto a lui.
— Se si potesse stare senza far nulla e baloccarsi tutto il santo giorno! Ma come si fa?
— Oh, bella! si fa come faccio io, disse un’oca sapiente mettendo a un tratto il becco nei loro discorsi.
La Nina e Topolino si voltarono meravigliati e dissero in coro: — Che c’è?
— Che c’è? — rispose l’Oca. — Non c’è nulla, proprio il gran nulla. Ci sono io che vi dico: Bambini; fate come me.
— Sarebbe a dire? — chiese Topolino.
— Vedete: io mangio, bevo e vado a spasso.
— Ma noi non possiamo fare come te, — osservò il fanciullo. — Noi siamo guardati e non si può fare quel che si vuole: e tutto il santo giorno ci tocca studiare quelle lezioni tanto noiose, tanto noiose!
— Già — soggiunse l’Oca ridendo. — Ma potreste benissimo fare come me. Basterebbe che ve ne andaste a Bengodi.
— O Bengodi dov’è? — domandò Topolino.
— È lontano, molto lontano, da quelle parti là — disse l’oca accennando con la zampa.
— Ma ci voglio andare! — esclamò il bimbo.
— E anch’io, — balbettò la Nina.
E s’avviarono.
⁂
Tenendosi per la mano, da bravi fratellini, Topolino e la Nina so ne andarono verso Bengodi.
— E là che ci faremo? — disse lui, dopo aver camminato un buon poco. E poi pensò: «Fare» non ci faremo proprio un bel nulla. Se ci andiamo appunto per questo!
— Non ci faremo nulla? Ploplio? — chiese la Nina.
— Faremo come ha detto l’Oca: il mestier di Michelaccio; mangiare, bere e andare a spasso.
Per istrada videro una formica con un gran carico sulle spalle.
— Che grulla di bestia! — osservò Topolino. — Affaticarsi a quel modo, mentre a Bengodi potrebbe avere senza fatica tutto quello che volesse.
Un po’ più in là videro uno scoiattolo che raccoglieva delle nocciuole per la sua provvista invernale.
— Che sugo a faticar tanto, mentre qui svolto potresti avere tutto quello che vuoi senza punta fatica! Vieni via con noi a Bengodi.
Lo scoiattolo non se ne diede per intesa e non volle nemmeno dare a Topolino la soddisfazione di rispondergli. Se ne andò colla sua brava provvista di nocciuole, e mentre si nascondeva in una buca d’un cipresso, la Nina credé di sentire una vocina stridula che bofonchiava:
Chi lascia la via vecchia per la nuova
Sa quel che lascia ma non quello che trova.
E la Nina tutta spaurita, guardò in faccia il suo fratellino; ma siccome questi non s’era accorto di nulla, pensò meglio di stare zitta.
E ripresero allegramente il loro viaggio.
Poco dopo, oltrepassata una siepe, si trovarono in una viottola che saliva su su per la collina.
La viottola era un po’ erta e Topolino disse subito:
— Lassù non può esser Bengodi. Invece dev’essere laggiù verso la china.
E i due bambini si lasciarono ruzzolar giù per la scesa. Alla scesa tutti i santi aiutano, e presto presto ebbero fatto un bel pezzo di strada.
A un certo punto trovarono una ragazzina con un gran paniere pieno, che durava fatica a salire su per l’erta.
— Oh, bambini, fatemi il piacere, datemi una mano. Non ne posso più!
E così dicendo la poverina ansava a più non posso.
Ma Topolino le rispose ridendo:
— Voglio giusto aiutarti! Sarebbe proprio bellissima. Si va a Bengodi, nel paese dove non c’è nulla da fare, dove le viti son legate con le salsicce, e tu vorresti che noi… Via grullerella, dovresti fare una cosa belissima: front’indietro e venire con noi.
— Ma io debbo portare il paniere lassù in cima. Per carità, aiutatemi, bambini miei.
La Nina s’era un po’ cominciata a intenerire. Ma Topolino che faceva il gradasso sentendosi vicino alla meta del suo viaggio, prese la sorella per la mano e la tirò via. Volsero le spalle alla ragazzina del paniere e presto presto furon lontani.
Ma una vocina, di quelle che i bambini dovrebbero sentire, se ci stessero un po’ attenti, quando hanno fatto qualche marachella, badava a bofonchiare:
Come farai,
Così tu avrai.
⁂
Ai piedi della collina, Topolino e la Ninetta videro un bell’arco coperto di fiori e chiuso da un cancello di legno, accanto al quale stava una vecchina di molto buffa che, al vedere, pareva una bambola di legno, di quelle che si trovano nell’arche di Noè fatte per i bambini.
La vecchina appena li vide si mise a cantarellare una canzoncina di suo gusto, da cui si ricavava che li aveva aspettati un bel pezzo, e che essa era la Regina di Bengodi. Era un po’ magra e brutta per una regina; ma a Bengodi a queste cose non ci badavano.
I ragazzi furon molto contenti di sentire che avevano finito il loro viaggio, e all’invito della vecchina passarono il cancello.
La Nina com’ebbe passato il cancello rimase di stucco.
Sotto l’arco aveva visto una gran quantità di ragnateli; che formavan due versi, i quali dicevan così:
Dentro Bengodi appena entrato
Con ragnateli sarai legato.
La Nina ebbe una gran paura e voleva tornare subito addietro. Ma Topolino, con grida di meraviglia, la chiamò per farle vedere uno stupendo spettacolo. Erano proprio in un paese incantato e le belle cose, onde erano circondati, fecero presto scordare alla piccina i brutti versi che aveva letti dietro il cancello.
Avevan messo piede in un giardino meraviglioso, pieno d’incanti e di profumi, ricco d’alberi col fogliame lussureggiante, di piante che piegavansi sotto il peso dei frutti: maturi. In terra cresceva un’erbetta morbida come un tappeto e odorosa, smaltata di fiori variopinti. Sugli alberi trillavan gli uccelli che s’eran dati l’intesa per cantar tutti insieme ora questo e ora quell’altro pezzo d’un’opera. Gli usignoli facevan da tenori. Le cornacchie da bassi profondi: i merli fischiavano come flautini. Era una vera delizia: i ruscelli e i rigagnoli correvano di latte e di sciroppi: i margini loro eran di cioccolata: e bastava soltanto desiderarlo, perché i frutti si candissero da loro.
Il primo pensiero dei due ragazzi fu d’empirsi le tasche con tutta quella grazia di Dio. Ma disse Topolino: — È inutile: se ce l’abbiamo qui più fresca, sempre sotto mano.
Finalmente stanchi e anche sazi si misero a sedere sotto una pianta.
Nell’aria si sentiva una musica soave che invitava al dolce riposo. L’orchestra degli uccelli eseguiva un pianissimo pieno d’incanto e di mistero.
Topolino e Nina si sdraiarono sopra un molle strato di erbetta e si misero a mangiare le strane frutta che crescevano lì a portata di mano. A poco a poco si sentirono avviticchiare da una tela di ragno grossa e forte come lo sverzino. Da prima eran tanto occupati a mangiare, e dopo tanto assonnati, che non se ne accorsero punto.
Bengodi era davvero un luogo di delizie.
(Continua)
II
Dopo aver sonnecchiato e anche sognato un bel pezzo beatamente, tutti e due apersero gli occhi e videro che mentre dormivano erano cresciute vicino a loro delle frutta stupende. Topolino non aveva che da aprir bocca, per mangiare una bella pesca matura matura. Ma l’aveva appena toccata con le labbra, che si mise a strillare come un’aquila. Una vespa che stava succhiando il frutto, lo pinzò e gli disse aspramente:
— Le frutta non crescono mica soltanto per voi due.
Topolino seguitò ad urlare e voleva mettersi una mano al viso; ma, cosa davvero curiosa, non gli riusciva di muovere né una mano né un piede. E anche la povera Ninetta era nelle stessissime condizioni. Perché, mentr’essi dormivano, il ragnatelo che li avviticchiava era cresciuto tanto che essi non si potevano muovere.
Povera Nina! si ricordava allora dei due brutti versi che aveva letto dietro il cancello, e si mise a piangere disperatamente.
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E rimasero legati a quel modo e sdraiati in terra per ore e ore, ed ogni minuto che passava si sentivano sempre più stretti.
— Come vorrei che quell’ocaccia brutta non ci avesse insegnato il paese di Bengodi!
— E ancor io, — disse Ninetta frignando.
— Oh! se mi potessi muovere! anderei magari in cima al monte con il paniere peso di quella ragazzina! seguitò il bambino.
— Oh! se aveffi qualcosa da fare! barbugliò Ninetta.
Veramente pareva proprio impossibile che si potessero muovere: e per colmo di disgrazia, quei frutti che prima sembravano tanto appetitosi e belli eran diventati tutti maculati e mézzi. Non potevan mangiare nemmeno quel che dianzi faceva loro tanto gola, e c’era anche il pericolo che ora cascasse loro in bocca.
— Voglio andar via! — urlò Topolino disperato.
— Oh, proprio, lo vuoi? — disse una voce beffarda. — Non hai visto le parole che c’eran scritte dietro il cancello?
Dentro Bengodi appena entrato
Con ragnateli sarai legato.
Topolino e la Nina si guardarono meravigliati; quando si videro comparire dinanzi la vecchina che li aveva pregati d’entrare in Bengodi; ma aveva un altro viso: era piena di dispetto e di malizia.
— Voglio andarmene, io! — gridò Topolino. — Io non so quello che mi dite. Io non ci voglio più stare a Bengodi. Non ci voglio stare. Voglio lavorare, non voglio più stare in ozio.
— E ancor io, non voglio ftare in ozio, — disse Ninetta.
A queste parole, la vecchia, divenne livida dalla rabbia e fece atto di buttarsi addosso ai due bambini; ma essi con uno sforzo potente ruppero i lacci e stavano già per rizzarsi…
— Che hai? Ninetta, — disse Topolino. — Perché mi picchi così? Se vuoi dormire non mi mettere le mani addosso.
— Dio mio, che sogno! che sognaccio! — disse Ninetta.
— Raccontamelo, — disse Topolino. E si mise a sentire la storia del viaggio di Ninetta a Bengodi.
Quand’ebbe finito, Topolino si levò e disse: — Voglio andare dal babbo perché mi dia qualcosa da fare.
— Anch’io, — disse la Nina, — voglio ftudiare.
Fu la prima volta quella, in vita loro, che se ne andassero a lavorare senza fare né musi né capricci.
Fine.
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Un viaggio al paese di Bengodi
AUTORE: Lo zio di Giorgia
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
https://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/
TRATTO DA: Giornale per i bambini / diretto da Ferdinando Martini ; [poi] da C. Collodi. – Roma : [Tipografia del Senato], 1881-1883.
SOGGETTO: JUV038000 FICTION PER RAGAZZI / Brevi Racconti