I ventidue anni di regno di Umberto I di Savoia visti attraverso le vicende che caratterizzarono l’epoca, dalle satire e dall’incorruttibilità del giornalista Achille Bizzoni, alla repressione e all’uccisione di Davide Lazzaretti, il profeta dell’Amiata, al folclorismo giornalistico di Francesco Coccapieller e di Pietro Sbarbaro. Su tutto aleggia però il periodo dei governi di Francesco Crispi, con l’accento sulle disfatte della guerra d’Etiopia del generale Oreste Baratieri e dello scandalo della Banca Romana. Gli attentati al re Umberto, quelli falliti ad opera di Passannante e Acciarito e infine quello riuscito di Bresci, sono visti nel contesto violentemente antiproletario e di corruzione e malversazione che caratterizzarono quegli anni. Da parte del re, oltre al coinvolgimento sempre accuratamente occultato nello scandalo finanziario della banca romana, restano il matrimonio dinastico con la cugina e le numerose amanti, causa non secondaria del vorace buco nero dove finirono ingenti somme di denaro.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

È nato il 14 marzo 1844, quando, secondo Ugo Pesci, nessuno pensava a predicare l’odio di classe e la guerra sociale. In quei tempi i cittadini si chiamavano sudditi. La futura maestà è stata allevata come il figlio di una massaia bigotta. Sua madre, Maria Adelaide, chiamava Dio il re dei re e diceva ai monsignori che le stavano alle gonne, che avrebbe preferito la morte del figlio piuttosto che vederlo nel peccato. Lo ha veduto così crescere in mezzo ai reverendi, alle preci, alle messe, alle comunioni, alle genuflessioni e ai baciucchiamenti dei cristi in croce e delle madonne dal cuore trafitto. Suo padre era troppo occupato delle sue cacce e delle donne per occuparsi dell’educazione dei figli.
Tutte le sue preferenze erano per il camoscio o il daino. Si abbandonava alle cacce alpine come uno che avesse niente da fare. Gli piaceva più la colazione con gli alpigiani di Cogne e di Valsavaranche che quelle del Quirinale.
Umberto ed Amedeo, non appena svezzati dalle mammelle religiose, vennero affidati ai militari. Il loro governatore era un generale e il generale non ha saputo trovare maestri per i principi che nei reggimenti. A quattordici anni, quando i figli di tutte le classi sono in collegio o in ginnasio e sono quadrilingue il principe di Piemonte era capitano. Nessun sprone ai miglioramenti intellettuali. Il genitore doveva avere fiutato in lui una specie di Napoleone I, se nel decreto di nomina ha potuto fare tanto scalpore sulle sue abilità militari. Più tardi, durante la guerra del 66, non è stato che un ottimo generale di ritirata. Il suo fatto d’armi si è limitato alla formazione del quadrato che ha subito la prima carica degli ulani infuriati dal Rodakwski

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