Pubblicato dall’editore Maylander nel 1910, questo testo non può non essere visto che nel quadro dei fermenti irredentisti che animavano la vita della città in quegli anni. L’approccio di Benco è squisitamente culturale e infatti il testo, ricco di illustrazioni e di immagini di una Trieste che oggi si fatica a ritrovare, può sembrare a prima vista al lettore di oggi, poco più di una guida turistica d’epoca.

Bisogna invece inquadrarlo in un contesto che vedeva tensioni certamente importanti. Se il lettore di questo testo di Benco ha già avuto modo di conoscere Il mio Carso di Slataper non fatica a capire quello che intendo dire.

Il problema di Trieste era politico oltre che culturale e quello che andava affrontato era il rapporto con il socialismo e, forse soprattutto, quello con la minoranza slovena che, più che aspirare a un’assimilazione, cercava il proprio spazio attraverso la valorizzazione delle proprie peculiarità. Slataper punta infatti sulle sinergie tra le diverse etnie presenti e sul socialismo che egemonizza il proletariato slavo come le molle fondamentali dell’irredentismo. Slataper recensisce in maniera positiva il volume di Benco ma non manca di osservare che «il grande spasimo etnico, per esempio, sparisce nell’affermazione epica che “in capo a poche generazioni il cemento (italiano) ha rassodato una massa compatta, nella quale non si distinguono più i figli dei tedeschi, degli slavi e dei levantini”. Così è olocausto all’ora l’ultimo capitolo dispensiere liberale di titoli a tutti i triestini viventi».

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del libro:

A chi navighi verso la città, essa appare da lunge come una stratificazione biancastra che si sia formata alle falde delle enormi montagne grigie delineanti l’anfiteatro del golfo. Non ha appariscenza; non ha risalto; si neutralizza nei toni plumbei della montagna e nel colore grigio-cerulo del mare. Le forme della terra sono tracciate con architettura possente che confonde le piccole architetture cittadine: gli sproni rocciosi di Val Rosandra, del monte Concusso, del monte Re, della Selva di Tarnova, tagliano con un ritmo d’angoli acuti le terrazze orizzontali dei grandi pianori carsici.
A poco a poco, come la nave si avvicina, quegli enormi profili assumono le loro reali distanze nelle prospettive dell’aria; dai fianchi delle montagne petrose e calve sporgono le colline e tondeggiano, con un pallor verdognolo sotto i veli azzurrini dell’atmosfera. Macchie nere di pini inchiostrano qua e là duramente il paesaggio sintetico. Si indovina la conformazione geologica del paese: gli spaccati delle valli brevi ed anguste che ingolfano l’ombra nelle loro insolcature triangolari. L’ultima valle a mezzogiorno, la più vasta, la più profonda, la sola che serbi ancora nel fiumiciottolo Rosandra il suo generatore, si ricongiunge dolcemente alla ondulata fluidità delle colline istriane, che esitano in un diramarsi di punte, in un divarcarsi di piccoli golfi, e poi s’allungano e s’affilano verso occidente. Il bianco quasi salino della città è ancora appiattito nel paesaggio; non ha rilievo sui colli ai quali si appende e si arrampica.

Scarica gratis: Trieste di Silvio Benco.