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Pubblicato Tre racconti di Vittorio Bersezio.
Dall’incipit del libro:
— Che cosa avete voluto provare?
— Mi piacerebbe rispondervi citando i notissimi versi di Dante: «Io mi son un che quando amore spira, noto ec.» Ma siccome di questa citazione si è già troppo abusato, la lascio stare.
Voglio dire che dapprima nasce in me un sentimento vago e ancora incerto, che poi esso viene pigliando un po’ più di precisione e mi commuove colla potenza d’un affetto; che acquista via via più forza, sale al cervello e vi prende essere definito e si afferma in un’idea; allora accorrono intorno a questa molte immagini di cose, di luoghi, di persone, un po’ di luce e molte penombre, qualche uggiosa nebbia più fitta, che minaccia riavvolger tutto e ricacciare ogni cosa nel caos, o per meglio dire nel nulla. Così man mano la fantasia viene preparando scena ed attori d’un dramma ideale che si forma e si rappresenta nella mente; lo spirito vede quei fantasmi e vive, pensa, sente, agisce con essi più di quello che li faccia agire; la ragione tenta una critica della esistenza e dei fatti loro per ridurre a una verità più reale complesso e particolari; e la penna da ultimo si prova a tradurre in parole di scritto quelle vagheggiate creazioni, le quali, ahimè pur troppo, nei freddi periodi della mia prosa riescono tanto lontane dalla splendidezza del sogno in cui mi apparvero.
— Capisco; va benissimo: ma codeste creazioni debbono pur voler dire qualche cosa.
— L’uomo, per quanto faccia, cerchi e s’ingegni, avrà sempre per suo studio più interessante, più vasto, più utile e di maggior dovere lo studio di sè medesimo. Il suo corpo e il suo spirito, i suoi sensi e la sua anima, le sue passioni e il suo pensiero, sembrano un campo ristretto, e sono un àmbito immenso che tocca quasi all’infinito.