Tre poesie inedite di Alessandro Cartoni.

PRATICAMENTE DOVUNQUE

vagine e perizomi
formato famiglia
sparati a pioggia
praticamente dovunque
colano dentro
a passo di rap
ad ogni ora del giorno

mi sveglio
e il rotocalco infinito
è già lì
la scena già pronta
il copione aperto a pag 9
anche il gobbo al suo posto
dentro il buco del palco

dall’alba al tramonto
spezzoni di iperrealtà
nuotano errabondi
nel grigiore della specie

io e te
null’altro che animule
in un mondo di comparse
che non conoscono regia
né animazione

carcasse d’animali
vibrano dentro gli elettrostimolatori
nei canali commerciali
mostri, bingo e videotape
saturano gli schermi
crollano le Torri
traslocano le anime
si moltiplicano le immagini
e gli specchi deformanti
sulle montagne afgane
piovono protesi artificiali
mentre gli anchor men
sorridono ancora
con le loro facce da fumetto

intanto cerco vecchi nastri
che mi parlino di me
chi sei?
chi sono?
l’io è un altro
il vento nasce morto
in questa bonaccia
di transistor incantati
prospetti informativi
e pupazzate elettroniche

OK
alla fine smetterò anch’io
di fare chiasso
e abbraccerò il silenzio
nessun fantasma
nessuna libidine
nessuna memoria

per il mio trentottesimo compleanno
mi turerò le orecchie
mi taglierò la lingua
mi bucherò gli occhi
m’infilerò dei tappi in gommapiuma
nel naso
riempirò tutti gli orifizi
compreso l’ano
non lascerò nessun varco

ma soprattutto smetterò di ricordare

COME UN FETO

la luce di settembre
ritorna leggera
sulla città affaticata
piccoli bagliori
occhieggiano dalle strade bagnate

oggi il verde delle foglie
ha un tono fresco e selvaggio

esistono momenti
in cui il sangue cattivo
sembra farsi più chiaro
e la grazia s’impone
sullo sporco del mondo

i gatti tornano nei prati
a stendersi al sole
leccandosi il pelo

le bacche dei ginepri stillano
della pioggia recente
vasti lembi d’azzurro
s’accampano
tra le fronde e i cornicioni grigi

oggi
non ho bisogno d’altro
socchiudo le palpebre
rallento il respiro
e come un feto
rimango disteso
nella trasparenza
dell’aria

L’ULTIMO INFERNO

quando arrivò l’ultimo inferno
decise che la prova
poteva considerarsi
conclusa

spostò una sedia
vicino alla finestra
fece scendere le tapparelle
e cominciò ad aspettare

gli occhi gli bruciavano
i nervi sfrigolavano
come fili elettrici scoperti

quando arrivò l’ultimo inferno
erano le sei di pomeriggio
la casa era vuota
i letti disfatti
la luce diafana
le strade gocciolanti
di stanchezza

aveva già ingoiato
le sue pasticche di sertralina
tutto sembrava la suo posto
non era troppo tardi
né troppo freddo
il cielo ordinariamente grigio
gli alberi ancora alberi
gli uomini orribilmente uomini

quando arrivò l’ultimo inferno
capì che non era
come gli inferni precedenti
non emanava odore di zolfo
non c’erano dannati
né giudici soprannaturali
nemmeno castighi visibili

quando arrivò l’ultimo inferno
aveva già indossato i pantaloni del pigiama
e dimenticato ogni termine di paragone
pensò ai palloncini scoppiati
ai numeri di un’agenda perduta
ai pezzi di cielo oscurati dalle antenne
ai laghi sporchi colmi di melma
alla rogna dei cani

l’ultimo inferno
non aveva
né voce, né odore
nessuna forma concreta

si era appiattito su tutto
l’ultimo inferno
covava tra le pieghe dei muri
nei carrozzini dei neonati
si spandeva nell’aria
dentro le canzoni della radio
si mescolava ai carburanti
nei serbatoi delle auto
nelle suburbane
nelle lattine della birra
nei tranci di vitello
si raggrumava
nei resti dei pasti
negli ospedali
nelle celle frigorifere
negli obitori
si liquefaceva nei sorrisi
nelle cartucce delle stampanti
dentro i cavi telefonici

quando arrivò l’ultimo inferno
capì d’improvviso
che era l’unica cosa
davvero sua
l’unica
che aspettava da anni

Allora

finalmente
smise di preoccuparsi
si lavò i denti
si tolse i calzini di cotone
spense la lampada
e cominciò finalmente
a dormire

Un’intervista ad Alessandro Cartoni: https://paginatre.it/?p=258