Si parla sempre molto della sindrome della pagina bianca o blocco dello scrittore. Per ciò si intende una fase improduttiva, in cui l’artista non riesce più a creare. Vi ricordate il film “Shining” in cui il protagonista impazzito scrive sempre la solita frase? In fondo quelle scene cinematografiche sono l’iperbole ai massimi livelli del blocco che hanno alcuni creativi. Gli esperti danno svariate indicazioni e molti consigli per superarlo. Alcuni dicono di prendersi una pausa e di non incaponirsi troppo, di non fissarsi troppo. Ci sono alcuni esperti che consigliano frequenti camminate, la meditazione, il training autogeno, praticare la mindfulness, cambiare abitudini di vita, vedere posti nuovi e persone nuove, etc etc. In fondo può essere una fase di stanca e può passare presto. Ma a questo proposito è sempre bene chiedersi: non ho più niente di nuovo da dire, non lo so dire nel modo più appropriato o mi autocensuro troppo? Talvolta infatti si giudica in modo troppo negativo quel che si è scritto recentemente e si cestina tutto (dimenticandosi che si è sempre cattivi giudici di sé stessi nel bene e nel male); insomma ci sono vari modi di girare a vuoto. Per alcuni creativi la pagina bianca o lo schermo vuoto sono delle vere ossessioni. Ci sono altri che invece sono una vera fucina di idee e sono molto prolifici. Ci sono diverse sfaccettature per valutare questo aspetto. Da una parte può darsi che il creativo non abbia stimoli sufficienti per produrre qualcosa di nuovo. Non a caso alcuni scrittori per produrre un romanzo ogni anno hanno dichiarato che si sono trasferiti apposta in una grande città, perché lì si trova l’umanità più varia, lì ci sono tante realtà socioeconomiche, lì ci sono più stimoli culturali. Tutto ciò si basa implicitamente sullo schema stimolo/risposta del comportamentismo. Dall’altra parte ci sono delle differenze individuali riguardo alla capacità di ideazione: la creatività per gli psicologi è anch’essa un continuum attitudinale. Inoltre c’è il mito romantico dell’ispirazione a cui molti credono ancora oggi. Moravia non ci credeva affatto e riteneva che scrivere era un lavoro come gli altri; secondo lo scrittore romano bisognava stare a scrivere delle ore ogni giorno e poi le idee sarebbero venute. A questo si aggiunga il fatto che molti artisti hanno dei riti, che seguono sempre, in modo quasi scaramantico; c’è chi prende un caffè e fuma prima di accingersi a scrivere come faceva Alberto Bevilacqua e ci sono addirittura scrittori che bevono alcol come faceva Bukowski prima di creare; c’è chi ha bisogno di silenzio per isolarsi dal mondo e chi ascolta musica mentre scrive. A proposito di dire qualcosa di nuovo c’è anche chi ha dei dubbi. Ci sono critici letterari che pensano che molti scrittori non facciano che ripetere il primo libro. Secondo questa scuola di pensiero ogni artista ha un’ossessione psicologica, che diventa la struttura portante dei suoi libri e ogni opera non sarebbe altro che una declinazione di questo rovello. Quindi secondo alcuni ogni libro non sarebbe altro che la variazione dello stesso tema. Eppure ci sono anche artisti che sanno rinnovarsi, che cambiano prospettiva con il tempo, che affrontano diverse tematiche, che sanno approcciare la realtà in modi nuovi e originali. A onor del vero certi lettori e certi critici non sono mai contenti e sono troppo esigenti, perché vogliono che l’artista sia fedele al proprio stile e per questo sia riconoscibile, identificabile, etichettabile, ma vogliono anche essere sempre stupiti, spiazzati, sorpresi dalla sua nuova opera. E spesso è difficile trovare un equilibrio tra tradizione e innovazione. Ma secondo i neuroscienziati i pensieri originali sarebbero casuali e rari e seguirebbero statisticamente la distribuzione di Poisson, che per l’appunto è detta anche legge degli eventi rari. Insomma se l’ispirazione è casuale e non sappiamo come nasce e da dove arriva, è vero anche che è più probabile che avvenga in menti più creative, a patto che queste lavorino costantemente ogni giorno. In definitiva l’ispirazione è necessaria, ci sono persone più ispirate di altre, ci sono periodi in cui siamo più ispirati di altri, ma l’ispirazione è una minima parte della creatività, e a poco serve se non si inizia, se non si smette di rimandare, se non si prova e non si riprova. Si tratta spesso di osservare gli altri e la natura, di mettersi in ascolto di sé stessi (e mettersi in ascolto di sé stessi talvolta, anzi spesso significa dare libertà all’inconscio. La poetessa Sara Ventroni prima di scrivere “Nel gasometro” ha iniziato a fotografare gasometri e a documentarsi su di essi senza sapere perché la incuriosivano e la stimolavano), delle voci del mondo, ma anche di registrare tutto, di annotare, di scrivere tutto ciò che passa per la testa (le idee vanno sempre annotate, perché poi passano, sfuggono irreprensibilmente, si dimenticano per sempre). Dopo aver fatto questo, prima o poi, giungerà, più o meno inaspettato, qualcosa che urge da dentro e che deve essere messo sulla carta o sul computer. Il consiglio spassionato che do è quello di non essere troppo severi con sé stessi e di non buttare via mai niente, neanche le cose apparentemente più ovvie, più banali, più sterili, più sciatte, più confuse. Spesso dalla rielaborazione di alcune idee appena abbozzate può nascere in seguito qualcosa di interessante. Infine anche i materiali di risulta non sono da disprezzare, perché testimoniano un lavoro o almeno un lavorio incessante che fa ogni artista che si rispetti.