Podcast: Apple Podcasts | RSS
(voce di SopraPensiero)
Francia 1893 – C’è una cittadina nella Camargue francese, si chiama Aigues-Mortes, che ogni anno nel mese di agosto si trasforma in terra di raccolta dell’oro bianco: il sale. La Compagnie des Salins du Midi ha bisogno di tanta manodopera per raccogliere velocemente le 90.000 tonnellate di sale prima dell’arrivo delle piogge. Si assume gente del posto e proveniente dalle regioni limitrofe, e si da lavoro anche a quei vagabondi senza fissa dimora che girano per il paese alla ricerca di un’occupazione saltuaria, si chiamano “trimards”. Ma non bastano ancora. E allora si ricorre alla manodopera straniera, purchè sia disposta a lavorare sodo. A quel tempo gli italiani sono considerati particolarmente produttivi, perché sono abituati a svolgere lavori molto duri. Questi stranieri vengono reclutati da “caporali” francesi, si chiamavano proprio così!, in francese “bayle” e arrivano tutti dall’Italia: principalmente dal Piemonte e una minoranza da Lombardia e Toscana. I saliniers arrivavano da quelle regioni dove all’impoverimento economico si associava il dato della prossimità territoriale: buona parte degli uomini validi emigrava dalla primavera all’autunno, lasciando al resto della famiglia la cura della conduzione della terra. Dalle saline spesso ci si spostava nelle vigne. In quegli anni la Francia è lo stato che accoglie il maggiore flusso di migranti e l’Italia ha una forte emigrazione dal nord del paese.
L’impiego di questi stranieri è malvisto dalla comunità locale: gli italiani sono disposti a sopportare turni massacranti perché hanno bisogno di lavorare, e siccome la paga è a cottimo più lavori e produci, più guadagni. Ma il loro arrivo, anche se circoscritto a brevi periodi dell’anno, è vissuto come una vera e propria invasione. La stampa francese alimenta il clima di tensione, come si evince da alcuni titoli a dir poco gentili: “Ci tolgono il pane di bocca” – “Sono sporchi, tristi, straccioni, di cultura inferiore e formano intere tribù” (La Patrie, 3 agosto 1886). Ecco uno stralcio dell’articolo di Maurice Barrès apparso su Le Figaro dal titolo Contre les étrangers : “Il decremento della natalità e il processo di esaurimento della nostra energia hanno portato all’invasione del nostro territorio da parte di elementi stranieri che s’adoprano per sottometterci. La presenza di stranieri in Francia costituisce un pericolo permanente, sono di dubbia moralità, il tasso di criminalità è elevato: del 20%, mentre nei nostri non è che del 5”.
Il messaggio é: questa migrazione mette a rischio la patria francese. Impossibile, in un quadro simile, una qualunque forma di integrazione.
I lavoratori stagionali vengono apostrofati con termini spregiativi, come Ours (orsi) e Macaroni; il termine Pimos (abbreviativo di piemontese) viene affibiato come un insulto.
I saliniers italiani vengono sistemati in baracche prive di condizioni igieniche, l’acqua potabile è scarsa e la malaria sempre in agguato. Per essere identificati portano un cartoncino con scritto un numero e il nome del loro caporale, di loro non si conosce nemmeno il nome. La Compagnie des Salins du Midi, che in un primo momento aveva distinto le squadre per nazionalità, per rendere più uniforme la produttività comincia a creare squadre miste ed è qui che la convivenza, alimentata da quello stereotipo negativo che è stato fatto circolare con insistenza dalla stampa, si trasforma in tensione.
Per accedere alle saline il percorso dai paesi vicini si fa a piedi attraversando campi sterminati di non facile accesso perché si cammina in mezzo agli acquitrini: le giornate lavorative iniziano prima dell’alba e si concludono dopo il tramonto, spesso senza una pausa al riparo dal calore del sole o dal vento.
Da questo fatto risulta una divisione del lavoro che svantaggia notevolmente gli italiani, ai quali spetta il lavoro più duro e meno remunerato: l’ammasso del sale presso i luoghi di raccolta con pale e carriole e non ad esempio quello all’interno dei magazzini, ruolo affidato esclusivamente ai lavoranti francesi. Durante le lunghe ore di lavoro sotto al sole gli italiani cantano per sopportare la fatica e la sera si ritemprano bevendo vino (entrambi tratti che vengono continuamente sottolineati come dispregiativi).
E’ in questo clima di sofferenza e tensione che, nell’agosto del 1893, Aigues-Mortes diventa teatro di inaudita violenza, di quella che usando il gergo odierno verrebbe definita un’assurda guerra fra poveri, una violenza razzista verso questi poveri migranti del secolo scorso.
Secondo gli storici tutto scaturisce da una banalità: un torinese avrebbe lavato un fazzoletto sporco di sale nella tinozza dell’acqua dolce. Questo scatena nei saliniers francesi una ferocia che sfocia in una rissa sanguinosa. Immediatamente parte la macchina diffamatoria: si sparge a macchia d’olio la voce secondo la quale degli italiani avrebbero assalito dei francesi.
La voglia di impartire una lezione agli invasori che vengono per rubare il lavoro innesca una reazione feroce: in 500, armati, chi di randelli, chi di pietre o fucili cominciano una vera e propria caccia all’immigrato italiano. Al manipolo razzista si uniscono man mano altri cittadini, esasperati dalla presenza straniera, che riempiono i vicoli della città intonando tutti all’unisono la marsigliese.
Comincia la fuga dei braccianti italiani, che cercano rifugio dove possono, persino nella questura e nelle carceri cittadine. Parte della popolazione si dimostra accogliente e si prodiga per nasconderli, tra questi il parroco Jacque Eugène Mauger e la proprietaria di una panetteria, la coraggiosa Aélaide Fontaine , che fa barricare gli assaliti nel suo negozio e con loro resiste eroicamente all’assedio e ai tentativi d’incendio per quasi due giorni.
Capendo che la situazione sta degenerando e sotto la pressione dei cittadini, il giorno seguente i poliziotti decidono di caricare gli italiani su di un treno per rispedirli in Italia. Ma per l’odio razziale ormai scatenato non è sufficiente la cacciata; il corteo, che si sta recando in fila indiana verso la stazione, viene raggiunto dalla folla inferocita, la gendarmerie viene sopraffatta e gli autoctoni, ormai fuori controllo, danno vita ad un allucinante linciaggio fra i campi e i corsi d’acqua del delta. I braccianti vengono inseguiti, uccisi, sgozzati e gettati nei canali circostanti. I corpi ritrovati e identificati sono dieci, ma la maggior parte viene trasportata dall’acqua impedendone il recupero, e sono a tutt’oggi un numero imprecisato. In più si contano oltre 100 feriti.
Un reparto di cavalleria, che avrebbe dovuto intervenire a bloccare la violenza degli anti-italiani, aspetta invano per ore in una stazione poco distante l’ordine di partire, ordine che arriva quando ormai il linciaggio è compiuto. E’ il 17 agosto del 1893.
Ha inizio un frettoloso processo farsa, affidato ad una giuria popolare. Accecati ormai dal razzismo verso gli italiani, i componenti della giuria insabbiano ogni responsabilità francese assolvendo all’unisono tutti gli imputati, che escono dall’aula tra gli applausi della folla. La stampa strumentalizza a suo piacimento gli omicidi ed il linciaggio.
Aggiungendo altro disonore ai nostri connazionali, il governo francese decurta dal calcolo degli indennizzi alle famiglie delle vittime il costo di alcune vetrine rotte dai braccianti italiani durante la rivolta, equiparando la gravità della morte dei lavoratori a quella di pochi danni materiali. Il sindaco della cittadina Maurice Terras si affretta a diramare un comunicato nel quale, invitando gli autoctoni alla calma, esprime piena soddisfazione per il fatto che gli stranieri non sarebbero mai più tornati a lavorare nel suo comune.
L’eco della rivolta francese raggiunge velocemente l’Italia scatenando sommosse nelle maggiori città, dove le masse popolari si riversano in strada per manifestare contro il pogrom xenofobo, fatto che rischiò di portare i due paesi sull’orlo di un conflitto armato.
L’anno successivo al fattaccio le autorità realizzarono un servizio di derivazione dell’acqua corrente e poco dopo la Compagnie des salins du Midi meccanizzò la raccolta del sale, inventando anche una carta d’identità per stranieri, in un tentativo estremo, forse, di risolvere i problemi che loro stessi avevano creato. Solo di recente, dopo ben 125 anni e continui tentativi di insabbiamento, grazie alle pressioni dei discendenti delle vittime, viene autorizzata l’affissione di una targa per il riconoscimento di una memoria storica.
Nel frattempo Aigues-Mortes è diventata una tappa importante degli itinerari turistici e un trenino accompagna cinque volte al giorno i visitatori nei suggestivi sentieri che attraversano le acque rosa delle saline, nei luoghi dove tanti anni fa scorreva il sangue di quelle vittime innocenti che potevano essere i nostri bis-nonni. Ma se dovessimo chiedere ad un francese se si ricorda di quell’episodio, di sicuro egli ci risponderebbe: “Mais quel massacre d’Italiens?”.
(di Agatha Orrico)
Per approfondimenti:
Il testo del manifesto affisso dal Sindaco dopo il linciaggio: «Gli operai francesi hanno avuto piena soddisfazione. Il sindaco della città di Aigues-Mortes invita tutta la popolazione a ritrovare la calma e a riprendere il lavoro, tralasciati per un momento. Raccogliamoci per curare le nostre ferite e, recandoci tranquillamente al lavoro, dimostriamo come il nostro scopo sia stato raggiunto e le nostre rivendicazioni accolte. Viva la Francia! Viva Aigues-Mortes!».