Il secondo volume – dal Libro Terzo (capitoli XIX a XXIX) al Libro Quarto (capitolo XXX) – di questo compendio, dopo il capitolo iniziale in cui è illustrata la condizione degli schiavi, riprende la puntuale narrazione della storia a partire dalla Guerra giugurtina fino alla seconda guerra civile, il periodo di dittatura e la morte di Cesare, il successivo clima di guerre civili fino all’ascesa al potere di Augusto al soglio imperiale.

Il terzo volume – capitoli da XXXI a XLII – è dedicato in particolare al periodo della Roma imperiale. Nell’analizzare le principali figure e i fatti salienti, l’Autore scrive della prosperità materiale ma anche della depravazione morale, di economia pubblica e privata, di letteratura, arti e architettura.

Dall’incipit del libro (Tomo II):

Se la giustizia non è una legge eterna, ma deriva da patti sociali e da decreti, non può concernere se non coloro che stipularono; lo straniero sarà un nemico, e ciascuno potrà ucciderlo a voglia; i vinti si manderanno per le spade, se pure non si trovi più utile il servarli (servi) pei proprj bisogni, e perchè facciano tutto ciò che al vincitore talenti. Così logicamente veniva stabilita la maggiore delle iniquità, e l’ulcera delle società antiche.
Gli schiavi, come in tutta l’Asia, l’Egitto, la Grecia, così in Roma abbondavano; e conforme alla giustizia suddetta, Dionigi d’Alicarnasso, parlando di Servio Tullio, trova che i Romani acquistavano i servi con mezzi legittimissimi1, giacchè o li compravano all’incanto, o li riceveano col bottino, od ottenevano dal generale di serbar quelli ch’essi aveano presi in guerra, o li compravano da chi gli avea avuti per le vie predette. Oltre gli acquistati in guerra, alcuni eransi venduti da se stessi per vizio, o dai creditori, o dalla legge (servi poenæ); altri erano nati in casa (vernæ); altri raccolti bambini nelle esposizioni, comunissime allora quando ogni padre poteva ricusare di levar di terra il figlio natogli. Estese le conquiste, si portarono schiave a Roma anche persone nobili ed istruite, principalmente dalla Magna Grecia e dalla Sicilia: crebbero poi a migliaja nelle guerre con Cartagine, col’Illiria, colle Gallie. Del farne nascere in casa poco s’avea cura, credendosi questi men robusti, e parendo gittato il tempo in cui si deve lasciar inoperosa la madre, e nutrire il bambino senza frutto.

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