L’opera San Dalmazzo martire e Compagni (1935) di Alfonso Maria Riberi, che qui si presenta, è definita molto chiaramente dall’autore “un’operetta popolare”, un sunto appunto ad uso dei fedeli dell’opera sua più corposa e dotta San Dalmazzo di Pedona e la sua abbazia (Torino, Biblioteca Società Storica Subalpina, 1929).
Riberi, accanto al suo impegno religioso che lo aveva portato al sacerdozio, svolge con grande interesse e capacità l’attività di storico, peraltro avendo la piena convinzione che anche la ricerca storica sia uno dei modi di svolgere il ministero sacerdotale.
Se in questa ‘operetta’ egli non riversa tutto il bagaglio di conoscenze documentarie e della tradizione orale, presenti nell’opera ‘madre’, tuttavia anche qui, organizzando il materiale secondo un rigoroso schema, fornisce ampie e certificate informazioni sulla biografia di San Dalmazzo, figura di santo molto amata nell’area del cuneese, in particolare in quella parte della ‘provincia granda’ verso le Alpi, al confine con la Francia. Riberi racconta degli studi di Dalmazzo, della sua predicazione oltre Pedona (l’odierno nome di Borgo san Dalmazzo compare alla fine del XI secolo) fino in Francia da una parte e Toscana ed Emilia dall’altra. Intorno al 254 d. C. Dalmazzo e i compagni che lo accompagnavano in pellegrinaggio subirono il martirio sulle sponde del fiume Vermenagna ad opera di “due seduttori, maghi di Apollo”.
L’autore narra delle predicazioni dei discepoli di San Dalmazzo, dei quali non si conoscono i nomi esatti; come si diede mano a costruire la chiesa dedicata ai martiri; quanto fosse esteso e sentito il culto reso al Santo nel Medioevo; come l’abazia benedettina di Pedona divenne un importante centro di studi giuridico-teologici; come nel X secolo la chiesa e l’abazia vennero devastate dai saraceni.
A proposito dei compagni e discepoli di San Dalmazzo, Riberi, peraltro sempre “molto rigido e cauto nel trattare le questioni agiografiche”, con tono anche fortemente ironico, si scaglia contro gli studiosi che vollero arruolare tutti coloro nella Legione Tebea:
«La storia purtroppo non conosce i nomi di quei generosi, ma al loro numero vanno certamente ascritti i molti santi piemontesi dell’epoca, che più tardi per ignoranza delle circostanze si vollero arruolare nella Legione Tebea. Questo arruolamento in massa, fatto dal Teol. Baldesano nel 1604, ora è fieramente discusso e comunemente respinto, perchè contrario alle più antiche memorie sui Tebei, le quali ci garantiscono che nessuno scappò da Agauno nel pauroso eccidio.»
La Legione Tebea (da Tebe, in Egitto) è il nome dato ad una unità militare dell’esercito romano composta da egiziani cristiani, cioè copti, che, secondo la letteratura agiografica cristiana, sarebbe stata sterminata per ordine dell’imperatore Massimiano: gli oltre 6000 soldati, al comando di colui che sarebbe poi divenuto San Maurizio, si sarebbero rifiutati di giustiziare alcuni cristiani del Cantone Vallese in Svizzera. Il martirio dell’intera Legione sarebbe avvenuto ad Agauno (o Acaunum, odierna Saint-Maurice in Svizzera). Dato il gran numero di martiri che dall’eccidio di Agauno sarebbero sorti, è inevitabile che per tanti, dei quali si sapeva poco o nulla, l’arruolamento nella Legione fosse quasi inevitabile. La rivoluzione francese, dilagata in Piemonte, addirittura cercò di fare tebeo anche S. Dalmazzo.
La Sacra Historia della Legion Tebea, pubblicata a Torino (1589; poi 1604) dal medico e teologo Guglielmo Baldesano di Carmagnola per compiacere il duca Carlo Emanuele I, portò “tale confusione nell’agiografia del Piemonte, che ancora ne restano i turbolenti effetti.”.
Riberi poi passa a descrivere le belle tradizioni legate al Santo:
«Come la roccia vetusta si copre di licheni e l’umida riva coll’andar del tempo si veste di folta vegetazione, così la storia divenendo antica si adorna di tradizioni, di usi, di fantasie poetiche, di accessori variopinti, che costituiscono lo strano complesso, attualmente detto folklore. Questo contiene notevoli elementi storici, dà vita ai morti personaggi, anima certe situazioni, sottolinea ed accentua i fatti, per cui – quando si contenga in limiti ragionevoli – merita pure la nostra attenzione, come utile supplemento e chiarimento alle notizie maggiori, che vengono dai documenti. Per questo motivo aggiungo qui un saggio del nostro folklore attorno a S. Dalmazzo, che non contraddice punto allo scopo di pietà prefissomi nel presente libretto.» (P. 126)
Lettura imperdibile per chi ama quella zona del Piemonte ad un passo dalla Francia, che costituisce con la parte sud-orientale di essa la regione socio-linguistica chiamata Occitania, il testo è interessante per la capacità di Riberi di narrare in modo approfondito ma leggero una storia circoscritta, ma che certamente riflette la Storia di una parte significativa del Piemonte, una regione in bilico tra la Francia, la fascia costiera della Liguria a ridosso del Mar Tirreno, le pianure della Lombardia, collocazione che ha portato quella regione e in particolare il cuneese a diventare una zona sottoposta a continue sollecitazioni e viva di continui scambi.
Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi APS
Dall’incipit del libro:
S. Dalmazzo e la sua famiglia.
Gesù Salvatore per redimere l’umanità era morto in croce da duecento anni, ma assai lentamente la sua fede penetrava il mondo. E più lentamente ancora conquistava le classi alte della società, perchè, sebbene il Cristianesimo si rivolgesse del pari alle masse del popolo ed ai grandi della terra affratellando tutti nel vincolo della santa carità, tuttavia i grandi, schiavi delle ricchezze e dell’orgoglio, sentivano spesso con disprezzo, e talora respingevano senza volerla sentire, l’umile dottrina del Vangelo. Così avvenne che, quantunque fin dal primo secolo S. Paolo potesse contare fra i discepoli suoi alcuni della casa di Cesare, tuttavia le nobili famiglie romane avevano dato a Gesù più avversari che amici, e poche nel terzo secolo avevano chinato la fronte superba al disonore del Golgota.
Scarica gratis: San Dalmazzo martire e Compagni di Alfonso Maria Riberi.