Negli anni 1912-13, Rabindranath Tagore tenne otto conferenze agli studenti dell’università di Harvard, in cui esponeva le sue riflessioni sui grandi problemi umani: l’origine del male e del dolore, la natura della bellezza e della sua funzione nella psiche, il rapporto col divino, l’amore, il lavoro.
Questi temi fondamentali ed eterni sono considerati sia nella visione della cultura da cui l’Autore proviene, che in quella occidentale. La sua visione personale deriva dalla scuola filosofica dei Vedanta, la dottrina upanisadica che costituisce il nucleo della religione induista: sua idea fondamentale è l’identità del Brahma, il divino creatore e sostentatore dell’universo, con l’anima personale umana e di ogni essere, vivente e inanimato. La concezione filosofica viene vissuta profondamente ed intensamente, traducendosi in un sentimento di amore appassionato e gioioso per ogni espressione della creazione.
Perché l’anima comprenda se stessa per mezzo della perfetta unione col mondo e con Dio, deve rinunciare alla “superbia dell’io”; solo così giungerà alla liberazione dall’ignoranza e dall’infelicità; solo questa rinuncia al limitato ci permette di conseguire l’infinito e l’eterno. La conoscenza della propria anima conduce a trovarvi l’Unico, pur molteplice nelle sue manifestazioni. Anche il male e il dolore della nostra esistenza sono aspetti di queste manifestazioni impermanenti.
La perfetta conoscenza della nostra anima e del mondo si consegue solo attraverso l’amore, che ci permette di capire la sostanziale identità del nostro essere con tutte le creature. La bellezza stessa è il mezzo con cui il divino attira a sé l’anima, che nel particolare riconosce l’armonia universale. L’impulso ad agire, ad operare, proviene dalla gioia di vivere, ed è un riflesso della tendenza all’evoluzione di Brahma stesso.
Sinossi a cura di Cristina Rosanda
Dall’incipit del libro:
La civiltà dell’antica Grecia si sviluppò dentro le mura cittadine, ed effettivamente tutte le moderne civiltà hanno avuta la loro culla di calce e mattoni.
Queste mura lasciano una traccia profonda nelle menti degli uomini. Esse stabiliscono nel nostro animo diffidente, il principio “divide et impera” che genera in noi l’abitudine di assicurarci tutte le nostre conquiste, fortificandole e separandole l’una dall’altra. Noi separiamo nazione da nazione, scienza da scienza, l’uomo dalla natura; il che ci rende fortemente sospettosi contro tutto ciò che è al di là delle barriere da noi sollevate, e fa che ogni cosa debba aspramente lottare per riuscire ad esser presa da noi in considerazione.
Scarica gratis: Sādhanā di Rabindranath Tagore.