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Eccoci davanti ad un’altra prova di maestria del Fugassa; in quest’altro racconto scritto con il suo stile inconfondibile: caratterizzato dai suoi periodi brevi, cadenzati, regolari come lo sciabordìo della risacca.
L’autore riporta una storia che, a detta sua, è basata su racconti veri, fatti da gente al corrente dei fatti, dove si narra la storia della Signora Maddalena (Manìn, in genovese) che, un giorno, accetta di navigare con il marito, comandante a bordo del “Speranza”, facendo rotta verso l’India, dove li attendeva un carico importante.
Il racconto del viaggio mette in risalto la tipica caparbietà dei liguri, l’autore li definisce: “i marinai; la gente più testarda del mondo”. Come la protagonista del racconto che, di fronte alle scomodità del viaggio, all’improvvisa e nefasta malattia del marito, non si è nascosta.
Dopo la dipartita del congiunto, non solo ha preso in mano il timone della situazione, ma anche quella del bastimento conducendolo, da scalo a scalo, fino in porto; sotto lo stupore della gente.
“Manìn”, non solo ha realizzato il sogno del marito, portando la merce a destinazione, ma, una volta sbarcata ha portato a profitto gli impegni presi segnando il cammino per le future generazioni.
Sinossi a cura di Raffaele Fantazzini
Dall’incipit del libro:
Ho conosciuto la scià Manin da fanciullo, nel mio paese sul mare.
Semplice, nel vestire e nel fare, che non si distingueva dalle altre signore della sua condizione ed età. I suoi abiti erano scuri, neri più spesso, cioè quasi sempre, con filettature e guarnizioni varie, ma sobrie, secondo la foggia del tempo… no, d’un tempo che non era già più quel tempo. Mattiniera, sì, come tutte le donne e le ragazze di provincia, sapevo che la vedevano in giro pel paese, lesta lesta, alle prime luci del giorno. Andava alla prima messa, tutte le mattine; quella prima messa che per me era come se non la dicessero, e nemmeno l’annunziassero, ché mai sentivo – beati sonni della fanciullezza! – la campanella garrula a rompere con le sue squille veloci il silenzio ancora notturno, per chiamare i fedeli.
(Anche questa, che dolce remota non dimenticata impressione. – Sono andato alla messa prima. – Domani vado alla messa prima. – Così diceva mio padre, talvolta, quando, la domenica, doveva recarsi in campagna. E una sorta di strano piacere vibrava in queste parole. Tuttavia per me era come se accennassero a qualche cosa d’oscuro, di misterioso, che so?, a un’impresa quasi segreta, insieme piacevole e cupa, di quelle che si compiono solo quando la tenebra è folta, e gli uomini, tutti gli uomini dabbene, dormono, nelle loro case, e sognano, in pace. Ed era la messa! Ma tant’è, nella mente di me, bambino, l’idea del rito sacro s’associava indissolubilmente all’altra idea – familiare – della gran folla festiva accalcata nelle tre navate della parrocchia, coi ceri, tanti ceri, accesi là, intorno all’altar maggiore, e i sacerdoti, nei bei paramenti, e i chierici, coi rocchetti candidi sulla sottanina rossa, sempre troppo corta, e il canto spiegato sui toni gravi e profondi dell’organo, e lame di sole – quelle soprattutto! – lame di sole, come sciabolate, dai finestroni alti sulle intravature dei lacunari, su gli sporti, le mensole, gli archi, i capitelli, d’onde l’oro degli stucchi raggiava come da lingotti autentici improvvisamente svelati a noi, ignari d’aver lì, sulle nostre teste, nella nostra chiesa, tanto tesoro…).
Scarica gratis: Ritratto di donna ligure di Arrigo Fugassa.