Pubblicati la prima volta nel 1906, i Ricordi d’infanzia e di scuola appartengono ad un periodo molto fervido della produzione letteraria dell’autore, già ben noto e famoso per il libro Cuore (in progetto già dal 1878 ma venuto alla luce nel 1886).
L’autore non fu mai un maestro ma studiò con cura lo stato della scuola attraverso da una parte l’attenzione alle esperienze scolastiche dei suoi figli, con le capacità d’indagine della sua pratica giornalistica, ma soprattutto in quanto membro del Consiglio Superiore dell’Istruzione, del quale, nel 1903, era stato chiamato a far parte dall’allora Ministro Vittorio Emanuele Orlando. A Cuore seguì il Romanzo d’un maestro (1890), che risulta un’utilissima testimonianza dello stato molto critico in cui versava l’istruzione pubblica in Italia, all’indomani dell’Unità.
In questi Ricordi non vi è alcun intento di documentazione. Sono le memorie dirette, affettuose, ironiche ed autoironiche, degli anni della formazione nella provincia piemontese, in quella città coronata dallo splendido panorama delle Alpi – Cuneo, dove la famiglia si era trasferita quando Edmondo aveva due anni – e percorsa da un’umanità la più varia. La città, le sue scuole, i ragazzi, le istituzioni sono dunque il soggetto di questi ricordi, raccontati molti anni dopo, con la vivacità di un ragazzo di oltre cinquant’anni.
La sua famiglia era benestante, ma i genitori, in particolar modo la madre, insegnarono al piccolo le virtù della giustizia sociale, della parità tra compagni, della compassione per le sofferenze altrui. Questa apertura mentale forgiò il ragazzo agli ideali, già emergenti nelle pagine di queste memorie infantili, a cui poi l’uomo tenne fede per il resto della vita.
È in quegli anni che la Storia, con la S maiuscola, per la prima volta entra nella vita del ragazzo, quando, all’età di 9 anni, sente parlare della guerra di Crimea. Il suo amico caporale Martinotti era partito per la guerra e lo scrittore ricorda l’ansia con la quale attendesse il ritorno dell’amico. Edmondo aveva 13 anni all’epoca della Seconda guerra d’indipendenza (1859) e tutto il fermento della lotta e poi dell’unificazione infiammò anche lui ed i suoi giovani compagni.
L’autore riflette sui misteriosi giochi della memoria che fanno ricordare certe cose ma non altre che invece rimangono nell’ombra, spesso quelle che poi in età adulta siamo portati a considerare le più importanti:
“Ma non c’è da meravigliarsi, chi ci rifletta, di queste eclissi di certi grandi avvenimenti nella nostra memoria, perchè è una illusione quella per cui pensiamo che noi risentissimo allora al loro annuncio, noi, come tutta l’altra gente, una commozione infinitamente maggiore di quella che ci desta il loro ricordo, e che dovessimo quasi non viver d’altro, in quel periodo di tempo, che di quelle commozioni. Come, guardando una fuga di colonne da un capo della via, non vediamo gl’intervalli che separano quelle lontane, che ci appaiono congiunte, così non vediamo più fra quegli avvenimenti passati i larghi spazi di tempo, durante i quali eravamo tutti assorti, come nei tempi ordinari, nelle nostre faccende e nei nostri piaceri, che avevano pur sempre in noi il sopravvento sui nostri pensieri e affetti di cittadini […].”
Nelle pagine, divertenti e insieme profonde, si ritrova vivissima quell’età della vita in cui tutto ci sembra possibile e si passa da un’infatuazione all’altra. Così oggi il ragazzo pensa di poter diventare un pittore famoso, domani sarà un bandito ricercato da tutte le polizie, poi, perché no, un finissimo tenore o un grande attore drammatico, un eroico soldato … È il momento, l’adolescenza, in cui inconsciamente si indagano, ancora in maniera ancora molto abbozzata, tutte le possibili strade che possano farci raggiungere la pienezza e la soddisfazione, che diano un senso alla nostra vita. Questi profondissimi furori sono raccontati in maniera gradevolissima. De Amicis scrive:
“[…] se la natura m’avesse dato la virtù del persistere pari all’ardore dell’incominciare, sarei forse diventato un pezzo grosso.”
La seconda raccolta qui contenuta, Bambole e Marionette, è dedicata al mondo dei giochi e del divertimento: nel primo racconto è un’interessante ‘intervista’ ad un fabbricante e riparatore di bambole; il secondo apre il sipario sul mondo delle marionette.
L’essere membro del Consiglio Superiore dell’Istruzione consentì allo scrittore di visitare asili e scuole, visite che avrebbe poi raccontato in Gente minima, la raccolta di racconti brevi contenuta in questo stesso volume, resoconti di incontri ravvicinati pieni di affetto e di umanità con le piccole e i piccoli scolari alle prime schermaglie con la scuola.
Nel volume è riunita anche una brevissima antologia di quattro racconti, Piccoli studenti, dedicati alle bambine e bambini in età di scuola elementare: l’emozione dei primi esami; una divertente enunciazione di risposte ai temi che ricordano l’Io speriamo che me la cavo, il libro del maestro elementare Marcello D’Orta (1990) o, ancor prima, la La fiera delle castronerie (La foire aux cancres, 1962) di Jean-Charles; e il racconto Il garofano rosso, primo scontro per divergenze politiche tra padri e figli, che comparve per la prima volta nella raccolta Lotte civili (1899).
Ancora una raccolta di annotazioni è Adolescenti ed ecco le ragazze e i ragazzi alle prese con il latino mentre già alcuni sono andati a lavorare e per loro è finita la scuola; le prime frequentazioni delle compagnie drammatiche “povere e canine”; la prima ascensione “areostatica” da batticuore, frutto di una promessa tra studenti.
Il volume termina con il racconto Due di spade e due di cuori, velocissimo e pieno di suspense.
Un’ultima annotazione va dedicata ai termini straordinari in cui ci si imbatte leggendo: remeggio, stracciume, brindellone, sbrano, fasservizi, scapaccionare, vampo, galloria, sgrammaticante, ammammolarsi…
Sinossi a cura di Claudia Pantanetti, Libera Biblioteca PG Terzi
Dall’incipit del primo racconto, I primi anni, della prima raccolta RICORDI D’INFANZIA E DI SCUOLA:
La traccia più remota ch’io trovi in me della mia coscienza è quella d’un giorno che stavo giocando sopra un mucchio di sabbia con un mio fratellino, maggiore di me di due anni, il quale morì quand’io n’avevo quattro, non lasciandomi neppure una vaga reminiscenza del suo viso. In che maniera mi sia rimasta l’immagine di lui in quel punto, e non l’ombra d’un ricordo di quanto avvenne in casa mia alla sua morte, che avrebbe dovuto lasciarmi un’impressione profonda, è uno di quei tanti misteri della memoria, che tenta invano il nostro pensiero. E non è meno misteriosa per me la certezza assoluta che ebbi sempre, che quella larva con cui giocavo quel giorno era mio fratello, quantunque non abbia nessuna ragione d’esserne certo. A me pare che la mia esistenza sia incominciata in quel momento. Ma dopo di questo ricomincian le tenebre, e non ritrovo più il lume d’una ricordanza che molto tempo di poi: quello d’avere una volta, scendendo la scala di casa, contato i miei anni, che eran cinque, sulla punta delle dita, e d’aver pensato che mi sarei potuto chiamar grande quando per contar la mia età mi fossi dovuto servire anche dell’altra mano. D’allora in poi gli avvenimenti di cui mi rammento, benchè separati ancora da molti spazi oscuri, come i fuochi notturni dei pastori sui monti, sono chiari nella mia memoria come quelli dei periodi più recenti della mia vita.
Mio padre, genovese, era banchiere regio dei sali e tabacchi in una piccola città del Piemonte, che è per il sito e per i dintorni una delle più belle d’Italia: posta sull’ultimo lembo d’un altipiano, che si protende a punta e sovrasta al confluente d’un fiume e d’un torrente, i quali la cingono come d’un abbraccio; e di là dalle rive si stende, ascendendo ad anfiteatro, una campagna floridissima, tutta macchie e vigneti, coronata dalle Alpi imminenti. Tutti i ricordi dell’infanzia mi si disegnano alla mente sul verde vivo di quella campagna, sull’azzurro chiaro di quelle acque, sulla neve luminosa di quelle alte montagne.
Scarica gratis: Ricordi d’infanzia e di scuola di Edmondo De Amicis.