Ricchetto dal ciuffo

di
Charles Perrault

tempo di lettura: 9 minuti


C’era una volta una regina, la quale mise al mondo un figlio, così brutto e mal fatto che si stentò un pezzo a crederlo un essere umano. Una Fata, presente alla nascita, assicurò nondimeno che il bambino sarebbe stato amabile lo stesso, visto che avrebbe avuto molto spirito; soggiunse anzi che in virtù del dono da lei fattole, egli avrebbe potuto comunicare tutto il proprio spirito alla persona che avesse amato.

Tutto ciò consolò la povera regina, che era desolata per aver dato alla luce un così sconcio marmocchio. Vero è che il bambino non appena incominciò a parlare, disse mille cose graziose, con questo di più che aveva in tutti i suoi modi non so che di spiritoso, che tutti n’erano incantati. Dimenticavo dire ch’egli era nato con un ciuffettino sulla testa, ond’è che lo chiamavano Ricchetto dal ciuffo, essendo Ricchetto il nome suo di famiglia.

In capo a sette, otto anni, la regina d’un regno vicino partorì due bambine. La prima era più bella del giorno, e la regina n’ebbe tanta contentezza che si temette per la sua salute. La stessa Fata, che aveva assistito alla nascita del piccolo Ricchetto dal ciuffo, era presente, e per moderare la gioia della regina, dichiarò a questa che la principessina non avrebbe avuto punto spirito e che sarebbe stata sciocca per quanto bella. La regina ne fu mortificata; ma, pochi momenti dopo un maggior dolore le toccò, poichè la seconda figlia si trovò che era brutta all’eccesso. “Non vi affliggete tanto, signora, le disse la Fata; vostra figlia sarà compensata per un altro verso, e tanto spirito avrà che sarà quasi impossibile accorgersi dell’assenza di bellezza in lei. — Dio lo voglia, esclamò la regina; ma non ci sarebbe mezzo di fare avere un tantino di spirito alla sorella maggiore, che è così bella? — Per lei, signora, nulla posso io per quanto riguarda lo spirito, rispose la Fata; ma tutto posso quanto a bellezza; e poichè per farvi contenta son pronta a fare qualunque cosa, le darò per dono di poter rendere bello o bella la persona che le andrà a genio”.

Via via che si facevan grandi le due principessine, crescevan anche i loro pregi, sicchè si discorreva da per tutto della bellezza della prima e dello spirito della seconda. Vero è che anche i difetti crebbero con l’età. La seconda diventava sempre più brutta, la prima sempre più sciocca: o non rispondeva a chi l’interrogava o diceva una scempiaggine. Era inoltre così goffa, che non riusciva a posare quattro porcellane sul marmo d’un caminetto senza romperne una, nè a bere un bicchier d’acqua senza versarsene la metà sui vestiti.

Benchè la bellezza sia un gran vantaggio in una giovanetta, la brutta faceva sempre miglior figura della sorella nelle brigate. A primo tratto si andava verso la bella per vederla e ammirarla; ma subito dopo si correva da quella che aveva più spirito, per udire dalla sua bocca mille cose graziose; sicchè in meno d’un quarto d’ora la grande non aveva intorno a sè anima viva, l’altra invece era circondata da tutte le parti. Stupida com’era, la grande se n’avvide, e avrebbe dato volentieri tutta la sua bellezza per avere metà dello spirito della sorella. La regina, per quanto fosse prudente, non potè fare a meno di rimproverare parecchie volte la sua sciocchezza, il che poco mancò non facesse morir di dolore la poverina.

Un giorno essendosi rifugiata in un bosco per piangere la sua disgrazia, si vide venire incontro un omicciattolo deforme, ma sfarzosamente vestito. Era il giovine principe Ricchetto dal ciuffo, che s’era innamorato di lei avendone visto i ritratti sparsi per tutto il mondo, ed avea perciò lasciato il regno paterno per avere il piacere di vederla e parlarle. Tutto lieto di trovarla sola, le si avvicinò con tutto il rispetto e la gentilezza immaginabili. Poi vistala così malinconica, le disse, dopo i consueti complimenti: “Non capisco, signorina, come mai una così bella fanciulla possa essere così triste; perchè infatti, benchè io possa vantarmi di aver visto migliaia di bellezze, nessuna, vi assicuro, nemmeno alla lontana, è paragonabile a voi”. Bontà vostra, signore, rispose la principessa, e non disse altro. — La bellezza, riprese Ricchetto, è tal pregio che vale tutto il resto; e quando la si ha, non so vedere come ci si possa affliggere. — Preferirei, disse la principessa, esser brutta come voi e aver dello spirito, all’esser bella e stupida come sono. — Il più sicuro indizio di spirito è la persuasione di non averne, signorina; più se ne ha, più si crede di mancarne. — Cotesto non lo so, disse la principessa; so bene invece di essere molto stupida, e da ciò deriva il dolore che mi uccide. — Se non è che questo, signorina, io posso facilmente far cessare le vostre pene. — E come farete? esclamò la principessa. — Io ho il potere, signorina, disse Ricchetto dal ciuffo, di dare tutto lo spirito possibile e immaginabile alla persona da me amata; e poichè questa persona siete proprio voi, signorina, da voi solo dipende aver quanto spirito volete, purchè acconsentiate a sposarmi”.

La principessa rimase interdetta e non rispose. “Vedo, riprese a dire Ricchetto, che la proposta vi dispiace, nè già ne stupisco; ma vi do un anno intiero per risolvervi”. La principessa, sciocchina com’era e smaniosa di diventare intelligente, si figurò che la fine di quell’anno non dovesse mai arrivare; di tal che accettò la proposta. Non appena ebbe promesso a Ricchetto dal ciuffo di sposarlo in capo a un anno, il tal giorno, che si sentì subito tutt’un’altra persona; diceva con gran facilità tutto ciò che le piacesse, e lo diceva con grazia, con naturalezza, con disinvoltura. Cominciò in quello stesso momento una conversazione galante e vivace con Ricchetto dal ciuffo, nella quale tanto brillò che Ricchetto pensò di averle dato più spirito di quanto se ne fosse serbato per sè.

Tornata che fu al palazzo, tutta la Corte non sapea che pensare dell’improvviso e straordinario mutamento; poichè per quante impertinenze avevano udito prima dalla bocca di lei, per altrettanto ne ammiravano ora le parole assennate e spiritose. Tutta la corte n’ebbe una gioia da non si dire; solo la sorella minore non ne fu molto allegra, poichè, non avendo più il vantaggio dello spirito, non pareva più a fianco di lei che una bertuccia tutt’altro che simpatica.

Il re la consultava ad ogni poco, e qualche volta perfino teneva consiglio nell’appartamento di lei. Alla fama del mutamento avvenuto, tutti i giovani principi dei regni vicini fecero ogni sforzo per farsi amare dalla principessa, e quasi tutti ne chiesero la mano; ma ella non ne trovava alcuno che avesse spirito abbastanza, e mentre a tutti dava retta, con nessuno s’impegnava. Ne arrivò alla fine uno così potente, ricco, spiritoso, ben fatto, che la principessa non potè fare a meno di guardarlo di buon occhio. Accortosene il padre, le disse che la lasciava libera di scegliersi uno sposo. Ma poichè, quanto più si ha spirito tanto più si dura fatica a prendere una ferma risoluzione in simili faccende, la principessa, dopo aver ringraziato il padre, domandò un po’ di tempo per pensare.

Se n’andò per caso a passeggiare nello stesso bosco dove s’era imbattuta in Ricchetto dal ciuffo, per meditare più comodamente sul da fare. Mentre passeggiava immersa nei suoi pensieri, udì sotto i piedi un rumor cupo, come uno scalpiccìo di gente affaccendata. Stette in ascolto e sentì una voce che diceva: “Portami cotesta pentola”. E un’altra: “Dammi cotesta caldaia”. E un’altra ancora: “Metti legna al fuoco”. Nel punto stesso si aprì la terra, ed ella vide in giù come una grande cucina piena di guatteri, cuochi, servi, rosticcieri. Venti o trenta di questi andarono a prendere posto in un viale del bosco intorno ad un tavolone, e là, con in mano il lardatoio e la coda di volpe sull’orecchio, si misero a lavorare in cadenza al suono di un’armoniosa canzone.

Stupita a quello spettacolo, la principessa domandò per chi lavorassero. “Lavoriamo, rispose quello che pareva il capo della banda, per il principe Ricchetto dal ciuffo, le cui nozze si faranno domani”. La principessa, ancor più sorpresa di prima, si rammentò di botto che proprio il giorno appresso scadeva il termine della promessa fatta a Ricchetto dal ciuffo. Se n’era scordata, perchè nel momento di farla era una sciocchina; e poi divenuta intelligente per opera e virtù del principe, s’era scordata di tutte le sue sciocchezze.

Non aveva fatto una trentina di passi seguitando la sua passeggiata, quando ecco le si presenta Ricchetto dal ciuffo, ardito, magnifico, come un principe che vada a nozze. “Eccomi, signorina, le disse, puntuale a mantener la parola, e son sicuro che voi siete qui per mantener la vostra, rendendomi col dono della vostra mano il più felice degli uomini. — Francamente vi confesserò, rispose la principessa, che una decisione non l’ho ancora presa, nè credo che la prenderò mai quale voi la desiderate. — Voi mi fate stupire, signorina, esclamò Ricchetto dal Ciuffo. — Lo credo, disse la principessa, e certo, se avessi da fare con un uomo brutale, senza spirito, mi troverei molto imbarazzata. La parola di una principessa è sacra, egli mi direbbe, e bisogna che voi mi sposiate come prometteste; ma siccome la persona a cui parlo è la più intelligente che sia al mondo, io son sicura che sarà anche ragionevole. Voi sapete che, da sciocca qual’ero, io non mi risolvevo a sposarvi; come volete ora, dopo avermi dato tanto spirito da rendermi assai più meticolosa di prima, ch’io prenda oggi una risoluzione che non potei prendere allora? Se voi pensavate sul serio a sposarmi, aveste molto torto a guarirmi della mia grulleria e di farmi veder più chiaro che prima non vedessi. — Se un uomo senza spirito, rispose Ricchetto, avrebbe motivo, come voi dite, di rinfacciarvi la mancanza di parola, perchè volete, o signorina, ch’io non faccia lo stesso in un fatto in cui tutta la felicità della mia vita è in giuoco? Vi par giusto che le persone dotate d’intelligenza siano poste in condizione inferiore di quelle che non ne hanno? e potete voi pretender questo, voi che tanto ne avete e tanto sospiraste per averne? Ma veniamo al fatto, se vi piace: a parte la mia bruttezza, c’è in me qualche cosa che non vi vada a genio? Siete scontenta della mia nascita, del mio spirito, del mio carattere, dei miei modi? — Tutt’altro, rispose la principessa; mi piacciono in voi tutti i pregi che avete enumerati. — Se così è, riprese Ricchetto dal ciuffo, vuol dire che sarò felice, poichè voi potete far di me il più amabile degli uomini. — E come? esclamò la principessa. — La cosa accadrà, rispose Ricchetto, se voi mi amate abbastanza per desiderare che accada; e affinchè non ne dubitiate, sappiate, signorina, che quella stessa Fata da cui ebbi il dono di rendere intelligente la persona da me amata, fece anche a voi il dono di poter render bello colui che vi deciderete a beneficare col vostro amore. ” — Se stanno così le cose, disse la principessa, io desidero con tutto il cuore che voi diventiate il più bello e il più amabile principe del mondo; e per quanto da me dipende vi fo questo dono”.

Non avea finito di pronunciar queste parole, che Ricchetto dal ciuffo le apparve il più bell’uomo, il meglio fatto, il più amabile che avesse mai visto. Assicurano alcuni che non già l’incantesimo della Fata operò la trasformazione, bensì l’amore. Dicono che la principessa, considerata la costanza dell’amante, non che la discrezione e tutti gli altri pregi di mente e di cuore, non vide più la deformità del corpo e la bruttezza del viso; che la gobba le sembrò l’atteggiamento elegante di un uomo che si curvi, e che, mentre l’avea prima visto zoppicare maledettamente, trovò adesso in lui un’andatura un po’ inclinata, piena di grazia. Dicono inoltre che gli occhi loschi del principe le parvero brillanti, che nel loro disordine credette di scorgere il segno d’un amore sfrenato, e che finalmente quel suo naso rosso ebbe per lei non so che di marziale e di eroico.

Checchè ne sia, la principessa gli promise subito di sposarlo, purchè il re padre consentisse. Il re, visto che la figlia avea grande stima per Ricchetto dal ciuffo, già da lui conosciuto per principe saggio e intelligentissimo, lo accolse volentieri come genero. Il giorno appresso si fecero gli sponsali, come Ricchetto dal ciuffo avea previsto e secondo gli ordini da lui stesso dati molto tempo innanzi.

Morale

C’è in questa storia più verità che fantasia; tutto è bello nella persona amata; tutto ciò che si ama ha la grazia dello spirito.

Altra Morale

Per toccare un cuore, la più eletta bellezza, il più splendido incarnato, ogni più squisito dono della natura, avranno meno potere di una sola grazia invisibile che l’amore vi metta.

Fine.


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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Ricchetto dal ciuffo
AUTORE: Perrault, Charles
TRADUTTORE: Verdinois, Federico

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: I racconti delle fate / di C. Perrault ; tradotti das F. Verdinois. – Napoli : Società Editrice Partenopea, 1910.

SOGGETTO:
JUV010000 FICTION PER RAGAZZI / Favole della Buona Notte
JUV022000 FICTION PER RAGAZZI / Leggende, Miti, Fiabe / Generale