(voce di Luca Grandelis)
Nel sistema politico europeo e italiano la regolazione del lobbying sembra individuare percorsi peculiari. Da un lato Commissione e Parlamento europeo hanno identificato una policy regolativa minimale e volontaria. Dall’altro lato, le istituzioni politiche italiane, forti di una tradizionale assenza di regolazione che sembra incontrarsi con l’attuale fase di deregulation globale, non hanno disciplinato, nonostante molti disegni di legge presentati in materia, un fenomeno dotato di un’importanza e un’autonomia crescente nella pressure politics nazionale. In questo senso appare interessante, in termini di sussidiarietà, l’intervento di alcune Regioni italiane che hanno stabilito una disciplina regionale per i gruppi di pressione.
Tramite queste volume Antonucci mette in luce alcuni percorsi regolativi del lobbying tracciandone caratteri, modalità e obiettivi.
Il termine lobby viene usato con una certa frequenza nel linguaggio dei media italiani per indicare fenomeni oscuri e trame segrete nell’orientamento delle decisioni politiche. In realtà, il lobbying, ove previsto e regolato da norme, si pone come processo partecipativo della società civile organizzata alla assunzione di decisioni collettive e consente, secondo modalità di trasparenza e di parità di accesso ai decisori politici, l’attività di relazione con il decisore pubblico in termini chiari, democratici e conformi al principio di legalità. L’insieme delle norme che disciplinano il rapporto tra gruppi di pressione, esponenti della classe politica e soggetti politico-istituzionali rientra a pieno nell’ambito della regolazione, attività di esclusivo dominio dei soggetti politici con cui si intende porre delle regole universali.
Nel sistema politico europeo ed italiano la politica di regolazione del lobbying sembra individuare due percorsi peculiari e differenti. Da un lato Commissione e Parlamento europeo hanno identificato una policy di regolazione del rapporto tra gruppi di interesse organizzati, élite politiche e soggetti istituzionali, dotata di un carattere minimale e volontario, basato sulla trasparenza e sulla collaborazione tra le lobbies di Bruxelles e Strasburgo, i decisori pubblici europei e quanti, funzionari e dipendenti delle Istituzioni, sono chiamati a implementare le scelte dei soggetti politici della U.E. Dall’altro lato, le istituzioni politiche italiane, forti di una tradizionale assenza di regolazione del lobbismo, che sembra incontrarsi con la attuale fase di deregulation globale, non hanno ritenuto di disciplinare, nonostante molti disegni di legge presentati in materia, un fenomeno dotato di una importanza ed autonomia crescente nella pressure politics nazionale. Inoltre, una situazione peculiare basata sul neo-corporativismo di fatto degli anni Ottanta e Novanta, in cui pochi soggetti collettivi (sindacati, associazioni di imprenditori) venivano qualificati a partecipare alla fase decisionale delle politiche economiche nazionali sulla base di una concertazione selezionata dal Governo non sembra aver lasciato molte possibilità di sviluppo al modello italiano in assenza di disciplina. Il lobbying al di fuori della concertazione nazionale e privato di regole stabili, certe e note si è sviluppato nelle forme meno trasparenti e democratiche e le vicende – anche recenti – in cui il termine faccendiere e lobbista vengono usati come sinonimi hanno caratterizzato il sistema politico italiano.
Nel difficile contesto, due fenomeni inducono fiducia verso sviluppi migliori del lobbismo italiano: da una parte la crescente professionalizzazione dei soggetti coinvolti nella pratica del lobbying, grazie anche ad una sempre maggiore integrazione dei tavoli decisionali nazionale, europeo e globale, su cui i rappresentanti di interessi svolgono la propria attività; dall’altro la capacità di alcuni sistemi politico-istituzionali sub-statali di dotarsi di una specifica disciplina sul lobbying regionale. In questo senso appare interessante, in termini di sussidiarietà, l’intervento di Regioni quali Toscana, Molise e Abruzzo, che hanno stabilito una compiuta disciplina regionale per i gruppi di pressione che operano sul territorio regionale. Tale sistema di regole, spesso minimale e basato sui principi di trasparenza, in similitudine con il modello regolativo europeo, consente ai gruppi di pressione di accreditarsi come soggetti pienamente coinvolti nel processo di decision making democratico, gestito dalle istituzioni regionali, partecipando alle sedute dei Consigli regionali, facendosi, in casi specifici, promotori di iniziative legislative, avanzando temi e proposte all’attenzione dei decisori regionali. Il volume Rappresentanza degli interessi oggi. Il lobbying nelle istituzioni politiche europee e italiane intende mettere in luce i differenti percorsi regolativi del lobbying a livello europeo, nazionale e regionale e tracciarne le caratteri, modalità e obiettivi.
L’autore
Maria Cristina Antonucci è ricercatore in Scienze Sociali del CNR (dal 2010) e insegna Sociologia dei fenomeni politici all’Università degli Studi di Roma TRE (dal 2010). Assistente di ricerca presso ISFOL – Istituto di ricerca sulla formazione dei lavoratori (2000), dottore di ricerca in Sociologia dei Processi Politici (2003) e assegnista di ricerca in scienza politica presso Sapienza Università di Roma (2005), docente a contratto in Sociologia e Scienza Politica presso Sapienza Università di Roma, Università degli Studi dell’Aquila, Università di Roma TRE (dal 2004 ad oggi), si interessa di partecipazione politica, globalizzazione, comunicazione politica, processi politico decisionali e lobbying. Su questi temi è autrice di varie pubblicazioni su riviste scientifiche nazionali, di saggi in volumi collettanei, di curatele e monografie per importanti case editrici.
Rappresentanza degli interessi oggi.
Il lobbying nelle istituzioni politiche europee e italiane
di Maria Cristina Antonucci
Carocci Editore