Con il titolo “Prima che il gallo canti” sono riuniti due romanzi brevi scritti a dieci anni di distanza l’uno dall’altro. Il carcere – che era originariamente intitolato Memorie di due stagioni – fu scritto tra il 27 novembre 1938 e il 16 aprile 1939; La casa in collina – che riprende personaggio e situazione del racconto del 1941 “La famiglia” – fu scritto tra l’11 settembre 1947 e il 4 febbraio 1948.

Il protagonista di Il carcere è Stefano che, per ragioni politiche, è al confino in un paese del meridione. La blanda ma amara prigionia lo porta ad estraniarsi da tutto e lo conduce ad una forma di apatica angoscia che sfocia in una sorta di psicosi che lo fa sentire continuamente imprigionato dalle quattro pareti di una cella. Partecipa alla vita della comunità, intreccia una relazione – ma la malmaritata Elena si concede corpo ed anima e Stefano si ritrae gelidamente non appena sente una spinta a un maggior coinvolgimento – stringe amicizia con Giannino, ma appare quasi sollevato quando questi viene arrestato per violenza su una minorenne, come se Giannino rappresentasse l’ultimo ostacolo verso la più completa solitudine.

Volontariamente si preclude di poter scambiare quel minimo di calore umano che potrebbe abbattere quelle mura di “carcere” nelle quali si sente confinato. Desidera solo “Concia” la ragazza “bella come una capra” ma estremamente bislacca che sembra impersonare, trasfigurata come in sogno, la terra selvaggia che lo ospita. Da quella gente così diversa, dal bonario maresciallo, dai giovinastri facoltosi e oziosi, anche un intellettuale come lui ha tanto da imparare. Quando finalmente arriva il condono Stefano porterà comunque con sé quel carcere.

La “casa in collina” è quella dove Corrado, professore di scienze a Torino, si rifugia per sfuggire ai bombardamenti del ’43. Qui incontra, tra altri sfollati che si radunano all’osteria, Cate che fu una sua vecchia fiamma ed ora ha un bambino di nome Dino (diminutivo di Corrado). Per Corrado si apre una prospettiva di recupero del passato, ma Cate pensa soprattutto al futuro che può essere costruito solo attraverso la dura lotta antifascista. Il gruppo dell’osteria viene, dopo l’8 settembre, arrestato dai nazisti. Corrado raggiunge i partigiani ma l’infuriare della lotta lo spinge a cercare rifugio nelle zone dell’infanzia, nelle Langhe. Ma è durante questo viaggio che Corrado prende coscienza che quei cadaveri, a qualsiasi parte appartengano, non sono faccenda altrui.

Certamente abbiamo avuto occasione di leggere diari, esami di coscienza, memorie, confessioni di persone che in un campo o nell’altro si trovarono coinvolti nell’orribile storia di quegli anni di guerra. Quello che in genere accomuna questo genere di letteratura nella sua quasi totalità, è l’evidente incapacità di distacco, quasi il rifiuto di intendere la realtà umana e le necessità di moventi e azioni. In questi romanzi di Pavese, pur nei limiti autoimposti di una vaghezza e teatralità espressiva e di una ricerca di ridondanza artistica, possiamo invece scorgere la chiarezza delle ragioni morali, la serena apertura mentale. Senza mai scivolare nel sentimentalismo, ci si rende conto che possiamo andare oltre all’arte dello scrittore e trovare soprattutto la sua umanità.

Sinossi a cura di Paolo Alberti

Dall’incipit del primo racconto Il carcere:

Stefano sapeva che quel paese non aveva niente di strano, e che la gente ci viveva, a giorno a giorno, e la terra buttava e il mare era il mare, come su qualunque spiaggia. Stefano era felice del mare: venendoci, lo immaginava come la quarta parete della sua prigione, una vasta parete di colori e di frescura, dentro la quale avrebbe potuto inoltrarsi e scordare la cella. I primi giorni persino si riempí il fazzoletto di ciottoli e di conchiglie. Gli era parsa una grande umanità del maresciallo che sfogliava le sue carte, rispondergli: – Certamente.
Purché sappiate nuotare.
Per qualche giorno Stefano studiò le siepi di fichidindia e lo scolorito orizzonte marino come strane realtà di cui, che fossero invisibili pareti d’una cella, era il lato piú naturale. Stefano accettò fin dall’inizio senza sforzo questa chiusura d’orizzonte che è il confino: per lui che usciva dal carcere era la libertà. Inoltre sapeva che dappertutto è paese, e le occhiate incuriosite e caute delle persone lo rassicuravano sulla loro simpatia. Estranei invece, i primi giorni, gli parvero le terre aride e le piante, e il mare mutevole. Li vedeva e ci pensava di continuo. Pure, via via che la memoria della cella vera si dissolveva nell’aria, anche queste presenze ricaddero a sfondo.

Scarica gratis: Prima che il gallo canti di Cesare Pavese.