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(voce di SopraPensiero)Pubblicato Poesie di Gino Piva.
Il testo qui presentato contiene le due maggiori raccolte di poesie di Gino Piva, Canti d’Àdese e Po e Bi-ba-ri-bo. Piva tenta con queste poesie di esprimersi con una lingua che sia espressione dialettale di tutto il Polesine fondandosi su una parlata «di frontiera» delle tre strisce dialettali del Polesine, unificando la marea di varianti esistenti tra gli idiomi veneziani, padovani, ferraresi, veronesi e mantovani.
Pasolini così si esprime dopo la lettura dell’opera poetica di Piva: «A parte qualche altra intensità a suo modo realistica (la poesia El Scolo) per le Cante d’Àdese e Po bisognerà spostarsi alquanto indietro nella cronologia delle letterature dialettali, e giungere a un Pascoli, ma stranamente virilizzato, carducciano: e anche ciò non basta a togliere a questo per qualche verso nobile libro, la sua goffaggine, o, altrimenti, la sua provinciale spigliatezza». Questo «regresso» di cui parla Pasolini è tuttavia un tentativo tenacemente perseguito dal poeta di espressione genuina intrecciata strettamente con quella striscia di terra «tra l’Adige e il Po» alla quale il Piva si sente intimamente legato non solo come «lingua» ma anche e forse soprattutto come storia e sentimento.
Sinossi a cura di Paolo Alberti
Dall’incipit de libro:
In queste rime del Polesine – d’Adige e di Po – si avvertiranno immagini, sensazioni, ricordi, pensieri e cose di varii tempi e di varie ore, di varii climi di spirito e di vita, poiché esse non appartengono ad una sola giornata, ma alle molte giornate del cantore errante che ebbe profonda comunione di sé con la terra alquanto triste ma possente nella sua piana e spesso esuberante vastità di ben definito corridoio tra due fiumi e il mare: terra rivelatrice di antico e lungo travaglio ed insieme della divina forza e della umana costanza con cui ne seppe alteramente e silenziosamente uscire.
Molte note volutamente esaurienti, necessarie in un labirinto di acque, di terre e di fantasie, aiutano lungo le pagine il lettore – anche quello che la terra del Polesine ignorasse – a poterne cogliere, non tanto gli aspetti esteriori meno facili a cogliere che in altre terre classicamente pittoresche, ma più l’anima che si cela dentro le sue zolle nere e tra le sue lucide acque che pare si fondano insieme nella celebrazione mistica di un Nume ignoto della Stirpe, celebrazione talora velata dai misteri delle nebbie e talora avvolta nella maestà un po’ accorata ma splendente dei tramonti che qui sono di una singolare policromia di riflessi e di luci: vasta sinfonia vermiglia ed incandescente.