Podcast: Apple Podcasts | RSS
(voce di SopraPensiero)
Pubblicato Orlando di Virginia Woolf.
La storia di Orlando è straordinaria: verso la fine del ‘500 lo vediamo affascinante rampollo di nobilissima famiglia; intorno ai 30 anni diventa improvvisamente una donna; tra corte reale, alta società, bassifondi, Turchi, zingari, affronta incredibili avventure. E vive quasi 400 anni, durante i quali vede il mondo cambiare.
Eppure non sono queste vicende a dare corpo al libro, ma le sue riflessioni sul senso della vita, sul tempo, sulla natura […] soprattutto sulla poesia, che esercita su di lui/lei un prepotente richiamo. Il cambiamento di sesso, poi, dà adito a considerazioni su che cosa significhi essere uomo o donna, e su quanto dell’altro sesso sia presente in ciascuno.
Un libro, quindi, ricco di colpi di scena, ma soprattutto di ciò che alimentava e turbava il mondo interiore di Virginia Woolf, nella produzione letteraria della quale questo romanzo «rinascimentale» rappresenta un episodio davvero singolare e atipico.
Sinossi a cura di Catia Righi
Dall’incipit del libro:
Egli – poiché dubbio non v’era sul suo sesso, per quanto la foggia di quei tempi alquanto lo dissimulasse – stava prendendo a piattonate la testa di un moro, che dondolava appesa alle travi del soffitto. Aveva essa la tinta d’una vecchia palla di cuoio; e quasi ne avrebbe avuto la forma, se non fosse stato per il cavo delle guance, e i pochi capelli duri e aridi come barbe d’una noce di cocco. Il padre di Orlando, o forse il nonno, l’aveva spiccata dal busto del gigantesco Infedele che gli s’era parato davanti improvviso al chiaro di luna, nelle barbare distese africane, e ora essa oscillava dolcemente, incessantemente, alla brezza perenne che soffiava per le logge in cima alla vasta dimora del signore che aveva decapitato l’Infedele.
I padri di Orlando avevano cavalcato per campi di asfodeli, e per campi sassosi, e per campi bagnati da acque straniere, e da più d’un busto avevano spiccato più d’una testa di vario colore, e le avevano portate seco onde appenderle alle travi dei loro soffitti. Così giurava di fare Orlando. Ma poiché non aveva che sedici anni, ed era troppo giovane per accompagnare gli altri nelle loro scorribande in Africa o in Francia, sovente sfuggiva alla madre e ai pavoni del giardino, e, salito alle logge sotto il tetto, si accontentava di menar gran colpi e stoccate e piattonate con la lama sibilante. Gli accadeva talora di tagliare netto la corda, sì che la testa rimbalzava sul suolo; e dovendo egli tornare a legarla, cavallerescamente l’assicurava quasi fuor di portata; e un ghigno di trionfo pareva schiudere allora le labbra nere e secche del suo nemico. Il cranio dondolava in qua e in là, ché la casa, in cima alla quale Orlando s’intratteneva, era tanto vasta che pareva far prigioniero il vento stesso, che vi si aggirava soffiando d’inverno come d’estate. Senza posa si gonfiava alla brezza l’arazzo verde con le figure dei cacciatori. Nobile era la schiatta da cui Orlando discendeva, sin dal principio dei secoli. I suoi padri erano venuti dalle brume nordiche, recando corone sulle loro teste.